La nullità selettiva: il dibattito in giurisprudenza e la rimessione alle Sezioni Unite

Dario Falconieri
06 Marzo 2019

La questione riguarda la portata della sentenza che dichiari la nullità di un contratto quadro per difetto di forma ex art. 23 del D.Lgs. n.58/1998. Ci si chiede se l'investitore, quale soggetto legittimato ad agire, possa fare un uso “selettivo” della nullità, chiedendo al giudice di limitare le conseguenze della sentenza di nullità ai soli contratti attuativi del contratto quadro invalido per difetto di forma, escludendo che la patologia si estenda a colpire tutte le altre operazioni contrattuali poste in essere nel corso del rapporto di intermediazione finanziaria.
Premessa

L'art. 23 T.U.F. prevede che i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento (…) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato al cliente”. Inoltre, a mente della disposizione citata “nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”; il terzo comma soggiunge che “la nullità può esser fatta valere solo dal cliente (…)”.

Si è, quindi, in presenza di un precetto normativo che in modo inequivoco prevede la redazione per iscritto del contratto e la consegna di una copia al cliente, a cui solo si attribuisce la facoltà di far valere la nullità in caso di inosservanza della forma prescritta.

La norma delinea, quindi, una peculiare ipotesi di forma di protezione volta - al pari della nullità di protezione cui la violazione della stessa conduce - a portare all'attenzione dell'investitore (parte “debole” del rapporto) l'importanza del negozio che si accinge a compiere e tutte le clausole del medesimo. La prescrizione formale rinviene la sua ratio nell'esigenza di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell'obiettivo della raccolta di un consenso pieno e consapevole alla stipula del contratto. Per tale fondamentale ragione, la nullità di protezione può esser fatta valere solo dal cliente, oltre che rilevata d'ufficio dal giudice, sempre nell'esclusivo interesse e vantaggio del primo.

L'ordinanza del 2 ottobre 2018, n. 23927 emessa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso all'esame delle Sezioni Unite, la “questione di massima di particolare importanza” concernente la possibilità per l'investitore di fare un uso “selettivo” della nullità del contratto quadro, limitandone gli effetti solo ad alcune delle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto dichiarato nullo.

La Suprema Corte Sezioni Unite dovrà, in sostanza, decidere se l'investitore possa eccepire la nullità per difetto di forma del contratto-quadro solo delle operazioni d'investimento a lui svantaggiose ovvero questo modus operandi sia contrario al principio di buona fede nell'esecuzione di un contratto di intermediazione duraturo e proficuo.

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale
La c.d. nullità selettiva è da tempo al centro di un vivace dibattito sia in dottrina che nella formante giurisprudenza.Una prima tesi sostiene che, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall'investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto, a mezzo dei quali è stata data esecuzione al contratto viziato (Cass., 27 aprile 2016, n. 8395). Tale interpretazione affonda le proprie radici sul rilievo secondo cui nel contratto di intermediazione finanziaria la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall'investitore non soddisfa l'obbligo della forma scritta ad substantiam imposto, a pena di nullità dal D.Lgs. 58/1998, art. 23, occorrendo all'uopo la sottoscrizione di entrambi i contraenti.Diametralmente opposto il punto di partenza della seconda tesi che – contrariamente alla prima – ritiene necessario scongiurare uno sfruttamento “distorto” ed "opportunistico" della normativa di tutela dell'investitore, con conseguente “possibilità per l'intermediario di opporre l'exceptio doli generalis in tutte quelle ipotesi in cui il cliente (evidentemente in mala fede) proponga una domanda di nullità "selettiva". In questa prospettiva, l'eccezione di dolo, concepita quale strumento volto ad ottenere la disapplicazione delle norme positive nei casi in cui la rigorosa applicazione delle stesse risulterebbe sostanzialmente iniqua, fungerebbe da adeguata “arma di difesa” contro il ricorso pretestuoso all'art. 23 T.U.F.Ed invero, da un lato, l'ammissibilità di una nullità del contratto quadro “circoscritta” solo a determinati ordini di acquisto arricchirebbe di profili peculiari lo statuto giuridico della nullità di protezione ex art. 23 T.U.F. individuando una species di invalidità a legittimazione ristretta e “a geometrie variabili” modulata e conformata nella sua efficacia in ragione del concreto interesse dell'investitore ex artt. 99 e 100 c.p.c.L'esigenza è quella di evitare forme eccessive e opportunistiche di protezione del cliente-investitore con il conseguente aggravio del rischio investimento sulla controparte (intermediario). Sul punto, particolarmente efficace è il monito espresso dalla Corte con la sentenza n. 898/2018, secondo cui “ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l'interesse particolare, l'interprete deve essere attento a circoscrivere l'ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l'interesse protetto dalla nullità”.Alcune pronunce hanno individuato nell' exceptio doli generalis un valido strumento a tutela dell'intermediario quante volte il cliente abusi del proprio diritto (Cass., 24 aprile 2018, n. 10116).
Com'è noto, le Sezioni Unite erano stato già interrogate sul punto ma, risolvendo una questione a monte, non si erano puntualmente pronunciate. Con le sentenze n. 898 e 1200 del 2018, le Sezioni Unite, infatti, hanno solo escluso la nullità del contratto quadro c.d. monofirma qualora il consenso dell'intermediario possa desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti.È di tutta evidenza come il problema appena tratteggiato sia di grande delicatezza e importanza, perché intreccia temi specifici della disciplina della intermediazione finanziaria con la disciplina generale della nullità del contratto.In primo luogo, va risolta la questione concernente l'eventuale nullità del contratto quadro recante la firma del solo investitore e, in secondo luogo, si può porre l'ulteriore questione relativa alla ammissibilità e non contrarietà a buona fede della c.d. nullità selettiva.Il dibattito richiamato, oggi, deve essere inquadrato all'interno dei paletti fissati dalla recente sentenza con cui le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione attinente la nullità del contratto quadro recante la sola sottoscrizione dell'investitore (Cass., Sezioni Unite, 16 gennaio 2018, n. 898) anche se quest'ultima pronuncia non consente di risolvere la problematica della c.d. “nullità selettiva”. Ad avviso dei giudici della prima sezione della Corte di Cassazione, in una situazione di totale incertezza, non sarebbe possibile negare a priori il ricorso alla nullità selettiva. Si esclude, invece, che all'investitore, il quale chieda la declaratoria di nullità di singole e selezionate operazioni di investimento, possa essere opposta l'exceptio doli generalis. Quest'ultima – viene precisato – potrebbe essere legittimamente opposta solo in relazione a un contratto quadro formalmente esistente, non quando questo sia affetto da nullità per difetto di forma scritta.Appare chiaro, però, come nella scelta per l'una o l'altra opzione ricostruttiva si nasconda, in realtà, la scelta tra due diverse prospettive di fondo. Riconoscere all'investitore la possibilità di invocare un uso selettivo della nullità, limitandola solo a singole fattispecie negoziali di una più complessa operazione economico-giuridica significa, indubbiamente, rendere ancora più forte e incisiva la protezione del contraente debole. La nullità di protezione, pertanto, non solo sarebbe a legittimazione ristretta e a parzialità necessaria, ma, nell'ambito di operazioni negoziali complesse, potrebbe anche veder modulati i suoi effetti, in modi via via diversificati, a seconda delle esigenze. Contemporaneamente, si staglia l'altrettanto condivisibile esigenza di evitare forme eccessive di protezione dell'investitore, in pregiudizio della controparte, riconoscendo a quest'ultima strumenti idonei a tutelarsi contro eventuali condotte abusive del primo.La parola alle Sezioni unite, quindi, incaricate della difficile ricerca di un punto di equilibrio tra interessi contrapposti: da un lato, quelle di garanzia degli investimenti operati dai privati con i loro risparmi (art. 47 Cost.); dall'altro, quelle di tutela dell'intermediario, anche in relazione alla certezza dei mercati in materia di investimenti finanziari.
In conclusione
Le Sezioni Unite vengono chiamate nuovamente in causa - a distanza di poco tempo dal loro ultimo intervento sulla nullità del contratto quadro c.d. monofirma (Cass. Sez. Unite, sentenze nn. 898 e 1200 del 2018) – per dirimere un'altra questione avente molti punti in comune con l'oggetto delle predette sentenze.Anche in questo frangente, “l'oggetto del contendere” è molto delicato e la decisione della Suprema Corte potrebbe avere effetti dirompenti nel mondo dei contratti d'investimento finanziari e, in particolare, nel rapporto tra investitore e intermediario finanziario. Quanto sin qui evidenziato consente di porre in rilievo la divergenza della disciplina dell'intermediazione finanziaria rispetto al modello codicistico avendo riguardo alle problematiche oggetto dell'ordinanza interlocutoria.L'autonomia negoziale dei singoli ordini di cui si compone il complesso rapporto tra intermediario e cliente permette a quest'ultimo di selezionare – sulla base del proprio interesse e della lesione subita – cosa caducare e cosa conservare, azionando selettivamente, appunto, una nullità posta innanzitutto a sua tutela. È il legislatore ad aver selezionato, a monte, gli interessi meritevoli di protezione e le modalità con cui azionarli, circoscrivendo la legittimazione ad eccepire la nullità al solo investitore e privando espressamente l'intermediario di un analogo potere, nella prospettiva di ulteriormente sanzionare l'inadempimento dell'obbligo previsto, come si è detto, anche con finalità dissuasiva di condotte non conformi al modello virtuoso, previsto dalla disciplina di settore.Ovviamente, se venisse sposata tale tesi dalla Suprema Corte, è legittimo pensare a un aumento esponenziale del contenzioso nei confronti degli intermediari che per salvaguardare la loro posizione e, dunque, indirettamente per quella del sistema finanziario, potranno eccepire l'exceptio doli generalis per paralizzare gli effetti di un'azione palesemente strumentale da parte dell'investitore. Ci si aspetta, pertanto, che almeno questa volta non venga sprecata l'occasione per definire i contorni della nullità selettiva sperando che si trovi il giusto equilibrio tra interessi palesemente contrapposti.

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