Rivalutazione monetaria ed interessi

06 Marzo 2019

Ai fini dell'integrale risarcimento del danno non patrimoniale, che è debito di valore, occorre riconoscere sia la rivalutazione monetaria, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione stessa.
Inquadramento

Ai fini dell'integrale risarcimento del danno non patrimoniale, che è debito di valore, occorre riconoscere sia la rivalutazione monetaria, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione stessa.

Qualora il giudice adotti, per il risarcimento del danno da ritardato adempimento, il criterio degli interessi (come detto, compensativi), stabilendone il tasso, è escluso che gli stessi vengano calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, mentre è consentito calcolarli con riferimento ai singoli incrementi nominali della somma, in base agli indici di rivalutazione monetaria prescelti, ovvero in base ad un indice medio.

In particolare, in tema di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale, il calcolo degli interessi utilizzati per liquidare in via equitativa il lucro cessante da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria deve essere effettuato con riferimento ai singoli momenti in cui la somma liquidata per equivalente a titolo di danno emergente si è incrementata in base all'indice di rivalutazione Istat prescelto, ovvero a un indice medio, a decorrere dalla data del fatto illecito.

In evidenza

L'utilizzo di interessi costituisce una mera modalità liquidatoria, che può non essere affatto applicata dal giudice (v. Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2014, n. 14121) e che, in ogni caso, deve avvenire secondo i criteri espressi dalla Suprema Corte, per non eccedere le finalità che l'hanno ispirata (v. Cass. civ., sez. I, 7 agosto 2014, n. 17795, che, a sua volta, richiama Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2010, n. 9926; Cass. civ., Sez. Un., 5 aprile 2007, n. 8520).

Impostazione generale

In termini generali, la somma algebrica di rivalutazione e interessi, senza alcun correttivo, comporta un indebito vantaggio per il danneggiato.

L'orientamento ormai consolidato espresso dalla Suprema Corte, a partire dalla nota sentenza a Sezioni Unite 17 febbraio 1995, n. 1712 (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9810; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 492; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10291; Cass. civ., sez. III, 1 marzo 2007, n. 4791; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2009, n. 5054; Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2014, n. 21396; Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2014, n. 6347; Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015, n. 16788), è nel senso che, con un'operazione definita taxatio, è necessario che la somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno venga rivalutata mediante indici Istat FOI (famiglie e operai italiani), in modo da rimediare a un'eventuale svalutazione monetaria (a tal proposito meritano di essere richiamate altresì Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8507, e Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2003, n. 12452).

A tale somma, riconosciuta a titolo di danno emergente e rivalutata, può poi aggiungersi la corresponsione di interessi compensativi, per tenere il creditore indenne del lucro cessante dovuto al mancato godimento della somma liquidata per equivalente (sulla natura compensativa di tali interessi si richiamano Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2014, n. 14121, e Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3268, e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Crema, 14 settembre 1995).

Avuto particolare riguardo alle modalità di calcolo, partendo dalla considerazione che la rivalutazione e gli interessi compensativi siano cumulabili (non essendovi alcuna incompatibilità tra l'attualizzazione del danno ed il riconoscimento degli interessi compensativi), in quanto assolventi diversa funzione e tendenti al ristoro integrale del pregiudizio (in particolare, gli interessi hanno la diversa funzione di compensare il danneggiato del pregiudizio derivante dalla ritardata ricezione del credito; cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2000, n. 15368; Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712; Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 1994, n. 11257; Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1993, n. 5263; Cass. civ., sez. III, 13 novembre 1989, n. 4791), è necessario calcolare tali interessi, in quanto compensativi della somma non ricevuta, sul valore del risarcimento come rivalutato anno per anno (v. Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13653; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25571; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5671; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2010, n. 3931; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2009, n. 5054; Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5234; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16237; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2005, n. 3747).

In particolare, la Suprema Corte ha escluso la possibilità di computare tali interessi sulla somma già rivalutata, in tal modo superando il precedente orientamento (v. Cass. civ., sez. III, 13 novembre 1989, n. 4791, e Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 1994, n. 11257).

Quanto al saggio degli interessi, si ritiene possibile utilizzare un tasso legale oppure un tasso stabilito dal giudice in via equitativa (in quanto si considera non si tratti tecnicamente di interessi, ma di una delle diverse modalità pretoriamente adottabili per ristorare il danneggiato; v. Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2006, n. 1215, e Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2010, n. 21010).

L'ulteriore criterio particolarmente rilevante da prendere in considerazione è, infine, quello dell'individuazione del dies a quo della decorrenza di tali interessi, che, dovendo monetizzare il danno da mora per l'inadempimento di un credito di valore, devono tendenzialmente essere riconosciuti a partire dalla data del fatto, concomitante con il sorgere dell'obbligazione risarcitoria (a conferma di un orientamento ormai consolidato sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712; Cass. civ., sez. III, 13 novembre 1989, n. 4791; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1996, n. 637; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25571). La decorrenza degli interessi è specificamente individuata, per i casi di invalidità permanente, nel consolidamento dei postumi in Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2011, n. 27584, Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1987, n. 5480, Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1988, n. 6403, e Cass. civ., sez. III, 27 marzo 1987, n. 2988. Non può, peraltro, essere sottaciuto un indirizzo isolato favorevole alla decorrenza di tali interessi a partire dalla data della liquidazione (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 1994, n. 7943).

Così come merita di essere segnalato un indirizzo decisamente minoritario (Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 1982, n. 442) a mente del quale, gli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento di danni futuri andrebbero liquidati sulla sorte capitale non con decorrenza dal giorno del fatto illecito, ma da quando il soggetto danneggiato ha iniziato ovvero inizierà a subire il pregiudizio, consistente nella riduzione della capacità lavorativa. Maggiori consensi ha, invece, incontrato l'impostazione che, applicando il criterio equitativo, attribuisce gli interessi si sulla somma già rivalutata, ma a decorrere da una data intermedia (così Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2012, n. 16047; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2010, n. 3931, e Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2006, n. 1215).

I criteri di calcolo degli interessi compensativi

Nel soffermare l'attenzione sul calcolo degli interessi compensativi sull'entità del risarcimento già rivalutata, va evidenziato che la giurisprudenza ha elaborato una molteplicità di criteri.

Secondo un primo, tale importo sarebbe da calcolarsi nella misura degli interessi al tasso legale sulla minor somma che ne avrebbe costituito l'equivalente monetario alla data di insorgenza del credito, coincidente con quella dell'evento dannoso.

In base ad un secondo metodo, andrebbe determinato mediante l'attribuzione di interessi sulla somma liquidata all'attualità, ma ad un tasso inferiore a quello legale medio nel periodo di tempo da considerare.

Alla stregua di un terzo, alla base del calcolo dovrebbe essere posta la semisomma tra il credito espresso in moneta dell'epoca del fatto e il credito espresso in moneta dell'epoca della liquidazione (v., quanto a quest'ultimo criterio, Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2014, n. 21396; Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8507; Cass. civ., sez. III, 1 marzo 2007, n. 4791; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16237).

Vi è chi, inoltre, ritiene che tali interessi dovrebbero essere liquidati attraverso il riconoscimento degli interessi legali sulla somma attribuita, ma a decorrere da una data intermedia (v. supra).

Infine, numerose pronunce computano gli interessi sull'importo progressivamente rivalutato anno per anno dalla data dell'illecito (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13653; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537; Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2012, n.16047; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2010, n. 3931; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2006, n. 1215; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2002, n. 11712).

Le diverse modalità di calcolo delineate sono accomunate da un unico minimo denominatore: quello di garantire un computo del danno da ritardo parametrato alla graduale evoluzione nominale del capitale (v. Cass. civ., sez. I, 25 febbraio 2015, n. 3802).

In conclusione, una volta fissato il tasso degli interessi compensativi, il calcolo del loro ammontare dovrà essere effettuato osservando le seguenti regole: a) il tasso di interesse si applicherà non sulla somma integralmente rivalutata, ma partendo da quella devalutata al momento del sinistro, al fine di evitare duplicazioni delle voci risarcitorie; b) si dovrà fare riferimento a singoli periodi, da determinarsi in concreto secondo le circostanze (di solito pari ad un anno, per esigenze di semplificazione dei calcoli; cfr. Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1990, n. 6209); c) la somma iniziale – al netto della rivalutazione – dovrà essere incrementata nominalmente e progressivamente, nei singoli periodi, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria (oppure, in via equitativa, utilizzando un indice medio di svalutazione). In quest'ottica, già in passato Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n. 3994, aveva chiarito che la liquidazione del danno da ritardo può avvenire nella forma degli interessi compensativi, ma solo se non già ricompresi nella somma rivalutata, ovvero liquidata in termini monetari attuali, come si verifica allorché la remuneratività media del danaro nel periodo in considerazione sia inferiore al tasso di svalutazione, perché in tale ipotesi non è nemmeno configurabile un danno da ritardo.

Orientamenti a confronto

CLASSIFICAZIONE RIVALUTAZIONE E INTERESSI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Danneggiato rientrante nella categoria dei modesti consumatori: interessi nella misura legale ordinariamente connessi all'erosione del potere di acquisto della moneta

Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n. 3994

Tasso degli interessi legali inteso come parametro di riferimento adeguato per determinare il danno da ritardo

Trib. Perugia 23 giugno 2007, n. 1261

Metodo che calcola gli interessi dalla data del fatto sull'importo costituito dalla media tra il credito originario e quello risultante dalla rivalutazione, in alternativa a quello che pone come base del calcolo il credito originario via via rivalutato secondo un indice medio

Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2005, n. 3747

Danno da ritardo liquidato attraverso l'attribuzione degli interessi ad un tasso decurtato rispetto alla misura legale

Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10300

A seguito della liquidazione operata in sentenza, trasformazione del debito di valore in debito di valuta, con decorrenza sulla somma riconosciuta degli interessi (corrispettivi) nella misura del saggio legale vigente

Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2014, n. 21396

Il lucro cessante e il danno emergente

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre che si consideri, oltre alla svalutazione monetaria (che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (quale lucro cessante), la quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario. Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati nè sulla somma originaria, nè sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via (cioè progressivamente) rivalutata anno per anno (in base ai prescelti indici di rivalutazione) ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso (Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2018, n. 8766; nella giurisprudenza di merito si segnalano Trib. Viterbo, 14 marzo 2018, n. 415, e Trib. Napoli, sez. VIII, 22 febbraio 2018, n. 1925).

Invero, il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore, sicché, ove il giudice di merito abbia riconosciuto sulla somma capitale dovuta al danneggiato e liquidata nella sentenza di primo grado gli interessi compensativi al tasso legale, gli interessi (compensativi) per l'ulteriore danno da mancata tempestiva disponibilità dell'equivalente monetario del pregiudizio patito non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale e rivalutata definitivamente sino al momento della decisione né decorrono dalla pubblicazione della decisione, ma dai (recte, con riferimento ai) singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) nei quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici medi di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio (Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2016, n. 12288), tenuto conto che la liquidazione del danno da ritardo rientra pur sempre nello schema liquidatorio di cui all'art. 2056 c.c. in cui è ricompresa la valutazione equitativa del danno stesso ex art. 1226 c.c. (Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2016, n. 3894).

In definitiva, gli interessi non vanno calcolati né sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio; oppure, ancora, seguendo il criterio dell'attribuzione degli interessi legali dalla data del fatto sul capitale mediamente rivalutato (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2014, n. 13653).

La prova del danno da ritardo

In termini generali, qualora si intenda ottenere anche il risarcimento del danno da ritardo, si è tenuti, se non a provare dettagliatamente l'an ed il quantum dello stesso, quanto meno ad allegare gli elementi di fatto in base ai quali poter liquidare il danno.

Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore, il quale va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo.

In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Tale effetto dipende prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile.

La liquidazione del danno aquiliano in moneta attuale ristora la perdita patrimoniale o non patrimoniale patita dal danneggiato, ma non necessariamente copre l'intero pregiudizio da quest'ultimo subito, potendo residuare un ulteriore danno, conseguente al ritardato pagamento dell'importo dovuto a titolo di risarcimento, il quale tuttavia non è in re ipsa, essendo onere del creditore allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici (cioè iuris tantum e, dunque, suscettibili di prova contraria), che il tempestivo pagamento gli avrebbe consentito remunerativi investimenti (Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2016, n. 3173).

La Suprema Corte ha in più occasioni (cfr., fra le tante, Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2008, n.3268) statuito che, versandosi in tema di debito di valore, qualora il danneggiato alleghi e dimostri (laddove il giudice deve tener conto anche d'ufficio della svalutazione della moneta nel frattempo – cioè fino alla decisione – intervenuta, in quanto la rivalutazione serve solo a neutralizzare la perdita del potere d'acquisto del denaro ed a reintegrare il creditore nello stato in cui si sarebbe trovato se non avesse subìto il danno), anche in base a criteri presuntivi, che l'immediata consecuzione della somma spettantegli a titolo risarcitorio gli avrebbe consentito, attraverso il reimpiego immediato, una redditività maggiore rispetto al valore della rivalutazione monetaria (pertanto occorre in pratica che la remuneratività media del denaro sia superiore al tasso di svalutazione nel periodo considerato), può essere riconosciuto il danno da lucro cessante per la mancata consecuzione della differenza mediante i cc.dd. interessi compensativi (da liquidarsi in via equitativa; cfr. Cass. civ., Sez. Un., n.1712/1995, nel senso che la misura degli interessi non deve essere necessariamente quella legale). Cass. civ., Sez. Un., n. 1712/1995 ha altresì precisato che il danneggiato deve dimostrare il danno, sotto forma di mancato guadagno, che gli è stato provocato dal ritardato pagamento della somma; tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso. In quest'ottica assume valenza decisiva lo scarto temporale tra la data dell'illecito e quella della liquidazione, potendosi, in caso di lasso di tempo ampio, ragionevolmente sostenere che l'attore avrebbe potuto impiegare fruttuosamente la somma a lui riconosciuta almeno in consumi, onde far fronte alle esigenze primarie dell'esistenza.

In definitiva, fermo restando che gli interessi compensativi, dal punto di vista sistematico, vanno propriamente inquadrati fra gli interessi moratori, in assenza (oltre che di richiesta di lucro cessante cagionato al danneggiato dal ritardato pagamento della somma rivalutata a lui dovuta) di elementi di fatto in base ai quali poter pervenire, anche in via presuntiva (la Suprema Corte ha suggerito all'uopo di far ricorso “alla natura del danno, alla qualità del danneggiato, all'importo della somma liquidata a titolo di capitale e ad ogni altra circostanza concreta, quale lo scarto temporale tra la data dell'illecito e quella della liquidazione), alla individuazione concreta di un danno da ritardo nella corresponsione della somma liquidata a titolo di risarcimento, gli interessi sulla somma rivalutata possono essere riconosciuti solo a decorrere dalla data della sentenza, e fino all'effettivo soddisfo, al saggio legale corrente. Viceversa, l'obbligazione di risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale, poiché configura un debito di valore ed è diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, resta sottratta al principio nominalistico e va dal giudice, anche d'ufficio, quantificata tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta, secondo gli indici di deprezzamento della moneta e fino alla data della liquidazione (cfr., infra alios, Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9711).

Ne consegue, per un verso, che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso, che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi (v. Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n. 18564).

In definitiva, la prova del danno da ritardo (cioè del lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma), deve essere fornita dal creditore anche mediante il ricorso a presunzioni, laddove, come si è visto, il giudice può liquidarlo mediante criteri presuntivi ed equitativi e, quindi, anche mediante l'attribuzione degli interessi.

Ciò in quanto, per quanto l'obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisca un debito di valore che deve essere liquidato tenendo conto dell'esigenza (non solo di reintegrare il patrimonio del creditore danneggiato di una somma che equivalga al danno a suo tempo subito, ma anche) di ristorare il patrimonio della vittima della mancata disponibilità della somma nel tempo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, la determinazione degli interessi cd. "compensativi" (in aggiunta alla rivalutazione) non è però automatica, né presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi (anche, ripetesi, in via presuntiva) il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento, analogamente a quanto richiesto, sul piano probatorio, per la dimostrazione del maggior danno nelle obbligazioni di valuta, ma secondo criteri differenti (in questi sostanziali termini si è espressa Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2016, n. 22607, escludendo che sulla somma rivalutata potessero essere liquidati gli interessi compensativi al tasso dei Buoni del Tesoro poliennali con scadenza a dieci anni, in quanto aventi una redditività maggiore rispetto al tasso legale, non essendo stato provato che la predetta somma, se liquidata tempestivamente, sarebbe stata impiegata in quell'investimento; sul punto v. anche Cass. civ., sez. III, del 15 giugno 2016, n. 12288, Cass. civ., Sez. Un., del 16 luglio 2008, n. 19499, e Cass. civ., Sez. Un., del 17 febbraio 1995, n. 1712).

Il dies ad quem della rivalutazione monetaria

In tema di rivalutazione della somma determinata a titolo risarcitorio nei crediti di valore, si fa riferimento alla data di determinazione monetaria della stessa fino alla data della liquidazione (Trib. Catania, sez. I, 28 febbraio 2018, n. 948).

Ai fini dell'integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore (a riguardo è fondamentale Cass. civ., Sez. Un., 5 aprile 2007, n. 8520, poi ripresa da Cass. civ., sez. III., 18 luglio 2011, n. 15267, e da Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2010, n. 9926), occorre riconoscere al danneggiato, come detto, sia la rivalutazione monetaria secondo l'indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall'Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno, sia, infine, gli interessi legali sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza sino al soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448).

La rivalutazione deve essere calcolata fino alla pubblicazione della sentenza, in quanto da tale momento, come conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta e spettano solamente gli interessi nella misura legale sino all'effettivo soddisfo. Tali interessi, aventi la funzione di remunerazione del capitale ed anche detti corrispettivi, si sostituiscono, dunque, a quelli compensativi-moratori, in quanto la corresponsione dei primi elide il diritto ai secondi diminuendo l'entità del danno risarcibile.

Tramutandosi, infatti, l'obbligazione risarcitoria in debito di valuta, diventano applicabili, per eventuali altre voci di danno finalizzate a riparare la ritardata esecuzione del provvedimento giudiziale, gli istituti tipici delle obbligazioni pecuniari in senso stretto (che segue quanto previsto dall'art. 1282 c.c., attribuendo interessi al tasso legale; v. Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2014, n. 21396, Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2011, n. 8507), sulla somma globale composta da capitale, rivalutazione e coacervo degli interessi maturati fino alla data predetta (Trib. Napoli, sez. VIII, 4 maggio 2016, n. 5611). In particolare, nel momento della liquidazione, essa viene trasformata dal giudice in un'obbligazione di valuta, mediante l'aestimatio.

I crediti di valuta

Il creditore di un'obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l'onere di domandare il risarcimento del "maggior danno" di cui all'art. 1224, comma 2, c.c., non potendo limitarsi a richiedere semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione; ciò in quanto quest'ultima non rappresenta una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2018, n. 16565). E' in quest'ottica che va inteso quell'orientamento dei giudici di legittimità secondo cui l'obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, sicché deve essere quantificata tenendo conto, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2016, n. 13225; in senso conforme Cass. civ., sez. I, 10 marzo 2010, n. 5843).

Peraltro, in tema di rivalutazione monetaria quando il diritto azionato è un credito di valuta, la domanda dev'essere intesa come richiesta del maggior danno ex art. 1224 comma 2 c.c.. Inoltre, nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del comma 1 dell'art. 1284 c.c.Pertanto, nel caso di ritardato adempimento di un'obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all'art. 1224 comma 2, c.c., può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, fermo restando l'onere del creditore — che domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato — di provare l'esistenza e l'ammontare del pregiudizio, anche per via presuntiva.

Nel caso particolare di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono ad un'obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all'art. 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente (Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2018, n. 14289).

Anche in materia di inadempimento contrattuale, configurando l'obbligazione di risarcimento del danno un debito di valore, qualora si provveda all'integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l'effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento della obbligazione (Cass. civ., sez. II, 5 maggio 2016, n. 9039; in senso conforme Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2001, n. 3996, e Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2002, n. 9517).

La svalutazione monetaria e gli interessi in base alle tabelle

Ai fini della determinazione dell'importo dovuto in base alle tabelle, è sufficiente individuare nella colonna della fascia corrispondente all'età del danneggiato la somma indicata nella riga riferita al grado di inabilità permanente accertata (il valore in tal guisa ottenuto rappresenta già il risultato dell'applicazione del coefficiente demoltiplicatore corrispondente all'età del danneggiato al momento del fatto illecito).

Fermo restando che la rivalutazione ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale di cui il danneggiato godeva anteriormente all'evento dannoso (recte, di compensare il danno cd. emergente nella restituzione del tantundem), gli importi sono computati all'attualità e, quindi, sono comprensivi di svalutazione monetaria. Invero, le somme risultanti dall'applicazione delle tabelle sono espresse in moneta al valore attuale, sicchè (pur essendo il risarcimento del danno ‘debito di valore', come tale non soggetto al principio nominalistico) a tali somme non va aggiunta la rivalutazione monetaria. Alle dette somme vanno, invece, aggiunti gli interessi legali che, trattandosi di risarcimento da fatto illecito e vertendosi, quindi, in ipotesi di mora ex re (art. 1219, n. 1, c.c.), devono essere conteggiati dalla data del fatto illecito sino all'effettivo soddisfo; siffatti interessi, tuttavia, vanno applicati non sulla somma interamente rivalutata, ma, in applicazione dei principi enunciati dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 1712/1995 già analizzata in precedenza, sulla somma come annualmente rivalutata secondo gli indici Istat (giacché altrimenti il creditore verrebbe a conseguire più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell'obbligazione e si verificherebbe il rischio del verificarsi di una sorta di anatocismo, all'infuori dei casi previsti dall'art. 1283 c.c.). Conseguentemente, ai fini del calcolo degli interessi, la somma complessiva risultante dall'applicazione delle tabelle, va, secondo i coefficienti in uso, dapprima riportata al valore effettivo corrente al momento del fatto illecito (cd. devalutazione) e, sulla somma così ottenuta, vanno anno per anno (cioè con rivalutazione periodica della somma) calcolati gli interessi legali (Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9711). Gli interessi ristorano il nocumento finanziario (lucro cessante) subìto dal danneggiato a causa del ritardato conseguimento dell'importo, che, se corrisposto tempestivamente, avrebbe potuto essere investito per lucrarne un vantaggio economico.

I versamenti in acconto

In caso di versamenti di acconti anteriormente alla liquidazione finale, il giudice deve tenerne conto (senza che trovi nel caso applicazione la regola posta dall'art. 1194 c.c., secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi, valevole esclusivamente per le obbligazioni di valuta e, quindi, solo allorchè sia il credito per capitale che quello accessorio per gli interessi siano simultaneamente liquidi ed esigibili), devalutando alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio rivalutato che l'acconto versato (al fine di rendere omogenee le voci), e detraendo quest'ultimo dal primo, sulla differenza residua computando quindi gli interessi calcolati secondo i predetti criteri (Cass. civ., sez. III. 23 febbraio 2005, n. 3747; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2007, n. 9510).

Gli aspetti processuali

Si deve a Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2018 n. 16815, il merito di aver chiarito che gli interessi compensativi devono ritenersi implicitamente inclusi nell'originario petitum della domanda risarcitoria da fatto illecito.

In particolare, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamentalmente natura diversa da quelli moratori, perché sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subìto, di cui costituiscono una necessaria componente. Si deve ritenere, di conseguenza, che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento degli interessi compensativi, che il giudice di merito, anche in grado di appello o in sede di giudizio di rinvio, deve attribuire anche d'ufficio, senza perciò solo incorrere nel vizio di ultra-petizione (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2009, n. 15928; conf. Cass. civ., sez. I, 17 settembre 2003, n. 13666, per la quale la seconda componente del danno aquiliano – lucro cessante – può essere liquidata d'ufficio dal giudice, anche in assenza di una domanda ad hoc). A voler aderire a quest'ultimo indirizzo, premesso che la liquidazione del danno da parte del giudice trasforma l'obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, solo a questo punto il giudice non potrebbe riconoscere gli interessi per il periodo successivo alla decisione fino al saldo, in mancanza di specifica domanda della parte in tal senso.

Ne deriva che una eventuale impugnazione della decisione di primo grado, soprattutto nel caso in cui ci sia stata esplicita domanda in tal senso, deve considerarsi estesa anche al computo degli interessi e consentire, quindi, al giudice dell'appello (o del rinvio) di procedere alla loro liquidazione, anche in difetto di un puntuale rilievo sulle modalità di liquidazione prescelte dal giudice precedente, ogni qualvolta sia stato impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, rispetto alla quale la liquidazione degli interessi costituisce una mera tecnica liquidatoria.

Premesso cheuna corretta valutazione del danno derivante da fatto illecito deve comprendere sia la rivalutazione monetaria (cioè l'attualizzazione al momento della liquidazione del danno subito) sia gli interessi compensativi (cioè la compensazione della mancata disponibilità della somma fino al giorno della liquidazione), sia infine gli interessi legali sulla somma dal giorno della pubblicazione della sentenza in poi, il computo degli interessi compensativi deve risultare con chiarezza e risultare non solo nel dispositivo, ma anche dalla motivazione della sentenza.

Il computo degli interessi compensativi, in particolare, può essere incluso nella liquidazione del danno biologico che venga effettuata alla stregua dei valori monetari al tempo della decisione, ma ciò deve essere frutto di valutazione e tale valutazione deve risultare con chiarezza nella sentenza. In quest'ottica, l'espressione talora utilizzata nelle sentenze "liquidato all'attualità" non può essere considerata sufficiente, se poi manca un chiaro riferimento; chiaro riferimento che deve essere presente, ripetesi, sia nel dispositivo che nella motivazione della sentenza, dovendo in quest'ultima essere chiaro anche il criterio di calcolo utilizzato per la quantificazione dei detti interessi.

Per il principio dell'inscindibilità del giudizio sul quantum debeatur non è possibile chiedere in separato giudizio, dopo il giudicato di condanna al pagamento dei soli interessi legali, anche il maggior danno da svalutazione monetaria di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. anteriormente verificatosi, trattandosi di distinte voci dello stesso danno determinato da un unico fatto generatore.

Casistica

CASISTICA

La tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente

L'obbligazione di risarcire il danno è una tipica obbligazione di valore, avendo la funzione non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro. Ne consegue che, come si è già visto, al creditore spettano sia la rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che il lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto), utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente (come per prima ebbe a chiarire la celebre Cass. civ., Sez. Un., n. 1712/1995; cfr. Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5234, Cass. civ., n. 10884/2007 e Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26008).

Il ricorso al rendimento medio dei titoli di Stato

Per calcolare il danno all'attualità occorre far ricorso a due diversi tassi ove sia necessario calcolare entrambi gli accessori. Qualora il credito sia stato conteggiato già con rivalutazione (per liquidazione all'attualità), il ricorso agli indici FOI, indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, pubblicati dallo ISTAT e reperibili sul sito "istat.it", vengono in rilievo per il calcolo della c.d. somma devalutata. Per calcolare il lucro cessante, invece, si può far ricorso al rendimento medio dei titoli di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre della somma, l'avrebbe investita in titoli di stato (c.d. "rendistato", pubblicato dalla Banca d'Italia); ovvero applicare il tasso degli interessi legali. Ogni calcolo, comunque, deve tener conto che la data di decorrenza di rivalutazione ed interessi è quella del fatto illecito (non essendo necessaria la messa in mora del debitore) e che, inoltre, le operazioni di liquidazione devono essere attualizzate al momento in cui si procede alla determinazione delle somme dovute al danneggiato e, quindi, anche da parte del giudice di secondo grado ove sia ancora in contestazione la quantificazione del danno (App. Roma, sez. III, 8 agosto 2017, n. 5342; App. Roma, sez. III, 2 agosto 2017, n. 5260).

Gli interessi compensativi

Ai fini dell'integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2016, n. 11899).

Il danno da mala gestio

Il danno da mala gestio dell'assicuratore della r.c.a. deve essere liquidato, allorché il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, ovvero, in alternativa, attraverso la rivalutazione dello stesso, se l'inflazione è stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione 1224, secondo comma, cod. civ., mentre, se lo stesso era originariamente inferiore al massimale e solo in seguito è levitato oltre tale soglia, il danno è pari alla rivalutazione del credito, cui va aggiunto il danno da lucro cessante liquidato secondo i criteri previsti per l'ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore (Cass. civ., sez. VI, 26 aprile 2017, n. 10221).

Il risarcimento dei danni negli appalti pubblici

In tema di appalti pubblici, l'amministrazione risponde a titolo contrattuale dell'inadempimento ai propri obblighi, sicché, alla stregua dei principi generali regolanti la corrispondente responsabilità, competono all'appaltatore, sulla somma a lui spettante a titolo di risarcimento del danno, la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, e, sull'importo rivalutato, gli interessi legali, con la conseguenza che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, che prescinde del tutto dalle riserve formulate che attengono ai compensi dovuti in caso in cui il contratto resti in vita, deve essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2017, n. 973).

Il risarcimento del danno spettante al promissario acquirente

Il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza, tra il valore commerciale del bene, da determinarsi con riferimento al momento della proposizione della domanda, ed il prezzo pattuito, tenendo conto della rivalutazione dell'importo previsto in contratto solo nell'ipotesi in cui il prezzo sia stato pagato (Nella specie la sentenza impugnata è stata cassata perché, ai fini della determinazione del danno, si era proceduto alla rivalutazione monetaria anche se il prezzo era stato tempestivamente corrisposto al promittente venditore) (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2017, n. 28375).

Revoca dell'aggiudicazione di una gara d'appalto

La somma riconosciuta a titolo risarcitorio, a fronte della revoca in autotutela dell'aggiudicazione di una gara d'appalto, costituisce un debito di valore, per cui si debbono aggiungere la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e gli interessi; la prima spetta con decorrenza dalla data di adozione del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione fino a quello di pubblicazione della sentenza; da quest'ultima data, sulla somma rivalutata vanno computati gli interessi fino all'effettivo soddisfo (Tar Lombardia Brescia, sez. II, 29 novembre 2016, n. 1634).

Il danno da responsabilità precontrattuale della p.a.

Al danno emergente da liquidarsi in caso di accertata responsabilità precontrattuale della p.a. devono essere aggiunti gli importi della rivalutazione e gli interessi legali sulla somma rivalutata. Avendo tale somma natura risarcitoria e costituendo un debito di valore, la rivalutazione dovrà essere computata a partire dal concretizzarsi dell'evento dannoso, consistente nella definitiva perdita delle somme investite per effetto del provvedimento di auto annullamento (Tar Lazio Roma, sez. II, 2 settembre 2015, n. 11008).

Riferimenti
  • Franzoni, Commentario Scialoja-Branca, Libro IV, Artt. 2043-2059, 1993, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma;
  • Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, 605 ss.;
  • Grisi, Sviluppi sul terreno della liquidazione equitativa del danno e dintorni, in Contr. e Impr., 2014, 1171 ss.;
  • Libertini, Interessi, in Enc. Dir., XXII, 1972, 116 e ss.;
  • Rizzo, Momento della determinazione del danno e mora del debitore, in Riv. dir. civ., 2010, I, 245;
  • Viola, La responsabilità civile e il danno, vol. I, Halley, 2007, 463 ss..

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