Legge di bilancio 2019 e “danno differenziale INAIL”: nessun segno meno per i lavoratori danneggiati

13 Marzo 2019

In questo contributo si dimostra come i ritocchi apportati dalla Legge di Bilancio 2019 ad alcune disposizioni relative al “danno differenziale INAIL” non autorizzino ribassi della tutela risarcitoria dei lavoratori rispetto a quella delineata dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità.
Premessa: la questione posta dalla Legge di Bilancio 2019

Lo si è ribadito anche recentemente: le molteplici questioni sulla compensatio lucri cum damno e sul danno differenziale” sono lungi dall'essere state risolte dalle quattro pronunce delle Sezioni Unite del 22 maggio 2018 (Cass. civ. n. 12564/2018; Cass. civ. n. 12565/2018; Cass. civ. n. 12566/2018 e Cass. civ. n. 12567/2018), ciò anche con riferimento alle interazioni tra diritto al risarcimento del danno del lavoratore leso (o dei suoi famigliari) ed indennizzi/rendite INAIL (al riguardo si rinvia amplius a M. BONA, Le Sezioni Unite 2018 sulla compensatio: nulla di dirimente, in Ridare.it, 28 agosto 2018).

In estrema sintesi si rimane qui convinti, anche alla luce dei principi reiteratamente espressi dalla Consulta proprio sul tema delle interazioni tra tutela indennitaria-assicurativa dei lavoratori e “sistema RC”, che l'impostazione corretta della specifica “questione INAIL” sia la seguente:

a) la vittima d'un fatto illecito o di un inadempimento, la quale, per tale evento oggetto di copertura INAIL, abbia ottenuto da questo Istituto una somma a titolo di indennizzo una tantum o di rendita finalizzata a ristorare un determinato pregiudizio (biologico e/o patrimoniale), conserva in via integrale il credito risarcitorio per ogni altro pregiudizio non ricoperto dalla somma corrisposta dall'INAIL; dunque, soltanto per i pregiudizi specificatamente coperti dall'INAIL può porsi la questione del “danno differenziale”;

b) allorquando l'INAIL corrisponda una somma volta a ristorare un determinato pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, ha diritto di regresso e di surrogazione (cui corrisponde la perdita del diritto di credito da parte della vittima nei confronti del responsabile civile) esclusivamente in relazione al pregiudizio effettivamente coperto ed al contempo soltanto nella precisa misura in cui sussista la responsabilità dell'autore del fatto illecito o dell'inadempimento, giacché l'INAIL può rivalersi o subentrare nel credito risarcitorio nella stessa identica posizione del danneggiato; dunque, il responsabile civile od il suo assicuratore dovrebbero poter opporre al danneggiato il diritto di regresso o di surrogazione dell'INAIL ridotto nella misura corrispondente all'eventuale concorso di colpa addebitato alla vittima (esempio: se l'INAIL ha pagato 100 al danneggiato a titolo di danno biologico, ma sussiste un concorso di colpa di quest'ultimo nella misura del 50%, l'INAIL potrà conseguire dal responsabile civile soltanto il 50% della somma versata; specularmente il responsabile civile o il suo assicuratore non potrà pretendere di sottrarre al credito risarcitorio del danneggiato più del 50% della somma alla base dell'azione di surrogazione);

c) alla luce delle logiche dell'istituto e dei principi sanciti dalla Consulta, il metodo corretto per calcolare il “danno differenziale” è quello per cui la somma INAIL accordata per una determinata posta di danno viene sottratta soltanto alla posta risarcitoria dello stesso tipo (per esempio: l'indennizzo INAIL per il danno biologico permanente può essere sottratto al solo credito risarcitorio per tale posta, ma non già anche al credito per il danno biologico temporaneo o per il danno morale o per la personalizzazione del danno biologico permanente atteso, in relazione a quest'ultima “componente”, che l'indennizzo INAIL non è personalizzato); in questa prospettiva, laddove la somma INAIL si componga di più voci (la rendita INAIL contempla una quota per il danno biologico permanente ed una per il danno patrimoniale da riduzione della capacità reddituale), occorre preliminarmente procedere a “spacchettare” la somma INAIL individuando le sue varie componenti (tale approccio alla questione del “danno differenziale” – etichettabile quale metodo dello “scorporo per poste ontologicamente omogenee” – è stato caldeggiato, sulla scia degli interventi della Consulta, dalla giurisprudenza di legittimità anche più recente: Cass. civ., sez. lav., 21 novembre 2017, n. 27669; Cass. civ., sez. lav., 10 aprile 2017, n. 9166; Cass. civ., sez. VI, ord. 9 novembre 2016, n. 22862; Cass. civ., sez. lav., 14 ottobre 2016, n. 20807; Cass. civ., sez. VI, ord. 30 agosto 2016, n. 17407; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222).

Come riferito, i predetti rilievi si reggono su chiare indicazioni della Consulta, la quale in più occasioni si è occupata delle interazioni tra tutela risarcitoria e tutela indennitaria, sempre ribadendo il fondamento costituzionale del diritto al risarcimento integrale del danno.

In particolare, può ricordarsi come la Corte costituzionale abbia affermato i seguenti capisaldi (cfr. amplius M. BONA, Il diritto al risarcimento integrale dei danni alla persona: il suo fondamento costituzionale nella giurisprudenza della Consulta, Ridare.it, 16 dicembre 2015):

  • primazia del diritto del danneggiato al risarcimento integrale del danno sulle pretese dell'assicuratore sociale (cfr., in particolare, Corte cost., 6 giugno 1989, n. 319, che per l'appunto sancì la sicura prevalenza del diritto del danneggiato ad una tutela integrale sull'interesse degli enti assicurativo-previdenziali a ripetere dall'assicuratore per la RCA quanto corrisposto a titolo indennitario alla vittima);
  • preclusione per le norme in materia di azioni di regresso o surrogazione degli assicuratori sociali di pregiudicare il diritto dei danneggiati al risarcimento integrale dei danni alla salute/da violazione di diritti inviolabili (Corte cost., 6 giugno 1989, n. 319; Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356 che dichiarò illegittimo, per violazione dell'art. 32 Cost., l'art. 1916 c.c. nella parte in cui consentiva all'INAIL di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questi dovute al lavoratore danneggiato, a titolo di risarcimento del danno biologico in quanto estranee all'oggetto della copertura assicurativa: «la discrezionalità legislativa, nel prevedere e disciplinare la surroga dell'assicuratore, deve esercitarsi nel rispetto dei principi costituzionali, e le finalità perseguite con l'attribuzione dell'azione di surroga non possono mai risolversi nel pregiudizio di valori costituzionalmente garantiti, quale è il diritto alla salute», sicché, «allorquando la copertura assicurativa […] non abbia ad oggetto il danno biologico, oppure si limiti ad indennizzare la perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto […], consentire che l'assicuratore, nell'esercizio del proprio diritto di surroga nei confronti del terzo responsabile, si avvalga anche del diritto dell'assicurato al risarcimento del danno biologico non coperto dalla prestazione assicurativa, significa, appunto sacrificare il diritto dell'assicurato stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell'art. 32 della Costituzione»; Corte cost., 27 dicembre 1991, n. 485, che affermò la preclusione per l'INAIL di avvalersi, ai fini dell'azione di regresso, delle somme dovute dal responsabile civile all'infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico cagionato da infortunio sul lavoro; Corte cost., 17 febbraio 1994, n. 37, che affermò come il diritto di surrogazione non potesse essere esteso neppure al danno morale giacché a sua volta estraneo al rischio assicurato, impostazione poi ribadita in Corte cost., 22 ottobre 1997, n. 319).

Ciò posto, la domanda che si affronta in questo contributo è essenzialmente la seguente: le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2019 sul versante delle azioni di surrogazione e di regresso dell'INAIL sono tali da incidere sulle predette soluzioni? Esse legittimano soluzioni in peius per i lavoratori danneggiati?

Le novità recate dalla Legge di Bilancio 2019 sul fronte del “danno differenziale”: quale ratio legis?

Nell'autentico “pandemonio” della Legge di Bilancio (legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021», in GU Serie Generale n. 302 del 31-12-2018 - Suppl. Ordinario n. 62) al comma 1126, inserito nella «Parte I» titolata «Misure quantitative per la realizzazione degli obiettivi programmatici», si rinvengono dei “ritocchi” apportati ad alcune norme nevralgiche nel contesto della tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, con specifico riguardo per le interazioni fra “sistema INAIL” e “sistema rc”.

In particolare, le modifiche riguardano gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 31 giugno 1965, n. 1124, nonché, sul fronte degli infortuni in itinere, l'art. 142 cod.ass., disposizioni già di per sé complesse e pure travagliate quanto alla loro interpretazione.

Prima di esaminare le novità in questione occorre interrogarsi sulla ratio legis delle stesse e sulla possibilità di ricostruire il senso preciso dei vari incisi aggiunti dalla novella e delle espressioni ivi contenute.

Innanzitutto va rammentato quanto segue:

  • il Disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati il 31 ottobre 2018 dal Ministro dell'Economia e delle Finanze (Tria), recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» (A.C. 1334), non conteneva disposizioni concernenti il tema delle azioni di surrogazione/regresso dell'INAIL e del “danno differenziale”;
  • in occasione del primo iter alla Camera nessuna norma, relativa a tali temi, veniva aggiunta al testo iniziale, sicché il disegno di legge veniva trasmesso al Senato l'8 dicembre 2018 senza contenere le disposizioni qui oggetto di disamina (cfr. l'Atto del Senato n. 981);
  • soltanto in occasione della seduta n. 77 del 22 dicembre 2018 il Governo, con una decisione oggetto di diverse critiche, sottoponeva alla Presidenza il testo di un maxi-emendamento (l'emendamento 1.9000) interamente sostitutivo dell'art. 1 del disegno di legge A.S. 981, sul quale, acquisita l'autorizzazione del Consiglio dei ministri, annunciava di porre la questione di fiducia; tale maxi-emendamento recava anche le norme relative al “danno differenziale” (cfr. dell'emendamento l'art. 1, commi da 653-sexies a 653-undecies, contenenti «Disposizioni in materia di premi e contributi INAIL ed in materia di tutela assicurativa INAIL»);
  • la Commissione programmazione economica, bilancio, la quale ebbe a disposizione neppure cinque ore per esaminare il testo dell'emendamento del Governo, esprimeva, per quanto di propria competenza, stringatissimo parere non ostativo;
  • in seno all'Assemblea generale del Senato non si discuteva minimamente dei predetti inserimenti; si affermava soltanto, nello scenario di una discussione contingentata al di sotto di ogni minimo termine e penalizzata dal voto di fiducia, che fra le centinaia di commi introdotti dal maxi-emendamento vi fossero anche non meglio precisati “tagli ai premi INAIL” con conseguenti “tagli al costo del lavoro”, generiche asserzioni intervenute pure in sede di discussione avanti la Camera dei deputati del disegno A.C. 1334-B (discussione a sua volta relegata sotto ogni limite accettabile).

I lavori parlamentari, pertanto, non offrono alcuna indicazione utile per il commento delle disposizioni in disamina.

A quest'ultimo rilievo potrebbe obiettarsi come in realtà vi siano degli spunti, pur ridotti all'osso, nel Dossier - n. 78/6, Legge di Bilancio 2019. Le modifiche approvate dal Senato della Repubblica Il maxiemendamento del Governo 1.9000. Edizione provvisoria, del 23 dicembre 2018, redatto dal Servizio Studi e dal Servizio del Bilancio del Senato e dal Servizio Studi della Camera (cfr., in particolare, le pagg. 609-612 del Dossier ove si illustra l'art. 1, commi 653-sexies - 653-undecies). Sennonché tali dossier, quali atti meramente interni predisposti da soggetti privi di funzioni legislative, non rappresentano e non testimoniano in alcun modo la “volontà” del legislatore (peraltro, nel caso di specie, neppure espressosi stante il ricorso al voto di fiducia); del resto, il caveat apposto di regola a questi dossier è inequivocabile: «La documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari». Soprattutto, come si esaminerà oltre, il Dossier in questione, in merito alle modifiche apportate sul fronte della tutela assicurativa INAIL, risulta per lo più inutile ed in taluni passaggi pure marcato da un'evidente incomprensione, da parte dei suoi redattori, circa il significato delle nuove disposizioni, illustrate con descrizioni totalmente prive di senso.

In breve, la disamina dei lavori parlamentari, non permette di individuare, neppure in via approssimativa, ratio legis e portata delle novità legislative qui in commento.

Venendo poi alla norma stessa, l'unica indicazione recata in apertura dal comma 1126 è la seguente: le modifiche ivi contenute sono introdotte «[i]n relazione alla revisione delle tariffe operata ai sensi dell'articolo 1, comma 128, della legge 23 dicembre 2013, n. 147, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 e dei criteri di calcolo per l'elaborazione dei relativi tassi medi».

A quest'ultimo riguardo, può sommariamente ricordarsi come il comma 1121, per “rimediare” alle minori entrate discendenti dal ribassamento, già intrapreso nel 2013, dei premi a carico dei datori di lavoro, abbia posto a carico del bilancio dello Stato complessivi 1.535 milioni di euro (in aggiunta a quelli già stanziati dall'art. 1, comma 128, legge 27 dicembre 2013, n. 147).

Al contempo, sempre ai fini del concorso alla copertura finanziaria delle minori entrate sono state previste, altresì, le seguenti misure:

  • «riduzione per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 delle risorse strutturali destinate dall'INAIL per il finanziamento dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro» (per un totale di 310 milioni di euro);
  • ricordandosi che l'INAIL premia con uno “sconto” le aziende che eseguono interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro in aggiunta a quelli minimi previsti dalla normativa in materia, «riduzione per ciascuno degli anni 2020 e 2021 delle risorse destinate allo sconto per prevenzione» (per complessivi cento milioni di euro), misura affidata ad un successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per la rimodulazione rimodulare delle percentuali di riduzione dello sconto per prevenzione (cfr. comma 1123, lett. b);
  • ulteriori possibili “riduzioni” di tali voci per l'anno 2021.

Tali “contromisure”, invero, sono discutibili nella misura in cui si operano tagli sul fronte dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché vanno in direzione opposta ad una legislazione premiale laddove si riducono gli sconti – già modesti – per le aziende più virtuose nell'adozione di misure precauzionali; per quanto qui d'interesse, però, esse, insieme alla copertura da parte del bilancio dello Stato dei minori introiti sul fronte dei premi, risultano riequilibrare la revisione delle tariffe, peraltro aggiungendosi la clausola di salvaguardia di cui al comma 1124, che fa salva l'adozione di «misure correttive» per il caso di un significativo scostamento negativo dell'andamento delle entrate dell'INAIL tale da compromettere l'equilibrio economico-finanziario ed attuariale della gestione assicurativa.

Ciò posto, è allora del tutto evidente come il succinto incipit del comma 1226 sia lungi dall'illuminare il senso delle disposizioni intervenute sul fronte del “danno differenziale”: nessuna relazione può ravvisarsi tra, da un lato, la revisione delle tariffe INAIL (misura, per inciso, dagli effetti assolutamente marginali sul piano del costo del lavoro) e, dall'altro lato, le “oscure” modifiche apportate alla disciplina sulle azioni di regresso e di surroga di questo istituto. Del resto, è del tutto intuitivo come non ricorrano connessioni logiche tra variazioni in peius della tutela risarcitoria dei lavoratori e “tagli ai premi” o “sconti per la prevenzione”.

Così inquadrato il tema, è, pertanto, inevitabile rilevare come l'incipit del comma 1226, laddove presenta le novità ivi recate come apportate «[i]n relazione alla revisione delle tariffe», rechi una “falsa rappresentazione”, ovvero un “falso pretesto”.

Alla luce di queste varie considerazioni, quindi, non può che concludersi nel senso che il quadro sin qui descritto, ponendo in luce l'assenza di qualsivoglia indicazione del legislatore circa la volontà di mutare i precedenti assetti della tutela assicurativa INAIL quanto al suo rapporto con il sistema della responsabilità civile, dovrebbe indurre gli interpreti alla massima cautela nell'addivenire a letture che in qualche modo possano sconfessare l'interpretazione costituzionalmente orientata perorata sia dalla Consulta che da prevalente giurisprudenza di legittimità.

Gli interventi modificativi del d.P.R. n. 1124/1965 in punto “danno differenziale”

Sul versante della responsabilità datoriale per il “danno differenziale” si rinvengono le seguenti modifiche:

  • all'art. 10 - ove si stabilisce che l'assicurazione apprestata dall'INAIL esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro (esonero che, invero, era stato circoscritto, innanzitutto dalla Consulta, alle sole poste di danno coperte dall'INAIL), facendosi salva per i reati procedibili di ufficio, nonostante tale tutela assicurativa, la responsabilità civile sia di coloro, i quali abbiano riportato condanna penale per il fatto causativo dell'infortunio, sia del datore di lavoro (quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro se del fatto imputabile a questi ne debba rispondere secondo il Codice civile) - sono apportate le seguenti aggiunte (riportate in grassetto):
    • comma 6: «Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo «complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo,» non ascende a somma maggiore dell'indennità che «a qualsiasi titolo ed indistintamente», per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto» (comma 1126, lett. a);
    • comma 7: «Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti «e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38»» (comma 1126, lett. b);
    • comma 8: «Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita «complessivamente» liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 «nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo»» (comma 1126, lett. c);
    • all'art. 11, ove si prevede l'azione di regresso dell'INAIL, sono apposti i seguenti “ritocchi” (sempre riportati in grassetto):
      • comma 1: «L'istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme «a qualsiasi titolo» pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie «nei limiti del complessivo danno risarcibile» contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita «a qualsiasi titolo» dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 «nonché ad ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo»» (comma 1126, lett. d e lett e);
      • nuovo comma 3: «Nella liquidazione dell'importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le modalità di esecuzione dell'obbligazione possono essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile» (comma 1126, lett. g).

Tali modifiche recano una riforma dei criteri di calcolo del “danno differenziale” nella prospettiva del regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro e della surrogazione dello stesso Istituto nei confronti del terzo responsabile?

Soprattutto: dal credito risarcitorio del lavoratore nei confronti del datore è possibile continuare a detrarre l'indennizzo pagato dall'INAIL “per poste” (quindi: la quota per il biologico soltanto dal danno biologico; la quota per il patrimoniale solo dal danno patrimoniale)?

Il calcolo del “danno differenziale”: quale credito risarcitorio residua in capo al lavoratore contro il datore?

Senz'altro per effetto dell'intervento del legislatore l'art. 10, comma 6, non muta la determinazione del “minuendo” funzionale al calcolo del “danno differenziale” a carico del datore di lavoro: infatti, il legislatore del 2018 ha unicamente precisato che il «risarcimento» da assumersi in considerazione per verificare se operi o meno l'esonero, di cui alla norma, va calcolato con riferimento ai soli «pregiudizi oggetto di indennizzo», così confermando la logica “costituzionalmente conforme”, condivisa da giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, per la quale non possono venire in rilievo ai fini della quantificazione del “danno differenziale” poste non coperte dall'INAIL.

In particolare, innanzitutto per il senso letterale del termine «indennizzo» ivi impiegato, risulta chiaro come tale espressione circoscriva le poste risarcitorie rilevanti ai fini del calcolo esclusivamente a quelle per l'appunto indennizzate dall'INAIL (dunque, ex art. 66 del testo unico ed in base all'art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000 le seguenti voci: il danno patrimoniale da assenza temporanea dal lavoro; il danno patrimoniale alla capacità di guadagno; il danno da assistenza personale continuativa; danni emergenti per cure mediche o chirurgiche, nonché per apparecchi di protesi; il danno biologico permanente). A supporto di questa interpretazione si è già posta una parte della dottrina (cfr. M. ROSSETTI, La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale, in questionegiustizia.it, 6 febbraio 2019, § 4.3, per il quale, infatti, «La norma […] stabilisce che il minuendo della nostra sottrazione non è l'intero risarcimento dovuto dal responsabile, ma solo il risarcimento dei danni oggetto di copertura assicurativa»).

Il problema si pone, invece, in relazione all'individuazione del “sottraendo” in relazione al quale, stando alla lettera della norma, si dovrebbe considerare, secondo una logica inconciliabile con quella che sorregge la prima espressione, ogni indennità corrisposta dall'INAIL «a qualsiasi titolo ed indistintamente».

L'uso del condizionale, invero, è qui d'obbligo, giacché in tutta evidenza non ha senso alcuno, sul piano innanzitutto della logica giuridica, che la norma impieghi criteri opposti per il “minuendo” e per il “sottraendo”. Soprattutto, si ha come l'interpretazione letterale della seconda espressione introdotta dal legislatore del 2018 possa condurre a risultati in tutto e per tutto paradossali: infatti, possono verificarsi, per effetto dell'esonero di cui all'art. 10, dinieghi risarcitori di pregiudizi (per esempio il danno biologico temporaneo od il danno morale) eppure in nessun modo coperti dall'INAIL (su tali risultati “aberranti” cfr. M. ROSSETTI, La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale, cit., § 4.3). Peraltro, trattasi di esiti in tutto e per tutto contrari alla logica che sostanzia la prima espressione («pregiudizi oggetto di indennizzo»).

Dinanzi a questo quadro, in base all'art. 12 delle preleggi occorre allora esaminare se il legislatore del 2018, ponendosi contro ogni razionalità ed al contempo avverso gli indirizzi consolidati dalla Consulta, abbia davvero inteso dare luogo a casi in cui il datore di lavoro - con esclusivo pregiudizio per il lavoratore infortunato, nonché senza alcun ritorno per l'INAIL - possa andare esente dall'obbligazione risarcitoria in relazione a poste non indennizzate dall'assicuratore sociale.

Come già ricordato innanzi al § 2, il legislatore non ha fornito indicazioni di sorta a comprova di una riforma in peius per la tutela risarcitoria dei lavoratori, riforma che - lo si ribadisce - si porrebbe in direzione opposta ai dettami della Corte costituzionale.

Ciò rilevato, nondimeno in qualche modo deve pur risolversi l'antinomia logica che contrappone le due espressioni aggiunte dal legislatore, dovendosi preferire – nell'assenza di altri criteri utili sul piano ermeneutico e come insegna costantemente la Consulta – l'interpretazione costituzionalmente conforme.

A questo fine potrebbe allora rilevarsi come, pur in modo maldestro, l'affrettato legislatore dello scorso dicembre 2018 potrebbe avere inteso semplicemente aggiornare l'art. 10 all'estensione, per effetto dell'art. 13 del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, della copertura INAIL anche al danno biologico.

Questa lettura “minimale” risulta corrispondere a quella fornita, non senza evidenti difficoltà, dal Servizio Studi e dal Servizio del Bilancio del Senato e dal Servizio Studi della Camera alle pagg. 610-611 del Dossier n. 78/6, Legge di Bilancio 2019. Le modifiche approvate dal Senato della Repubblica Il maxiemendamento del Governo 1.9000. Edizione provvisoria, del 23 dicembre 2018, ove si segnala che le novelle, di cui alle lettere da a) a d) del comma 1126, «specificano che occorre tener conto di tutte le prestazioni derivanti dalla […] tutela [INAIL], ivi comprese le indennità relative al danno biologico ai fini di […] determinare l'importo (del danno) che eventualmente ecceda il suddetto valore globale, nei casi in cui, in base alla normativa, sussista la responsabilità civile del datore di lavoro al risarcimento di tale quota ulteriore».

Che questa sia una possibile lettura dell'art. 10 così come “ritoccato” dal legislatore del 2018 trova conferma anche nella modifica apportata dal comma 1126, lett. b), al comma 7 dell'art. 10, integrazione per l'appunto consistita nell'aggiunta del riferimento all'art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000.

Quanto a quest'ultima disposizione, non pare poi vi siano appigli per sostenere, come invece suggerito da altra dottrina (cfr. M. ROSSETTI, La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale, cit, § 4.4), che il comma 7 “revised” sancisca una nuova regola in base alla quale nel calcolo del “danno differenziale” dovuto al lavoratore non si dovrebbe più distinguere, in seno alla rendita pagata dall'INAIL, fra la componente a titolo di riparazione del danno biologico e la quota pagata a titolo di ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa: infatti, tale disposizione afferma soltanto che, allorquando si dia luogo al risarcimento del “danno differenziale”, questo sia «dovuto solo» per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti del d.P.R. n. 1124/1965 e «per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38»; si è voluto riportare in grassetto la preposizione «per» giacché essa, non potendo affatto essere trascurata ai fini dell'interpretazione della norma, conferma come senz'altro il legislatore non abbia inteso sancire la regola ipotizzata dalla predetta dottrina, ma, come rappresentato dal predetto Dossier, soltanto richiamare l'attenzione sulle somme erogate dall'INAIL in base all'art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000, nessuna esclusa.

Peraltro, nella lettura dei commi 7 ed 8 “ritoccati” occorre, comunque, considerare che le interazioni tra i due sistemi sono pur sempre state concepite dal legislatore del 2018 nella prospettiva di un “danno differenziale” calcolato in ragione di quanto del risarcimento sia stato effettivamente«oggetto di indennizzo» da parte dell'INAIL.

Questa lettura “minimale” risulta rilevata dal Dossier anche in relazione alle modifiche recate dalla lettera d) del comma 1126: «in base alla novella di cui alla lettera d), sembrano rientrare nel limite del complessivo danno risarcibile - ai fini della determinazione del limite delle somme che l'INAIL deve anticipare - anche le “spese accessorie”».

Potrebbe obiettarsi come in realtà i redattori del Dossier abbiano fornito una descrizione delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio lungi dall'essere essa stessa dotata di un qualche senso; nondimeno in effetti, il comma 1 dell'art. 11, così come rivisto, si limita a specificare quanto già noto, ossia che l'istituto assicuratore può esercitare il diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili per le somme a titolo d'indennità (l'inciso «a qualsiasi titolo pagate» non aggiunge alcunché di nuovo) e per le spese accessorie «nei limiti del complessivo danno risarcibile», fermo restando – questo il punto che gli interpreti non dovrebbero scordare nell'esaminare le versioni “ritoccate” delle disposizioni in disamina – il coordinamento costituzionalmente orientato tra “sistema INAIL” e “sistema RC” per cui l'azione di regresso non può risolversi in danno del lavoratore e, dunque, dare modo al datore di opporre all'infortunato, per voci non coperte dall'INAIL, di avere già pagato o dover pagare l'Istituto.

Nella prospettiva della Corte costituzionale, il “limite del complessivo danno risarcibile” ed il diritto, entro tale limite, dell'INAIL di agire in regresso per le somme corrisposte (a qualsiasi titolo) all'infortunato non hanno mai autorizzato diminuzioni di tutela risarcitoria per il lavoratore; non si vede su quali basi i “ritocchi” apportati dal legislatore sarebbe tali da mutare tale quadro.

Ci si rende ovviamente conto del fatto che la lettura sin qui proposta degli artt. 10 e 11 nelle loro nuove versioni non sia impeccabile, ma, in assenza di indicazioni contrarie da parte del legislatore ed in presenza di espressioni palesemente contradditorie sul piano delle logiche più basilari, appare preferibile non discostarsi dall'interpretazione costituzionalmente conforme.

Una qualsiasi differente lettura andrebbe sottoposta al vaglio della Consulta atteso il sicuro conflitto che andrebbe a prodursi fra, da un lato, la privazione di tutela risarcitoria per determinate voci di danno pur in assenza di una loro copertura INAIL e, dall'altro lato, i ben noti principi sanciti per l'appunto dalla Corte costituzionale nelle pronunce ricordate innanzi al § 1.

Un discutibile sconto per il datore in sede di regresso INAIL: nessuna ricaduta per il lavoratore-vittima

La lett. g) del comma 1126, che ha introdotto il nuovo comma 3 dell'art. 11 del d.P.R. n. 1124/1965, merita un commento a parte, costituendo forse, a livello di “policy of law”, il punto più sorprendente in negativo e pure più allarmante delle novità in disamina.

Secondo questa novella il giudice, laddove sussistano spazi per condannare il datore di lavoro a rifondere l'INAIL in sede di regresso, può a sua scelta ridurre l'importo oggetto di condanna sulla base della condotta tenuta dal datore di lavoro prima e dopo l'evento lesivo (la tipologia della condotta rilevante non è indicata) e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro; peraltro, lo stesso giudice può definirele modalità di esecuzione dell'obbligazione in considerazione del «rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile».

Questa disposizione, del tutto inspiegabile alla luce del predetto incipit del comma 1126 (non si ravvisa, infatti, alcuna relazione con la revisione delle tariffe INAIL), segue un modello di “diritto premiale” decisamente discutibile atteso che in realtà andrebbero “premiati” i datori di lavoro virtuosi i quali non attendono il verificarsi di un sinistro per attuare le misure di sicurezza prescritte, non già i datori, per così dire, “pentiti” dopo un disastro ormai irrimediabile; premiare l'impresa che ex post realizza un ambiente di lavoro sicuro è aberrante e va contro ogni logica connessa alla prevenzione di infortuni e malattie professionali.

Palese, inoltre, è la contrarietà di tale iniziativa legislativa ai più basilari principi di uguaglianza dinanzi alla legge: non solo essa risulta affidare al magistrato un livello di discrezionalità eccessivamente ampio sia quanto alla verifica dei requisiti per la concessione della “riduzione”, sia in relazione alla determinazione della sua entità (in teoria il giudice potrebbe ridimensionare la condanna ad importi irrisori), ma discrimina pure in ragione delle «risorse economiche del responsabile» trasformando lo stato positivo dell'economia di un'azienda in una sorta di zavorra.

Ciò posto sull'assurdità della disposizione e venendo al tema del “danno differenziale”, questa novella non risulta poter avere risvolti di sorta sulla tutela risarcitoria dei lavoratori danneggiati.

Infatti, il comma 3, sia sul piano dell'interpretazione letterale che in considerazione della sua collocazione, riguarda esclusivamente il rapporto INAIL-datore di lavoro nell'ambito dell'azione di regresso e, più nello specifico, la definizione dell'importo dovuto dall'azienda all'Istituto in tale scenario; manifestamente esso non detta alcun criterio per la determinazione del danno civilistico e, dunque, non può neppure in qualche modo assimilarsi al - peraltro dalla oscura portata e discutibile sul piano della legittimità costituzionale - art. 7, comma 3, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (legge Gelli-Bianco), per il quale il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno conseguente all'attività di strutture sanitarie ed esercenti la professione sanitaria, tiene conto - non si sa bene in quale misura - della condotta dell'esercente tale professione il quale sia incorso in imperizia rispettando però le raccomandazioni previste dalle linee guida.

Per affermare il contrario, ossia che la novella qui in commento delineerebbe un nuovo criterio risarcitorio nell'ambito della responsabilità datoriale per infortuni e malattie professionali, occorrerebbe snaturare enormemente il senso letterale della nuova disposizione, senza, però, che in questa direzione vi siano indicazioni di sorta del legislatore a livello di ratio legis (indubitabile è, invero, l'assenza di qualsivoglia appiglio su quest'ultimo fronte).

Né può soccorrere il predetto Dossier, che a pag. 611 così, pur confusamente, descrive la disposizione in questione: «La lettera g) inserisce, in primo luogo, il principio che, nella determinazione dell'importo dovuto dal datore di lavoro (e che l'INAIL, come detto, deve anticipare) nei casi in cui, in base alla normativa, sussista la responsabilità civile del datore di lavoro al risarcimento di una quota ulteriore rispetto alla prestazioni INAIL, il giudice può procedere ad una riduzione della somma spettante, tenendo conto della condotta precedente e successiva all'evento lesivo e dell'eventuale adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. In secondo luogo, la novella prevede che le modalità di esecuzione dell'obbligazione in esame possano essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile».

Fermo restando che il Dossier non può assurgere a testimonianza della ratio legis, ad ogni modo esso risulta confermare come l'intervento in commento abbia per oggetto soltanto l'«importo dovuto dal datore di lavoro» all'INAIL in sede di regresso.

D'altro canto, una qualsiasi diversa interpretazione, che ipotizzi sulla base del nuovo comma 3 dell'art. 11 del testo unico tagli al credito risarcitorio del lavoratore verso il datore, comunque sarebbe manifestamente incostituzionale, atteso innanzitutto che andrebbe a ledere il diritto del lavoratore al risarcimento integrale di danni da violazione di diritti inviolabili in direzione opposta a quella indicata dalla Corte costituzionale; inoltre, per tale via si configurerebbe una norma “speciale” (in negativo!) per i danneggiati da infortuni sul lavoro e malattie professionali con conseguente oggettiva e, soprattutto, irrazionale discriminazione tra questi e tutti gli altri danneggiati da inadempimenti e/o fatti illeciti (dunque, con violazione dell'art. 3 Cost.), senza, inoltre, alcuna “contromisura” a favore dei lavoratori danneggiati (assenza di contropartita rilevante ai fini dell'incostituzionalità della disposizione: cfr. Corte cost., 11 novembre 2011, n. 303). La Corte costituzionale, invero, è stata sempre molto chiara nell'affermare che, essendo il «giudizio di eguaglianza […] in sé un giudizio di ragionevolezza», ai fini dell'art. 3 Cost. eventuali disparità di trattamento di situazioni fra loro assimilabili non possono reggersi su «elementi normativi arbitrariamente discriminatori», viceversa necessitando di precise razionali giustificazioni («una “motivazione” obiettivata nel sistema»), cioè del «“perché” una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica distinzione», altrimenti, in assenza di «una carenza di “causa” o “ragione” della disciplina introdotta» e dinanzi a «scelte arbitrarie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza», non ricorrendo un «corretto uso del potere normativo», bensì un autentico «vizio di legittimità costituzionale», «proprio perché fondato sulla “irragionevole” e per ciò stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra loro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe» (così Corte cost., 28 marzo 1996, n. 89; cfr., altresì, ex plurimis Corte cost., 12 gennaio 2000, n. 5 e Corte cost., 7 luglio 2005, n. 264).

Peraltro, non avrebbe senso da un lato affermare che il riconoscimento del danno punitivo, retto sulla valutazione della condotta del reo, è impedito dalla nostra Costituzione in quanto questa, fra l'altro, «preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario» (così Cass. civ., SS.UU., 5 luglio 2017 n. 16601), e, dall'altro lato, ammettere che gli stessi percorsi valutativi alla base dei “punitive damages” possano rilevare “alla rovescia” avverso i danneggiati. Peraltro, potrebbe osservarsi come così si farebbe “pagare” al danneggiato il “premio” stabilito, a totale discrezione dal giudice, per il comportamento, comunque colposo, dell'autore dell'illecito, ciò in palese violazione anche con gli artt. 24 e 24, commi 2 e 3, Cost. (+ art. 1 del Protocollo 1 CEDU).

Ad ogni modo, tutte queste questioni non necessitano di ulteriore approfondimento: la norma in commento – lo si ribadisce – non detta alcun criterio rilevante per la determinazione del danno risarcibile al lavoratore leso nella sua salute od ai suoi famigliari.

Infortuni in itinere e surrogazione dell'INAIL: nessun mutamento

Alla lett. f) il comma 1126 ha pure modificato il testo del comma 2 dell'art. 142 cod.ass. (il ritocco è riportato in grassetto): «Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma a valere sul complessivo risarcimento dovuto idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo».

Le predette novità, in alcun modo illuminate dal legislatore in relazione alla loro ratio, non sono tali da modificare la determinazione del “danno differenziale” ai fini dell'art. 142 cod. ass. per il semplice motivo che la novella lascia del tutto inalterato il comma 4 , ove si stabilisce che «In ogni caso l'ente gestore dell'assicurazione sociale non può esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti».

Peraltro, diversamente da quanto prospettato da alcuni fra i primi commentatori (cfr. F. MARTINI e M. RODOLFI, Le novità introdotte dalla Legge di bilancio 2019 al cod. ass. e al TU Inail, Ridare.it, 24 gennaio 2019, per i quali «Se si leggono i due commi contenuti nello stesso articolo in una veste meramente letterale, gli stessi appaiono francamente inconciliabili»), i due commi in questione non risultano, per effetto della novella, in insanabile conflitto fra loro: molto semplicemente il comma 2revised”, che, esattamente come prima, non riguarda la questione del “danno differenziale”, mira a garantire che l'impresa per la RCA operi adeguati accantonamenti a tutela del credito azionabile dall'assicuratore sociale.

Nel senso di questa lettura a sua volta “minimale” si pone pure si pone il Dossier menzionato ai paragrafi precedenti per cui la novella persegue la finalità di «determinare l'importo che l'impresa di assicurazione - nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti – deve accantonare prima di procedere alla liquidazione del danno (al fine di garantire la copertura del credito dell'INAIL verso l'impresa di assicurazione medesima)».

Ciò posto, non si dubita che diverse compagnie assicuratrici per la RCA, evocando possibili surroghe dell'INAIL (talvolta neppure poi esercitate o, come talvolta avviene, transatte al ribasso con modalità in diversi casi meritevoli di approfondimenti da parte della giustizia contabile), tenteranno di sfruttare la novella in disamina per defalcare ulteriormente i risarcimenti dovuti ai lavoratori rimasti danneggiati in sinistri in itinere, così precludendo la possibilità di transazioni (già da tempi vieppiù in salita) ed aggravando i processi di nuovi fardelli. Nondimeno, per quanto illustrato dovrebbe risultare chiaro come tali strategie sarebbero pretestuose e meritevoli di censure da parte della magistratura.

Applicazione ratione temporis: nessuna retroattività

Un ultimo punto va chiarito: le disposizioni sin qui esaminate non possono operare per i sinistri anteriori al 1 gennaio 2019.

Innanzitutto, deve osservarsi come lo stesso comma 1126 dell'art. 1 specifichi espressamente che le modificazioni dallo stesso apportate sono da intendersi «a decorrere» dal 1 gennaio 2019; questo punto, del resto, è confermato dal comma 1 dell'art. 19Entrata in vigore»)della Legge di Bilancio 2019, ove si rinviene statuito quanto segue: «La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 1 gennaio 2019».

Pertanto, già solo per questi motivi appare indubitabile come la novella in esame in nessun modo possa interessare e tantomeno modificare la tutela sostanziale accordata ai lavoratori danneggiati ed ai famigliari di questi in relazione ai infortuni occorsi prima di tale data.

Inoltre, l'estensione di tali disposizioni in via retroattiva ad eventi dannosi insorti prima del 1 gennaio 2019 si porrebbe in contrasto non solo con tali inequivocabili indicazioni normative, ma anche con le seguenti norme (già tutte amplius approfondite in M. BONA, Artt. 138 e 139 cod. ass.: quali applicazioni ratione temporis agli incidenti stradali ed ai sinistri medico-sanitari?, in Ridare.it, Focus del 27 Marzo 2018, § 2):

  • art. 11 («Efficacia della legge nel tempo»), comma 1, preleggi, per cui «La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»; sulla base di questo principio la Cassazione ha costantemente sancito la sicura irretroattività delle novelle che intervengono a fissare condizioni peggiorative per il risarcimento dei danni (cfr. le seguenti pronunce: Cass. civ., sez. lav., 9 gennaio 2014, n. 301; Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2013, n. 18657; Cass. civ., Sez. lav., 8 febbraio 2012, n. 1850, Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2009, n. 11701; Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11048);
  • art. 1 («Protezione della proprietà») del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali; la Corte dei Diritti dell'Uomo ha ritenuto violata questa disposizione nel caso di applicazione retroattiva di una norma nazionale intervenuta a restringere il risarcimento del danno a più selettivi requisiti sul piano della gravità della colpa oppure ad escludere o limitare la risarcibilità di determinati pregiudizi, patrimoniali o non patrimoniali, prima risarcibili a livello normativo oppure giurisprudenziale (Draon c. Francia, CEDU, 6 ottobre 2005, e Maurice c. Francia, CEDU, 6 ottobre 2005, in http://www.echr.coe.int).

È poi del tutto evidente che il principio per cui la liquidazione del danno deve avvenire all'attualità non rilevi in nessun modo sul piano del diritto intertemporale: questo principio, infatti, impone di considerare il “valore” del pregiudizio al momento del suo risarcimento e, dunque, anche le conseguenze pregiudizievoli nel loro sviluppo successivo all'illecito, ma non autorizza alcuna applicazione retroattività di norme intervenute successivamente a determinare, a livello di diritto sostanziale, i contenuti dell'obbligazione risarcitoria; erra, dunque, quella dottrina che evoca tale principio per affermare che le nuove disposizioni troverebbero applicazione per le liquidazioni giudiziali o stragiudiziali successive al 1 gennaio 2019, anche se il danno è anteriore (cfr., in questo senso, M. ROSSETTI, La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale, cit., § 7). Un'interpretazione di questo tipo snatura il principio in questione e, soprattutto, si scontra con le disposizioni sopra richiamate.

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