L'estensione della dichiarazione di fallimento al socio accomandatario di fatto

08 Marzo 2019

Il socio accomandante che, in assenza di una procura speciale per i singoli atti e al di fuori di un rapporto di subordinazione diretto con il socio accomandatario, si ingerisce nella gestione della società, così violando il divieto previsto dall'art. 2320 c.c., risponde solidalmente ed illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali, indipendentemente dall'intensità e dalla continuità della sua indebita ingerenza, ed è assoggettabile a fallimento ex art. 147 l.fall.
Massima

Il socio accomandante che, in assenza di una procura speciale per i singoli atti e al di fuori di un rapporto di subordinazione diretto con il socio accomandatario, si ingerisce nella gestione della società, così violando il divieto previsto dall'art. 2320 c.c., risponde solidalmente ed illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali, indipendentemente dall'intensità e dalla continuità della sua indebita ingerenza, ed è assoggettabile a fallimento ex art. 147 l.fall.

L'avvenuta sottoscrizione degli assegni sotto il nome ed il timbro sociale, nel luogo fisico, cioè, dove viene usualmente apposta la firma dell'amministratore nella qualità, in difetto della prova della sussistenza di una mera delega di cassa, è già ex se sufficiente ad integrare la violazione del divieto di cui all'art. 2320 c.c., con conseguente decadenza dal beneficio della limitazione di responsabilità dell'accomandante ed estendibilità allo stesso del fallimento ex art. 147 l.fall.

La dichiarazione di fallimento dell'accomandatario di fatto (occulto) di una società in accomandita semplice non costituisce una nuova ed autonoma dichiarazione di fallimento, ma una dichiarazione di fallimento “in estensione” ai sensi dell'articolo 147 l.fall. e non richiede, pertanto, l'accertamento né dello stato di insolvenza, né dell'avvenuto superamento delle soglie di fallibilità perché tali presupposti sono gli stessi già valutati ed individuati con riguardo alla società dichiarata fallita: nella fattispecie, infatti, la dichiarazione del fallimento in estensione comporta la sola individuazione di un altro soggetto da sottoporre alla medesima procedura.

Il caso

Con il provvedimento in commento il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato, ai sensi dell'art. 147 l. fall., il fallimento del socio accomandante di una società in accomandita semplice, ritenendo che lo stesso si fosse ingerito nella gestione della società, in violazione del divieto di cui all'art. 2320 c.c., con conseguente perdita del beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Busto Arsizio ha ritenuto assoggettabile alla procedura fallimentare il socio accomandante di una s.a.s. il quale, agendo come vero e proprio amministratore di fatto della società, aveva violato il divieto di immistione previsto dall'art. 2320 c.c., così assumendo la responsabilità illimitata e solidale con il socio accomandatario palese (nella specie, la moglie), già dichiarato fallito, per tutte le obbligazioni sociali. Inoltre, come si evince dall'ultima massima sopra riportata, il Tribunale ha affermato il principio dell'accessorietà della dichiarazione di fallimento cd. in estensione rispetto alla dichiarazione di fallimento “principale”, con conseguente esclusione della necessità di procedere a un nuovo accertamento dei relativi presupposti (e in particolare dello stato di insolvenza e del superamento delle soglie di fallibilità).

Osservazioni

La sentenza qui in commento ha risolto positivamente, in conformità a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la questione, già dibattuta in dottrina, dell'assoggettabilità o meno al fallimento ex art. 147 l. fall. del socio accomandante che abbia perso il beneficio della responsabilità limitata a seguito della violazione del divieto di immistione previsto dall'art. 2320 c.c. Al riguardo, vi è chi ha sostenuto che la nuova formulazione dell'art. 147 l. fall. non consentirebbe la dichiarazione di fallimento dell'accomandante, posto che detta norma farebbe riferimento ai soli soci originariamente e istituzionalmente soggetti a responsabilità illimitata, e non a quelli divenuti tali per vicende successive, in coerenza con la regola per cui non è più possibile il fallimento in estensione del socio unico di società di capitali che divenga illimitatamente responsabile. Sennonché, contro una simile impostazione militano una serie di argomenti, a cominciare dal tenore letterale dell'art. 147, primo comma, l. fall., il quale, nel sancire la fallibilità, tra gli altri, dei soci illimitatamente responsabili di società di persone, non opera alcuna distinzione tra i soci illimitatamente responsabili ab origine e quelli che lo siano diventati in seguito (come avviene, tipicamente, nel caso del socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società); del resto, come è stato giustamente osservato, l'esonero dal fallimento di colui che riveste il ruolo di vero gestore della società sotto le mentite spoglie dell'accomandante non sarebbe sorretto da alcuna valida giustificazione.

Sotto il profilo dell'onere probatorio, è senz'altro da condividersi la tesi secondo cui la prova dell'effettiva ingerenza del socio accomandante nella gestione della società debba essere fornita dal curatore (o eventualmente dal diverso soggetto legittimato a chiedere l'estensione del fallimento ai sensi dell'art. 147, quarto comma, l. fall.), essendo necessario, all'uopo, “dimostrare che l'accomandante ha svolto un'attività gestoria vera e propria consistita nella direzione di affari sociali implicanti scelte proprie degli amministratori, mentre non è sufficiente ai fini dell'estensione il compimento da parte dell'accomandante di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società” (così Trib. Mantova, 11 ottobre 2007, in Società, 2008, 735, con nota di RONCO). A quest'ultimo proposito, peraltro, appare corretta l'enunciazione contenuta nella sentenza in commento, ed espressa nella seconda massima sopra riportata, circa l'idoneità della sottoscrizione degli assegni emessi dalla società a integrare una violazione del divieto di immistione, posto che tale condotta comporta la spendita del nome sociale e con essa, in assenza di una procura speciale per i singoli atti, l'assunzione di fatto, da parte del socio accomandante, di una funzione di rappresentanza dell'ente incompatibile con il beneficio della responsabilità limitata (nel medesimo senso si è espressa anche la Suprema Corte: cfr. Cass., 6 novembre 2014, n. 23651); né la condotta in esame sembra potersi assimilare, sotto tale profilo, al pagamento di debiti sociali con denaro proprio dell'accomandante, che (così come la prestazione di garanzie personali per debiti della società) non è di per sé idoneo, secondo la prevalente giurisprudenza, a integrare la violazione del divieto posto dall'art. 2320 c.c., posto che in tal caso il socio spende il proprio nome ed effettua finanziamenti con proprio denaro (in tal senso, cfr. Cass., 6 novembre 2014, n. 23651, cit., Cass., 28 aprile 2004, n. 8093 e Cass., 7 novembre 1998, n. 11227; si veda però, in senso contrario, con riferimento all'ipotesi di rilascio di fideiussioni omnibus da parte del socio accomandante: Cass., 27 novembre 1997, n. 1195; Cass., 26 febbraio 1988, n. 2041).

Un ultimo interessante profilo trattato dalla pronuncia in commento è quello – a cui si riferisce l'ultima massima sopra riportata – relativo ai rapporti tra la sentenza dichiarativa di fallimento della società e la successiva dichiarazione di fallimento del socio accomandatario di fatto ex art. 147 l. fall. A quest'ultimo proposito, il Tribunale di Busto Arsizio ha giustamente ritenuto superfluo procedere, in sede di dichiarazione di fallimento in estensione, a un nuovo accertamento dei relativi presupposti, e in primis dello stato di insolvenza e del superamento delle soglie di fallibilità di cui all'art. 1 l.fall., in quanto già vagliati al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento “principale”. Al riguardo, è comunque opportuno fare presente che, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, “il fallimento dei soci illimitatamente responsabili per contratto sociale o per previsione normativa, dà luogo ad un fallimento autonomo e non già ad una procedura concorsuale accessoria o dipendente da quello principale” (Trib. Mantova, 11 ottobre 2007, cit.), attesa la necessità di tenere distinte le masse passive riconducibili, rispettivamente, alla società e ai singoli soci illimitatamente responsabili (in tal senso, si vedano anche: Cass., 1 marzo 2005, n. 4284; Cass., 11 giugno 2004, n. 11084).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In materia di estensione della dichiarazione di fallimento al socio accomandatario di fatto si segnalano, in giurisprudenza, oltre alle pronunce già richiamate nel corpo del commento: Cass., 17 dicembre 2012, n. 23211, in Giur. It., 2013, 6, 1317, con nota di IOZZO; Cass., 7 giugno 2000, n. 7695, in Dir. Fall., 2001, II, 642; Cass., 7 giugno 2000, n. 7554, in Società, 2000, 1077; Cass., 11 settembre 1999, n. 9688, in Fall., 2000, 519, con nota di PATINI.

In dottrina, la questione è stata affrontata, tra gli altri, da: COTTINO, SARALE, WEIGMANN, Società di persone e consorzi, in Trattato di diritto commerciale, diretto da COTTINO, Padova 2004, 207; CARIDI, Articolo 147, in La riforma della legge fallimentare a cura di Nigro e Sandulli, Torino 2007, 898; NIGRO, Articolo 147, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, coordinato da Fabiani, Bologna 2007, 2180; CAVALLI, Il fallimento degli imprenditori collettivi, in Trattato di diritto commerciale, diretto da COTTINO, Padova 2009, 102.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario