Pubblica Amministrazione e retribuzione del professionista per incarichi defensionali
14 Marzo 2019
Massima
La Pubblica Amministrazione, nel predeterminare il tariffario per le prestazioni erogate da professionisti esterni, pur richiamando cogenti esigenze di “riequilibrio finanziario”, non può prevedere corrispettivi non in linea con le tariffe ed, in ogni caso, in contrasto con il principio di equo compenso e con quelli di più ampio spettro della ragionevolezza e proporzionalità. Il caso
Il Comune di Marano predisponeva un avviso di costituzione di un elenco di professionisti cui conferire incarichi in difesa della amministrazione nel contenzioso presso gli organi della giustizia tributaria provinciale regionale e presso la Corte di cassazione. La questione
Avverso tale atto ed a quelli connessi (quali l'elenco) proponevano ricorso innanzi al Tar Campania un cospicuo numero di professionisti contestando essenzialmente la determinazione del corrispettivo. Le soluzioni giuridiche
Nella naturale stringatezza motivazionale della cautela innanzi al g.a., il tribunale ha giudicato prima facie fondato il gravame ritenendo violato il principio di ragionevolezza e proporzionalità nonché quello dell'equo compenso. Ha ritenuto recessive le esigenze di riequilibrio finanziario rispetto a quei più generali principi summenzionati, rimarcando la patente violazione degli stessi: nello specifico, rispetto alla previsione di un compenso “pari allo zero” per un contenzioso di valore ridotto (“fino a €500”).
Osservazioni
La condivisibile soluzione adottata dal tribunale innesca una riflessione di vasta portata che costituisce, per così dire, lo sfondo problematico su cui si è venuto ad innescare la controversia oggetto della decisione che qui si commenta. Detto scenario vede le amministrazioni locali in un perenne affanno economico; ciò tuttavia deve fare i conti, come è accaduto nel caso in esame, con la necessaria presa d'atto che la giurisdizione è una risorsa limitata ed onerosa, nel cui costo complessivo una “voce” rilevante è espressa dai costi per il compenso al professionista chiamato alla difesa contenziosa. Gli obblighi retributivi già fisiologici in ogni rapporto fra un prestatore d'opera ed un soggetto (pubblico o privato) richiedente, peraltro, si esaltano nella attuale epoca della generalizzata responsabilità, comportante oneri sempre più elevati di studio, di diligenza professionale nonché obblighi specifici di informazione e di accentuata prudenza precauzionale. Rispetto alla tipologia di prestazione richiesta dal predetto Comune, basta riferirsi –emblematicamente – alla complessità dei codici deontologici e di diligenza informativa che caratterizzano (fra i plurimi, possibili patrocinanti innanzi al giudice tributario) il professionista legale. Si rimanda, per uno sguardo d'insieme, alla l. n. 247/2012 sull'ordinamento forense: ex pluris, paradigmatica, la disamina del complesso obbligo di informazione al cliente da parte dell'avvocato che si declina sino a configurare un “compito dissuasivo” («non si tratta peraltro di un compito gravante sul solo avvocato perché una operazione di chirurgia estetica altamente rischiosa può comportare la necessità di dissuadere il paziente dall'intraprenderla»: così G. Sicchiero, Commentario Schlesinger, Dell'adempimento, Milano, 2016, p. 232 e ss.). Posta questa breve riflessione, il contesto normativo che l'ordinanza presuppone è il seguente: A) Il lavoro (lecito) su cui si “fonda” la Repubblica (art. 1 Cost.) è tutelato in tutte le sue “forme e applicazioni” (art. 35 Cost.) ed il successivo art. 36 Cost. nel disciplinare proprio il punto relativo alla retribuzione, non differenzia fra le possibili forme in cui si può articolare l'esplicazione della energia lavorativa. Si tratterebbe peraltro di criteri differenziali (lavoro pubblico/lavoro privato) ormai caduchi, posto che il concetto di PA è, nell'attuale, ricostruito a “geometrie variabili” ove forme, strutture, apporti professionali si amalgamano (più che differenziarsi) nel comunitario obiettivo di un servizio qualitativamente elevato. (Si confronti, ad es., la recente ordinanza del Consiglio di Stato n. 138/2019 di rimessione alla CGUE sulla operatività dell'in house). Proprio il concetto di amministrazione di qualità (art. 1 l. n. 241/1990; art. 1 d.lgs. n. 165/2001) è da considerare la polarità orientativa in materia, atteso che un apprezzabile standard qualitativo non è raggiungibile se non attraverso prestazioni cui si riconosce il giusto valore retributivo. Si nega qui – quale riflessione centrale del presente contributo – la stessa legittima configurabilità, in tesi, di prestazioni professionali gratuite, in un contesto nel quale l'acquisizione di beni, opere, servizi non può avvenire se non per il tramite di contratti onerosi (cfr., in generale, il d.lgs. n. 50/2016 codice degli appalti pubblici). Né può sostenersi che sussistano sempre prestazioni che solo in ragione del loro espletamento in favore di una PA, apportino un vantaggio curriculare o altre utilità indirette. B) Soprattutto, occorre considerare che «Più significativamente, la l. 4 dicembre 2017, n. 172, nel convertire il d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, vi ha inserito l'art. 19-quaterdecies, il quale, al comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della citata legge di conversione». Inoltre, «il compenso si intende equo, ai sensi del comma 2 dell'art. 13-bisl. 31 dicembre 2012, n. 247, che proprio il citato art. 19-quaterdecies ha introdotto e reso applicabile a tutti i professionisti, se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. …Le ricordate disposizioni …. lasciano emergere come nell'ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» (Tar Calabria/Catanzaro, sent., 2 agosto 2018, n. 1507). Resta ancora qualche ulteriore osservazione conclusiva. Come ha affermato la recente sentenza del Consiglio di Stato del 26 febbraio 2019 n. 1321, la discrezionalità amministrativa è soggetta a progressiva riduzione, nel senso che nella dialettica processuale, per ragioni di effettività della tutela (artt. 1 e ss. c.p.a.), non è più ipotizzabile una riedizione del potere amministrativo, già criticato dal giudice amministrativo, che sia riformulato in modo (in senso lato) indipendente dalla pronuncia censurante. Rispetto al caso di specie, deve quindi sottolinearsi che se è pur vero che l'accoglimento è stato formalizzato nella forma del remand, l'amministrazione comunale controparte-destinataria non solo non potrà ripetere il provvedimento vittoriosamente gravato (seppur nella sola sede cautelare), ma dovrà pronunciarsi tenendo ben presente il paradigma preclusivo che il giudice andrà progressivamente delineando e che già va enucleandosi in senso puntuale. Ha osservato testualmente la sentenza menzionata: «Ebbene, la “riduzione” della discrezionalità amministrativa (anche tecnica) può essere l'effetto: a) sul piano “sostanziale”, degli auto-vincoli discendenti dal dipanarsi dell'azione amministrativa…; b) sul piano “processuale” dei meccanismi giudiziari che, sollecitando l'amministrazione resistente a compiere ogni valutazione rimanente sulla materia controversa, consentono di focalizzare l'accertamento, attraverso successive approssimazioni, sull'intera vicenda di potere (si pensi alla combinazione di ordinanze propulsive e motivi aggiunti avverso l'atto di riesercizio del potere, ma anche alle preclusioni istruttorie e alla regola di giudizio fondata sull'onere della prova), concentrando in un solo episodio giurisdizionale tutta quella attività di cognizione che prima doveva necessariamente essere completata in sede di ottemperanza». Monticelli, L'equo compenso dei professionisti fiduciari: fondamento e limiti di una disciplina a vocazione remediale nell'abuso dell'esercizio dell'autonomia privata (Note di primo commento all'art. 13 bis l. 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dall'art. 19-quaterdecies l. 4 dicembre 2017, n. 172 di conversione del d.l. 16 ottobre 2017, n. 148 e succ. mod.), in NLCC, 2018, 299 ss.. |