È legittimo il criterio dell'alta specializzazione se valutato in relazione al contesto produttivo aziendale

11 Marzo 2019

Laddove la realtà produttiva aziendale sia caratterizzata da una particolare (e delicata) specializzazione (nel settore tecnico produttivo – nella fattispecie bonifica bellica, ambientale e relativo monitoraggio), il criterio dell'alta specializzazione non può ritenersi generico o arbitrario, dovendo essere valutato, conformemente a quanto stabilito nell'accordo collettivo stipulato in applicazione dell'art. 5, comma 1, l. 23 luglio 1991, n. 223, nel peculiare contesto produttivo nel quale è chiamato ad operare.
Massima

Laddove la realtà produttiva aziendale sia caratterizzata da una particolare (e delicata) specializzazione (nel settore tecnico produttivo – nella fattispecie bonifica bellica, ambientale e relativo monitoraggio), il criterio dell'alta specializzazione non può ritenersi generico o arbitrario, dovendo essere valutato, conformemente a quanto stabilito nell'accordo collettivo stipulato in applicazione dell'art. 5, comma 1, l. 23 luglio 1991, n. 223, nel peculiare contesto produttivo nel quale è chiamato ad operare.

Il caso

Il lavoratore licenziato da un'impresa specializzata in bonifica bellica, ambientale e relativo monitoraggio ha proposto ricorso contestando la violazione dei criteri di scelta, nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale ed insistendo per la declaratoria di invalidità del provvedimento espulsivo e la reintegra nel posto di lavoro corredata dal risarcimento del danno a ciò conseguente.

In accoglimento parziale della tesi difensiva del lavoratore (che aveva anche richiesto l'accertamento di un periodo pregresso di lavoro subordinato antecedente a quello formalmente dichiarato), il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento e disposto la reintegra del dipendente nonché il pagamento in suo favore di nove mensilità della retribuzione globale di fatto.

Il datore di lavoro, nel reiterare in sede di appello le eccezioni già sollevate in primo grado ha, dunque, ribadito l'esistenza di reali ragioni tali da giustificare il ricorso alla procedura di mobilità di cui all'art. 4, commi 6 e 7, l. n. 223 del 1991, e all'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 469 del 1997 e, soprattutto, il rispetto dei criteri di scelta pattuiti con i soggetti sindacali partecipanti alla procedura di informazione e consultazione svoltasi in applicazione del già richiamato art. 4, considerate le esigenze tecnico – produttive aziendali.

Viceversa, la Corte di appello di Napoli, nel confermare la decisione impugnata, ha motivato la propria decisione con la genericità ed illegittimità dei criteri di scelta dei licenziandi.

L'unico motivo di ricorso – che poi costituisce il principale snodo argomentativo della vicenda qui in esame – riassume la tesi difensiva dell'impresa e consiste nella violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 4 e 5,l. n. 223 del 1991, e degli artt. 1362 e 1372, c.c., in relazione all'accordo collettivo stipulato a chiusura della procedura di licenziamento collettivo ed agli artt. 30, l. n. 183 del 2010 e 41, Cost.

Secondo l'accordo, i 30 lavoratori eccedenti dichiarati nel settore tecnico produttivo (bonifica bellica, ambientale e monitoraggio), in quello della ricerca e nei settori di supporto avrebbero dovuto essere individuati sulla base del criterio dell'alta specializzazione, connesso alle esigenze tecnico produttive ed organizzative.

Con riferimento all'applicazione di tale criterio, dal momento che il bilancio evidenziava una netta perdita e la riduzione di personale sarebbe stata “trasversale”, tale criterio era stato applicato in tutti i settori dell'azienda. Peraltro, nell'accordo era stato specificato che comparazione non avrebbe potuto essere effettuata tra addetti a settori diversi. Riguardo all'applicazione del criterio dell'alta specializzazione, in base all'accordo la laurea in ingegneria elettronica del lavoratore resistente si sarebbe dovuta ritenere come di minor valore rispetto a quella in ingegneria ambientale di altro personale (esaminato dalla Corte di merito); quindi il giudice del merito non avrebbe dovuto sindacare le scelte aziendali come imposto dall'art. 30,l. n. 183 del 2010 e dall'art. 41, Cost.

Le questioni

La questione che viene prospettata alla Corte concerne la legittimità dei criteri di scelta che possono essere pattuiti nell'accordo sindacale raggiunto all'esito della articolata procedura prevista dall'art. 4, commi 5-7, l. n. 223 del 1991.

In particolare, la questione approfondita dal Supremo Collegio è se le peculiarità di una determinata e specifica realtà aziendale possano ispirare in via esclusiva i criteri contrattuali (o, come in questo caso, l'unico criterio contrattuale) in luogo del mix di criteri legali (carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive ed organizzative).

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha stabilito – accogliendo l'unico motivo di ricorso prospettato dalla difesa della società – che in materia di licenziamenti per riduzione del personale, l'accordo sindacale sottoscritto all'esito della procedura sindacale può legittimamente contenere dei criteri di scelta più idonei (in relazione alla specificità della realtà aziendale interessata) al fine della “migliore individuazione” dei lavoratori che dovranno essere licenziati; così confermando, inoltre, la prevalenza dei criteri poc'anzi richiamati rispetto a quelli di matrice legale (carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive ed organizzative): da ultimo, nello stesso senso, Cass. 10 dicembre 2018, n. 31872).

Tale principio deve essere ribadito “a maggior ragione” nel caso in cui, per la peculiarità e in relazione all' “alta specializzazione” dell'attività aziendale, il ricorso ai criteri legali non permetterebbe di perseguire efficacemente l'obiettivo “pacificamente permeante la procedura in questione”: quello, cioè, di salvaguardare la prosecuzione dell'attività produttiva e, di conseguenza, i livelli occupazionali aziendali.

Attese tali premesse, viene considerato erroneo l'iter argomentativo della sentenza d'appello nella misura in cui è stato ritenuto “eccessivamente generico” il criterio adottato e definito “dell'alta specializzazione in funzione delle esigenze tecnico produttive” poiché non recante alcun richiamo a specializzazioni individuate.

Peraltro, l'applicazione dei criteri legali in luogo di quello concordato nell'accordo sindacale ha portato i Giudici del merito ad operare una comparazione tra la posizione del lavoratore ricorrente (con laurea in ingegneria elettronica) e quella di altri colleghi, con laurea in ingegneria ambientale e rimasti in servizio sia pure vantando anzianità e carichi di famiglia inferiori.

Quel che maggiormente rileva, ad avviso della Suprema Corte, è lo svolgimento – da parte della società ricorrente – di una “delicata ed altamente specialistica” attività nell'ambito della bonifica bellica ed ambientale e del relativo monitoraggio, della ricerca e del supporto. Pertanto, l'attribuzione di un valore prevalente e predominante (operata dai Giudici del merito) ai criteri legali (nel caso, il criterio dell'anzianità e quello dei carichi di famiglia) rispetto a quelli concordati dalle OO.SS. configura un erroneo capovolgimento nella gerarchia dei criteri che, invece, potrebbe essere ammesso solamente nel caso in cui il criterio sindacale risulti illegittimo (se, peraltro, ritualmente censurato dal lavoratore).

V'è, dunque, da ritenere che, ove la realtà produttiva aziendale risulti caratterizzata da un'evidente ed innegabile specializzazione, deve escludersi la genericità del criterio in esame che, anzi, deve essere esaminato alla luce del contesto produttivo nel quale dovrà operare; contesto che, quindi, opera come elemento orientativo per l'interpretazione dell'accordo sindacale nonché per la verifica della sua corretta applicazione.

Sulla base di queste considerazioni è stata cassata la motivazione dei giudici d'appello laddove, nello specifico, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato al lavoratore con laurea in ingegneria elettronica rispetto ad altri lavoratori (laureati, rispettivamente, in ingegneria ambientale e geologia) rispetto ai quali la sentenza di secondo grado aveva valutato solamente la minore anzianità aziendale.

Peraltro, avendo il lavoratore censurato in appello solamente la violazione dei criteri di scelta legali avrebbe dovuto essere precluso alla Corte di merito di accertare e dichiarare di sua iniziativa una nullità non correttamente censurata dal lavoratore: quella concernente l'illegittimità del criterio principale della maggiore specializzazione, individuato dalle parti.

Osservazioni

In generale, la corretta individuazione dei lavoratori “in esubero” deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale (criterio da applicarsi congiuntamente a quelli dei carichi di famiglia e dell'anzianità laddove non sia intervenuta una definizione pattizia dei criteri); in alternativa, ai fini dell'individuazione dei lavoratori da licenziare tali esigenze incideranno sulla scelta nei termini enunciati dagli accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali individuate dall'art. 4, comma 2, l. n. 223 del 1991, ed in concorso con gli eventuali ulteriori criteri individuati dai medesimi accordi.

I soggetti legittimati a partecipare alla procedura ed a negoziare gli accordi in materia di criteri di scelta sono le RSA - Rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'art. 19, l. 20 maggio 1970, n. 300, e le rispettive associazioni di categoria ovvero, in mancanza delle predette rappresentanze, le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Nell'ambito di una procedura di riduzione del personale, dunque ed in primo luogo, la fissazione dei criteri è devoluta alla contrattazione collettiva essendo, invece, ammesso il ricorso a quelli dettati dalla legge solamente in via residuale vantando quindi, questi ultimi, una funzione obiettivamente suppletiva. Si tratta di accordi che “procedimentalizzano” il potere datoriale involgente tutti i dipendenti (a prescindere dall'iscrizione o meno ad uno dei sindacati stipulanti) in quanto stipulati con soggetti agenti in forza di un interesse collettivo di ambito generale (che cioè “prescinde dai poteri di rappresentanza sugli associati”) costituito dalla tutela dei livelli occupazionali.

Poiché il ruolo primario che viene attribuito all'autonomia collettiva fa sì che questa assuma, in tale ambito, la funzione di fonte primaria di disciplina della materia appare, quindi, fondamentale l'innegabile e stringente esigenza individuare forme di adeguata composizione della potenziale contrapposizione di interessi che inevitabilmente si manifesta tra i dipendenti che dovranno essere licenziati, attraverso il riconoscimento del ruolo prevalente dell'autonomia collettiva sulla base della conoscenza che le parti sociali vantano sull'organizzazione e la produzione aziendale e sulla concomitante valutazione del possibile riposizionamento dei lavoratori sul mercato lavorativo.

Ed è proprio questa presunzione legale di una più approfondita conoscenza interna della specifica situazione aziendale (sotto il duplice e noto profilo tecnico produttivo ed organizzativo), che ha condotto il legislatore ad assegnare un ruolo predominante alla volontà sindacale di entrambe le parti; perché espressione di una situazione peculiare che di volta in volta può e deve essere esaminata a seconda delle caratteristiche (aziendali) del caso. Ed infatti, in precedenti pronunce, è stato pure valorizzato, anche nella prospettiva del diritto dell'Unione, il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico (Cass. n. 19547 del 2015).

L'importanza riconosciuta all'autonomia collettiva, però, non prescinde dal rispetto di alcuni limiti insuperabili: i criteri fissati dalla contrattazione collettiva non possono porsi in violazione delle norme imperative (debbono quindi mantenere una connotazione di oggettività e non tradursi in meri criteri-fotografia) né, tantomeno, legittimare scelte di carattere discriminatorio. Infatti, tali regole di “selezione” ed individuazione del personale licenziabile devono sempre porsi in linea con i principi di correttezza, buona fede e di razionalità; dovendo, peraltro, vantare requisiti oggettivi chiaramente verificabili tanto a priori (oggettività e non discriminatorietà) quanto con riferimento alla loro applicazione.

Peraltro, il datore di lavoro deve comunicare il criterio di selezione adottato “con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” e, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 4, comma 9 e - in linea con quanto affermato nella sentenza in commento - questi ha anche l'obbligo (nella comunicazione dallo stesso effettuata) di operare una valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessati al provvedimento “quanto meno con riguardo alle situazioni raffrontabili per livello di specializzazione” (Cass., sez. lav., 10 luglio 2013, n. 17119 e 5 agosto 2008, n. 21138).

Rileva, dunque, nel caso in esame, il criterio dell'alta specializzazione.

La Suprema Corte lo riconosce come legittimo tenuto conto delle esigenze tecnico produttive ed organizzative della specifica impresa interessata dall'eccedenza di personale che, in quanto ben note alle parti sindacali, possono costituire un elemento di orientamento della scelta consacrata nell'accordo sindacale; sì da prevalere rispetto ai criteri legali che intervengono nell'ambito della procedura sempre in via residuale.

V'è un unico limite che, però, deve essere ribadito: il criterio adottato con il raggiunto accordo sindacale non deve porsi in contrasto con i principi poc'anzi richiamati ed è illegittimo un criterio contrario alla correttezza, buona fede, ragionevolezza ed anche, affetto da “chiara genericità” o “inammissibile discrezionalità”.

Minimi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

Paternò, La selezione dei lavoratori nei licenziamenti per riduzione di personale, in Dir. lav. rel. ind., 1993, II, 131 e ss.

Sunna, I criteri di scelta, in Comm. Carinci, III, Torino, 2007, 536 ss.

Castelvetri, La negoziazione dei criteri di scelta nelle riduzioni di personale, in Riv. it. dir. lav., 2000, I, 187 ss.

Per il carattere residuale dei criteri di scelta legali, Cass., sez. lav., 5 agosto 2008, n. 21138, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 3, 1024; per quel che concerne la validità dei criteri contrattuali ed il rispetto delle norme imperative, principi costituzionali e con il principio di razionalità, Cass., 26 settembre 2002, n. 13962, in Arch. civ., 2003, 821 e Cass., sez. lav., 7 giugno 2003, n. 9153, in Not. giur. lav., 2004, 80 ed anche Cass., 7 gennaio 2009, n. 81. Sulla legittimità dell'adozione di un unico criterio di scelta dei lavoratori da porre in mobilità concernente la possibilità di accedere al pensionamento Cass.,30 marzo 2018, n. 7986; Cass., 26 aprile 2011, n. 9348; Cass., 27 gennaio 2011, n. 1938; Cass., 17 luglio 2012, n. 12257; inoltre Cass. civ., n. 19547 del 2015, che ha anche valorizzato, nella prospettiva del diritto dell'Unione, il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico.

Mentre in senso contrario quando il criterio di scelta della prossimità al pensionamento per non permettere l'esauriente ed univoca selezione dei lavoratori in modo da poter essere applicato senza margini di discrezionalità Cass., 22 giugno 2012, n. 10424. Sulla inefficacia o l'annullamento del licenziamento per riduzione di personale e sull'onere della prova a carico del lavoratore in relazione alle irregolarità della procedura, Cass.,sez. lav., 4 dicembre 2017, n. 28972. Per quel che concerne, da ultimo, la delimitazione dei poteri ad un particolare settore aziendale si veda, tra le altre, Cass., 9 marzo 2015, n. 4678.