Il rapporto fra magistrati persone fisiche che devono trattare le due fasi dell'opposizione agli atti esecutivi
11 Marzo 2019
Massima
Il disposto dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c. è finalizzato ad escludere unicamente la coincidenza fra i magistrati persone fisiche che debbano trattare le due fasi (sommaria e ordinaria) del procedimento di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., e non implica quindi che il magistrato persona fisica cui sia demandata la trattazione della fase di merito dell'opposizione suddetta non possa coincidere con quello designato quale giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 484 c.p.c.. Il caso
Nell'ambito di un procedimento di espropriazione immobiliare, l'esecutato proponeva avverso la sentenza del Tribunale di Patti, che dichiarava inammissibile l'opposizione spiegata ai sensi sia dell'art. 615 c.p.c. sia dell'art. 617 c.p.c., ricorso straordinario in cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c., stante la coincidenza del magistrato designato alla trattazione della fase di merito con quello designato ad esercitare le funzioni di giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 484 c.p.c.. Più precisamente, con il primo motivo di ricorso si censurava la decisione del Tribunale di escludere la ricorrenza di questioni di incompatibilità, ai sensi dell'art.186-bis disp. att. c.p.c., quanto all'estensore della sentenza impugnata, che, pur essendo magistrato-persona fisica diversa da quello che aveva pronunciato l'ordinanza cautelare di rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecuzione, aveva tuttavia conosciuto degli atti della procedura esecutiva opposta susseguenti, giacché assegnatario della stessa quale giudice dell'esecuzione. La questione
Premessa la ricorrenza delle condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168/2016, conv. con modif. dalla l. n. 197/2016, e precisata l'ammissibilità del ricorso ex art. 111, comma 7, Cost. unicamente con riguardo alla decisione resa nella impugnata sentenza sul terzo motivo del ricorso in opposizione, unico motivo fondante l'opposizione agli atti esecutivi, la Suprema Corte prende posizione sulla interpretazione dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c., introdotto dal comma 7 dell'art. 52, l. 18 giugno 2009, n. 69, al fine di chiarire se a tale norma debba attribuirsi una portata applicativa restrittiva, per cui la disposta incompatibilità sussiste unicamente fra i magistrati persone fisiche chiamati a trattare le due fasi (sommaria e ordinaria) del procedimento di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., oppure estensiva, e, dunque, riferibile anche alle ipotesi di coincidenza fra le funzioni di giudice della trattazione della fase a cognizione piena dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. e le funzioni di giudice dell'esecuzione.
Le soluzioni giuridiche
Muovendo dalla formulazione letterale dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c. in uno con la ratio ispiratrice della disposizione, che è di escludere che il magistrato che ha deciso la fase sommaria sia la stessa persona fisica chiamata a decidere l'opposizione agli atti nel merito, l'ordinanza in esame, una volta ricondotta la fattispecie nell'alveo delle nullità di cui all'art. 158 c.p.c., afferma che l'estensione della incompatibilità alla coincidenza fra le funzioni di giudice della trattazione della fase cognitiva dell'opposizione agli atti e le funzioni di giudice dell'esecuzione esulerebbe giocoforza dalla logica della norma citata, posto che essa si riferisce alla necessaria separazione dei poteri di trattazione e decisione unicamente con riguardo alle due fasi di un unitario procedimento di cognizione piena (quello di opposizione agli atti), che resta una parentesi nel corso del giudizio di esecuzione e non una fase o un grado di quest'ultimo. La Suprema Corte, inoltre, taccia come del tutto inconferenti rispetto alla suesposta ratio della norma in esame le osservazioni di parte ricorrente, secondo cui, per dare corso all'esecuzione, il giudice dell'esecuzione coincidente come persona fisica con quello affidatario del giudizio di merito, necessariamente "farebbe proprie" le valutazioni espresse dal magistrato gestore della fase sommaria, osservando per contro che se è vero che il magistrato designato quale giudice dell'esecuzione è vincolato dal provvedimento cautelare emesso a seguito della fase sommaria, denegatorio della sospensione o dispositivo del come procedere, il magistrato preposto alla trattazione della fase di merito, quand'anche stessa persona fisica, riacquista piena libertà rispetto al provvedimento sommario, dovendo procedere alla valutazione delle ragioni dell'opposizione secondo le regole della cognizione piena. Ne consegue che deve escludersi qualsivoglia interpretazione estensiva dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c., atta a suffragare analoga inconciliabilità in ipotesi di coincidenza fra le funzioni di giudice della trattazione della fase a cognizione piena ex art. 618, comma 2, c.p.c. e le funzioni di giudice dell'esecuzione, e finanche la possibilità di pervenire al medesimo risultato mediante ricorso ad un'esegesi analogica, da ritenersi preclusa in radice in ragione della natura eccezionale della disposizione citata. Osservazioni
Per essere competente a decidere della causa di opposizione agli atti esecutivi l'ufficio giudiziario cui appartiene il Giudice dell'esecuzione, autorevole dottrina non ha nel tempo mancato di sottolineare come la possibile coincidenza nella stessa persona fisica del magistrato preposto alla trattazione dell'opposizione agli atti esecutivi e quello designato quale giudice dell'esecuzione si ponesse in contrasto con il principio di imparzialità e del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost., apparendo di certo inopportuno che lo stesso giudice persona fisica fosse chiamato sia ad emanare una misura esecutiva, sia ad istruire e decidere del processo a cognizione piena instaurato per accertare la nullità di tale atto (per tutti, Oriani, 16). Né la dottrina ha mancato di prospettare l'inopportunità riconnessa alla possibilità che le due fasi dell'opposizione agli atti esecutivi – cautelare e cognitiva piena – potessero essere trattate e decise dallo stesso magistrato persona fisica, correndosi l'evidente rischio che in sede di cognizione piena il magistrato potesse subire l'influenza delle valutazioni già espresse in sede cautelare. Sollevata la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24, comma 1, 25, 101, comma 2, 104, comma 1, e 111, comma 2, Cost., la q.l.c. degli artt. 51, comma 1 n. 4, 617, comma 2, e 618 c.p.c., nella parte in cui non prevedono l'obbligo di astensione del giudice dell'esecuzione chiamato a conoscere dell'opposizione agli atti esecutivi, la Consulta la dichiarava manifestamente infondata sul presupposto, tra gli altri, che la causa di opposizione non ha ad oggetto la stessa res judicanda del giudizio di esecuzione, non essendo l'opposizione un diverso grado di un unico processo ma un distinto processo a cognizione piena nel contraddittorio delle parti (Corte cost., 28 novembre 2002, n. 497). Deve, allora, ritenersi che l'introduzione dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c. sia il frutto del recepimento da parte del legislatore della riforma del 2009, da un lato, della interpretazione offerta dalla Consulta con la decisione appena citata, e, dall'altro, dei timori espressi dalla dottrina limitatamente alla possibile coincidenza del magistrato persona fisica chiamato a trattare fase cautelare e a cognizione piena dell'opposizione agli atti esecutivi. La decisione in commento, infatti, coerentemente si allinea alla netta demarcazione già operata dai giudici delle leggi di una differenza ontologica tra la causa di opposizione agli atti esecutivi e il giudizio di esecuzione. Ciò nondimeno, la sovrapposizione delle due funzioni (ossia di giudice dell'opposizione agli atti nel merito e di giudice dell'esecuzione), a favore della quale si è espressa la Suprema Corte nella pronuncia in commento, non potrà che continuare ad essere declinata nel rispetto del tenore letterale dell'art. 186-bis disp. att. c.p.c., che, nel postulare esplicitamente la necessaria diversità del magistrato chiamato alla trattazione dei giudizi di merito ex art. 618 c.p.c. da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta l'opposizione, implica giocoforza che il giudice dell'esecuzione possa assumere le vesti di istruttore della causa di opposizione agli atti esecutivi se e solo se relativa ad atti diversi, ovverosia nei soli casi in cui l'opposizione si diriga nei confronti di un atto esecutivo in senso stretto, del quale il giudice dell'esecuzione non abbia conosciuto con una propria decisione.
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