L’obbligo di preservazione dei limiti occupazionali nel concordato in continuità indiretta

14 Marzo 2019

Il rafforzamento del tessuto economico mediante la preservazione della vitalità delle imprese rappresenta il criterio ispiratore della riforma della crisi di impresa. Coerentemente con i criteri direttivi compendiati nella Legge delega n. 155/2017, il Codice della Crisi ha in un certo modo sancito il declino del concordato preventivo liquidatorio a vantaggio di quello in continuità aziendale, l'unico idoneo a consentire all'azienda di reinserirsi, risanata e ristrutturata, nel mercato.
Premessa

Il rafforzamento del tessuto economico mediante la preservazione della vitalità delle imprese rappresenta il criterio ispiratore della riforma della crisi di impresa.

Coerentemente con i criteri direttivi compendiati nella Legge delega n. 155/2017, il Codice della Crisi ha in un certo modo sancito il declino del concordato preventivo liquidatorio a vantaggio di quello in continuità aziendale, l'unico idoneo a consentire all'azienda di reinserirsi, risanata e ristrutturata, nel mercato.

Con riguardo ai profili di maggior novità introdotti relativamente all'istituto, deve necessariamente farsi riferimento alla consacrazione a livello legislativo del concordato preventivo in continuità aziendale indiretta: ponendo fine all'annoso dibattito che aveva animato dottrina e giurisprudenza nell'ultimo decennio, il Legislatore ha espressamente aderito all'orientamento a sostegno della continuità oggettiva, che si profila in tutti i casi di prosecuzione dell'attività d'impresa, quand'anche condotta da persona diversa dal debitore in crisi.

Nel disciplinare tale particolare tipo di concordato preventivo in continuità, il Codice della Crisi ha previsto, all'art. 84, comma 2, l'obbligo per il cessionario, l'usufruttuario, l'affittuario o, generalmente, per il soggetto diverso dal debitore che proseguirà l'esercizio dell'azienda, di “mantenere o riassumere un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione”.

Con tale disposizione, il riformatore ha inteso contemperare due opposte esigenze: da una parte, quella di scongiurare condotte opportunistiche mediante l'effettiva preservazione della dimensione oggettiva della continuità (almeno sul piano della struttura oggettiva dell'organizzazione imprenditoriale) e, dall'altra, quella di circoscrivere la portata applicativa di regole di gestione “imposte”, limitandone temporalmente l'efficacia.

Tanto premesso, occorre a questo punto indagare la valenza e la portata giuridica di tale obbligo, muovendo proprio dal dato letterale della norma.

Sin dall'analisi sintattica della disposizione di cui all'art. 84, comma 2 (ai sensi del quale “la continuità può essere indiretta [..] purché sia previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione”), emerge la natura giuridica dell'obbligo facente capo al terzo cessionario/usufruttuario/affittuario: in quanto incidente sulla stessa configurabilità ontologica del concordato preventivo in continuità indiretta, il mantenimento – da parte del terzo – di determinati livelli occupazionali deve considerarsi alla stregua di una condizione di ammissibilità.

Tale conclusione pare del tutto conforme alla ratio che permea l'intero impianto della riforma, improntato, come detto, a favorire la conservazione della vitalità dell'impresa ed a preservare i livelli di occupazione.

Né osta a tale qualificazione giuridica – ovverosia di requisito di ammissibilità del concordato in continuità indiretta – la collocazione “topografica” dell'art. 84, comma 2. Il fatto che la disposizione in analisi, concernente un requisito di ammissibilità alla procedura di concordato preventivo, non sia inserita nel Titolo III, Capo IV del Codice – dedicato proprio all'accesso alle procedure di regolazione della crisi - si spiega con la constatazione che nel predetto Titolo confluiscono unicamente le norme comuni a tutte le procedure. A riprova di ciò, basti pensare all'art. 84, comma 5, che, specularmente rispetto al comma precedente, nel regolare la diversa ipotesi di concordato preventivo liquidatorio, pone quale condizione di ammissibilità dello stesso il soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura non inferiore al 20% dell'ammontare complessivo del credito.

Dall'inquadramento dell'obbligo di cui all'art. 84, comma 2, come condizione di ammissibilità del concordato preventivo in continuità indiretta, discende direttamente il fatto che il Tribunale, già in sede di ammissione e comunque certamente in sede di omologazione, dovrà verificare la previsione nel contratto (art. 91, comma 10) o nel titolo (art. 91, comma 9) dell'impegno al mantenimento dei tassi occupazionali.

Data la rilevanza di tale aspetto, tuttavia, non sembra potersi ritenere sufficiente una verifica meramente formale: occorrerà accertare, piuttosto, la concreta sostenibilità - da parte di chi prende in carico l'azienda – di “mantenere o riassumere un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”, onde evitare che l'assunzione di tale impegno si traduca in una clausola di stile priva di reale significato.

In tale prospettiva, nell'ipotesi in cui il Piano preveda già un'offerta irrevocabile di acquisto, sarà molto probabilmente consigliabile che le verifiche dell'attestatore si estendano anche alla effettiva capacità dell'offerente di tenere fede all'obbligo assunto; diversamente, nell'ipotesi di apertura di una procedura competitiva, sarà opportuno che il decreto di cui al comma 3 dell'art. 91 preveda, tra i requisiti di partecipazione degli offerenti, l'obbligo di dimostrare la capacità di sostenere i tassi occupazionali nei limiti di quanto previsto dall'art. 84, comma 2.

Violazione da parte del terzo dell'obbligo di cui all'art. 84, comma 2: le conseguenze per il debitore

Si esaminerà ora l'eventualità che il terzo avente causa del debitore concordatario violi gli obblighi di cui all'art. 84, comma 2; in particolare, si analizzerà se tale inadempimento produca conseguenze sulla validità della proposta di concordato formulata dal debitore (considerato che, per espressa previsione legislativa, detta proposta deve necessariamente contemplare la previsione di tale obbligo).

In modo del tutto istintivo, verrebbe da dare al quesito una risposta negativa, dal momento che sembrerebbe iniquo far ricadere sul debitore le conseguenze negative di una condotta inadempiente imputabile non a lui, ma al terzo.

Tuttavia, in considerazione del particolare ambito in cui si opera, nonché della perentorietà del dato testuale dell'art. 84, comma 2, non sembra potersi sostenere “l'indifferenza” della violazione dell'obbligo da parte del terzo rispetto alla proposta di concordato in continuità indiretta.

D'altro canto, se è indubitabile che l'inserimento “formale” dell'obbligo di cui all'art. 84, comma 2, nel contratto o nel titolo traslativo della gestione dell'azienda sia una “condizione di ammissibilità” della proposta concordato, appare logico affermare che l'effettivo rispetto di esso da parte del terzo costituisca la modalità corretta di adempimento della continuità indiretta (anche perché, diversamente argomentando, si svuoterebbe la norma di ogni reale significato).

Considerata quindi la natura di “concordato in garanzia” del concordato in continuità, si può ritenere che il mantenimento dei livelli occupazionali secondo i parametri individuati nell'art. 84, comma 2, rilevi come “fatto” e costituisca, nella continuità indiretta, un obbligo che il debitore assume anche a proprio carico (e di qui risponde a livello di ammissibilità/adempimento della proposta di concordato) al fine di godere della disciplina di favore della continuità.

In tale prospettiva, può ipotizzarsi che il Commissario giudiziale debba estendere la propria attività di controllo, anche successivamente all'omologazione del concordato, all'effettivo rispetto dell'obbligo in parola da parte del terzo avente causa del debitore concordatario.

Una volta stabilita la “sensibilità” della proposta del debitore rispetto all'eventuale inadempimento del terzo, occorre individuare quali siano i rimedi esperibili e quali le conseguenze; a tal proposito, nelle ipotesi in cui l'atto traslativo si perfezioni prima dell'omologa, deve distinguersi il caso che l'inadempimento si verifichi prima o dopo l'omologa del concordato preventivo.

Nel primo caso, deve ritenersi che la violazione da parte del terzo dell'obbligo di cui all'art. 84, comma 2, costituisca il presupposto per l'apertura del procedimento previsto nell'art. 106 e comunque precluda l'omologa del concordato preventivo. In entrambi i casi, la conseguenza sarà l'apertura della liquidazione giudiziale se sussistono i presupposti.

È pur vero che la liquidazione giudiziale dell'imprenditore si prospetta come una soluzione “iniqua” se si considera che a violare gli obblighi di cui all'art. 84, comma 2, sia stato il terzo cessionario/usufruttuario/affittuario o, in senso lato, avente causa dell'imprenditore in crisi, ma d'altro canto non sembra potersi intravvedere una soluzione differente.

Diverso è il caso in cui l'inadempimento abbia luogo successivamente all'omologazione del concordato.

L'unico rimedio percorribile, tra quelli disponibili nell'ambito del Titolo IV, Capo III, sezione VI, parrebbe essere quello della risoluzione del concordato preventivo, ai sensi dell'art. 119. La disposizione citata, infatti, prevede espressamente che i creditori o il Commissario Giudiziale, su richiesta dei creditori, possano formulare domanda di risoluzione del concordato nell'ipotesi di suo rilevante inadempimento; considerato che, come si è detto, l'obbligo di cui all'art. 84, comma 2, costituisce non solo una condizione di ammissibilità ma anche una modalità di adempimento del piano concordatario, dovrebbe potersi concludere per l'astratta praticabilità del rimedio in parola.

“Astratta” perché, per come è configurato l'istituto della risoluzione nel Codice della Crisi, difficilmente un creditore, se soddisfatto nel proprio credito, si prenderebbe la briga di richiedere, o di invitare il Commissario a richiedere, la risoluzione del concordato a causa del mancato rispetto da parte del terzo dei livelli occupazionali.

D'altro canto, nella disciplina del concordato preventivo non è stata inserita, a differenza del Concordato Minore, la opzione della revoca dell'omologazione del concordato in caso “di mancata esecuzione integrale del piano”.

E dunque sembra di doversi concludere che, qualora l'inadempimento del terzo si perpetri successivamente all'omologa del concordato, non sussistano efficaci strumenti che consentano di mettere in discussione il concordato omologato in ragione di tale inadempimento.

(segue) e per il terzo

Su un diverso piano, si evidenzia che la violazione da parte del terzo dell'obbligo di mantenimento dei limiti occupazionali costituisce senza dubbio un grave inadempimento contrattuale, atteso che, per espressa previsione legislativa, tale obbligo deve essere inserito nel contratto o nel titolo traslativo.

Sempre in considerazione del contesto complessivo all'interno del quale tale contratto o titolo si inserisce, appare difficilmente sostenibile (o comunque non facilmente praticabile) che la conseguenza di tale inadempimento possa essere individuata nella “retrocessione” dell'azienda, soprattutto se il corrispettivo della traslazione è stato già corrisposto dall'avente causa ed utilizzato nell'ambito della procedura di concordato per soddisfare i creditori concorsuali.

D'altro canto, non è nemmeno pensabile che tale inadempimento resti privo di conseguenze.

Una soluzione all'impasse potrebbe essere quella di inserire nel contratto o nel titolo di cessione/affitto/usufrutto d'azienda una clausola penale ben strutturata, azionabile automaticamente da parte del debitore proponente nell'ipotesi di violazione da parte del terzo dell'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali secondo i parametri di cui all'art. 84, comma 2. Tale soluzione avrebbe in primo luogo il vantaggio di svolgere una funzione deterrente per il terzo e, in secondo luogo, predeterminerebbe il quantum risarcitorio da corrispondere in caso di inosservanza dell'obbligo in parola, risolvendo a monte il problema di quantificare una voce di danno tanto sfuggente e di difficile misurazione, quale quello in analisi.

Sarebbe, poi, opportuno, che la clausola contemplasse la risarcibilità del danno ulteriore limitatamente all'ipotesi in cui all'inadempimento del terzo consegua la messa in liquidazione della società. Danno astrattamente inquadrabile nella perdita di chance, da quantificarsi prevalentemente in via equitativa, ma anche nel costo sostenuto per mettere in piedi e portare avanti la procedura concordataria.

Sotto un diverso profilo, il mancato mantenimento da parte del terzo dei livelli occupazionali ha anche risvolti in ambito giuslavoristico.

Infatti, considerato quanto previsto nell'art. 368 con riguardo al coordinamento del Codice della Crisi con la disciplina del diritto del lavoro, le ipotesi di trasferimento di azienda nell'ambito del concordato in continuità indiretta (che saranno regolate nell'art. 47, comma 4-bis) dovranno soggiacere alla procedura sindacale prevista dall'art. 47 della L. n. 428/1990.

Pertanto, i licenziamenti che il terzo dovesse porre in essere in violazione dell'art. 47, che al comma 4bis richiamerà espressamente (i parametri dimensionali e temporali de) l'art. 84, comma 2, saranno qualificabili come condotta antisindacale, con tutte le conseguenze del caso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario