Il calcolo del danno differenziale prima e dopo la legge di bilancio per il 2019
Andrea Rossi
18 Marzo 2019
Nel diritto positivo non si rinviene una definizione di danno differenziale, che rappresenta notoriamente la differenza tra il risarcimento liquidato in favore della vittima e l'indennizzo erogato agli aventi diritto dall'INAIL. Tale nozione si ricava dall'art. 10, commi 6 e 7, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, il cui testo, esclusa l'illegittimità costituzionale parziale del 1991, è rimasto immutato per oltre un cinquantennio. Ciò nonostante il calcolo del danno differenziale non è avvenuto sempre con le medesime modalità...
Abstract
Nel diritto positivo non si rinviene una definizione di danno differenziale, che rappresenta notoriamente la differenza tra il risarcimento liquidato in favore della vittima e l'indennizzo erogato agli aventi diritto dall'INAIL. Tale nozione si ricava dall'art. 10, commi 6 e 7, d.P.R.30 giugno 1965, n. 1124, il cui testo, esclusa l'illegittimità costituzionale parziale del 1991, è rimasto immutato per oltre un cinquantennio.
Ciò nonostante il calcolo del danno differenziale non è avvenuto sempre con le medesime modalità, ma è stato operato con criteri differenti individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina; cosicché nel corso del tempo il perimetro del risarcimento del danno da infortunio si è allargato e ristretto, dando vita a sei stagioni, l'ultima delle quali appena inaugurata dalla l. 30 dicembre 2018, n. 145, recante il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019, nel corso delle quali gli interessi contrapposti vantati dal danneggiato, dal responsabile civile e dall'INAIL hanno trovato una differente composizione.
Il calcolo del danno differenziale: nella legge istitutiva dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
In origine, venuto meno il parziale esonero dalla responsabilità civile (art. 10, comma 1, d.P.R. n.1124 del 1965), nel caso in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale fossero scaturiti da un fatto illecito, costituente reato perseguibile d'ufficio (art. 10, comma 2, d.P.R. n. 1124 del 1965), la vittima poteva reclamare il risarcimento nei limiti del danno differenziale, come si ricava dalla medesima norma che recitava: “non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto” (art. 10, comma 6, d.P.R. n. 1124 del 1965) e “quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti” (art. 10, comma 7, d.P.R. n. 1124 del 1965).
In virtù del chiaro ed univoco disposto letterale, appena declinato, la magistratura procedeva dapprima al calcolo del danno civilistico, ottenuto attraverso la somma degli importi liquidati per ciascuna posta di danno riportata dall'infortunato; successivamente, dall'importo ottenuto, eventualmente ridotto per il concorso di colpa della vittima, venivano sottratte tutte le somme erogate a titolo di indennizzo. Il calcolo era perciò semplice perché consisteva in una sottrazione che, molto spesso, non lasciava nulla alla vittima dell'infortunio, neanche per quei pregiudizi estranei alla tutela previdenziale, che all'epoca indennizzava esclusivamente la perdita o la riduzione dell'attitudine al lavoro alias il danno alla capacità lavorativa generica.
Per un lunghissimo arco temporale, durato sino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, inoltre, l'INAIL soddisfaceva la propria rivalsa nei limiti del danno civilistico complessivo, compresi anche i pregiudizi estranei alla tutela previdenziale, come il danno non patrimoniale (Cass. 25 maggio 1987, n. 4689; Cass. 27 aprile 1984, n. 2635; Cass. 28 aprile 1981, n. 2583; Cass. 9 febbraio 1980, n. 917) o il danno morale (Cass. 18 maggio 1981, n. 3277; Cass. 11 agosto 1988, n. 4928), mentre il lavoratore riceveva il risarcimento nei limiti del danno differenziale, sempre che il totale delle somme versate dall'INAIL fosse stato inferiore a quanto liquidato in ambito civilistico.
Ciò ha comportato che la magistratura di merito dubitasse della legittimità costituzionale dell'art. 28, l. n. 990 del 1969, nella parte in cui, in caso di massimale incapiente, consentiva agli assicuratori sociali di esercitare la rivalsa con pregiudizio del diritto di credito dell'assicurato maturato per il danno biologico, classificato come danno-evento, risarcibile a prescindere dalla presenza di una perdita reddituale (Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184), non indennizzato dalla tutela sociale.
(Segue) dopo le sentenze della Corte costituzionale del 1989 e del 1991
La Consulta, con la prima delle tre pronunce rese nell'arco temporale di due anni, sanciva l'illegittimità dell'art. 28, commi 2, 3 e 4, l. n. 990 del 1969, poiché in caso di massimale incapiente “la pretesa dell'ente gestore delle assicurazioni sociali impedisce, in tutto in parte, il risarcimento dei danni alla persona dell'assistito, che non siano stati altrimenti risarciti”(Corte cost. 6 giugno 1989, n. 319) ed inaugurava una nuova fase, nella quale il precedente limite quantitativo alla rivalsa veniva affiancato da un nuovo confine, di tipo qualitativo.
Appena un anno dopo la magistratura di merito tornava sulla questione e sollevava, con due distinte ordinanze, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 1 e 2, d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui, in assenza di un reato perseguibile d'ufficio, privava il lavoratore infortunato del risarcimento del danno biologico a causa del parziale esonero dalla responsabilità civile di cui gode il datore di lavoro, nonché dell'art. 1916, c.c., nella parte in cui non veniva escluso che il diritto di surrogazione potesse pregiudicare il diritto dell'assicurato all'integrale risarcimento del danno biologico e del danno morale, pur essendo estranei alla tutela sociale.
La Consulta, riuniti i procedimenti per l'analogia della questione da decidere, respingeva i dubbi di legittimità costituzionale prospettati sulla disciplina del parziale esonero di cui gode il datore di lavoro, fornendo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 10; mentre dichiarava parzialmente illegittima la norma di cui all'art. 1916, c.c. (Corte cost. 18 luglio 1991, n. 356).
Tuttavia, alla fine dello stesso anno la Consulta dichiarava l'illegittimità costituzionale pure dell'art. 10, comma 6 e comma 7 e dell'art.11, d.P.R. n. 1124 del 1965, preservando il diritto della vittima rispetto al “risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacita lavorativa generica” (Corte cost. 27 dicembre 1991, n. 485), facendo, così, intendere che il danno alla salute potesse scindersi; ipotesi poi esclusa dalla magistratura di legittimità che, senza mai esprimersi favorevolmente sulla cumulabilità parziale del danno previdenziale e del danno biologico, affermava la legittimità del cumulo del risarcimento del danno biologico con le prestazioni previdenziali, a causa della loro disomogeneità. Nel contempo la Suprema Corte imponeva un duplice limite alle azioni di rivalsa: uno quantitativo, ereditato dalla disciplina originaria ed identificato con l'importo complessivo dovuto per compensare il danno alla persona ed uno qualitativo, comprendente le somme liquidate in ambito civilistico per le fattispecie di danno estranee al sistema sociale, rientranti nel cd. danno complementare, attribuito in esclusiva alla vittima dell'infortunio.
L'elaborazione giurisprudenziale, sedimentatasi senza scossoni nel corso degli anni novanta, veniva tuttavia rimessa in discussione, quando il legislatore decideva di dare seguito al monito della Corte costituzionale, onde apprestare un'adeguata tutela sociale al danno biologico, aprendo una nuova fase.
(Segue) dopo la socializzazione del danno biologico
Al fine di assicurare “una garanzia differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno (biologico) che la disciplina comune non è in grado di apprestare” (Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 87), il legislatore affidava all'INAIL il compito di indennizzare la lesione all'integrità psico-fisica suscettibile di valutazione medico-legale (art. 13, d.lgs. n. 38 del 2000; d.m. 12 luglio 2000, pubblicato sulla G.U. 25 luglio 2000).
Dismessa l'obsoleta categoria dell'attitudine al lavoro, l'Istituto, oltre ad indennizzare il danno biologico, iniziava a compensare, in presenza di menomazioni all'integrità psicofisica di grado pari o superiore al sedici per cento, la perdita o la riduzione della capacità lavorativa attitudinale, espressione di un danno di natura patrimoniale. Se prima dell'ampliamento dell'ambito oggettivo della tutela sociale l'INAIL indennizzava un danno squisitamente patrimoniale, con la disciplina introdotta a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000 il pregiudizio riparato è divenuto composito, essendo espressione sia del danno non patrimoniale per eccellenza sia del danno patrimoniale. La natura ibrida dei pregiudizi oggetto della tutela sociale divideva la giurisprudenza di merito sul criterio da adottare per il calcolo del danno differenziale.
In particolare, proprio in caso di rivalsa esercitata per il recupero delle somme erogate in conseguenza di una lesione all'integrità psicofisica con un grado di menomazione pari o superiore al sedici per cento, indennizzata dall'Istituto con una doppia rendita, attribuita per il danno biologico e per le conseguenze patrimoniali da essa scaturite, la prevalente giurisprudenza di merito si orientava nel senso di liquidare le somme dovute per danno biologico e per danno patrimoniale con i criteri civilistici, sommandole tra loro, per poi procedere alla sottrazione dal totale complessivo dell'importo erogato dall'INAIL (criterio per sommatoria); non sono, però, mancati uffici giudiziari che hanno optato per il confronto “posta per posta”, determinando le somme dovute per danno biologico e danno patrimoniale “civilistici” e procedendo, poi, allo scorporo, dai singoli importi, delle somme erogate dall'INAIL, rispettivamente per il danno biologico e per le conseguenze patrimoniali (criterio “posta per posta”).
Dottrina e giurisprudenza si sono, invece, dimostrate concordi quando si è trattato di escludere dall'oggetto della rivalsa le somme liquidate in ambito civilistico per danno morale, danno esistenziale, danno biologico temporaneo, danno biologico permanente non indennizzato dall'INAIL perché di grado inferiore al sei per cento, danno patrimoniale per menomazione di grado inferiore al sedici per cento. I suddetti importi, liquidati per pregiudizi fatti rientrare nel cd. danno complementare, venivano attribuiti integralmente alla vittima dell'infortunio, essendo estranei alla tutela sociale.
Tale regola trovava poi consacrazione nel diritto positivo, stante il divieto di esercitare l'azione di surrogazione nei confronti delle imprese di assicurazione che garantiscono la responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti (art. 142, comma 4, d.lgs. n. 209 del 2005).
L'equilibrio raggiunto veniva rimesso in discussione dopo l'arresto delle Sezioni unite del 2008: da quel momento, la giurisprudenza di merito si è dovuta necessariamente misurare sulla questione se la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale modificasse o meno i confini del danno differenziale e dell'oggetto della rivalsa.
(Segue) dopo le Sezioni unite del 2008
Dopo le note sentenze di San Martino, con cui le Sezioni unite, partendo dall'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059, c.c., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, avevano confermato la struttura in forma bipolare del sistema risarcitorio (Cass., sez. un., 9 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 269752 del 2008), la magistratura di merito, esclusa qualsiasi frammentazione del danno non patrimoniale divenuto, nella sua interezza, oggetto della rivalsa esercitata dall'INAIL, sulla scorta del fatto che non fosse più consentito scindere le sofferenze fisiche e psichiche dai pregiudizi anatomo-funzionali conseguenti alla menomazione psicofisica, si divideva tra chi operava il calcolo del danno differenziale per poste omogenee, nel senso che l'operazione di sottrazione avveniva tra quanto liquidato per il danno non patrimoniale civilistico decurtandolo con le somme erogate dall'INAIL per il danno biologico e tra il risarcimento del danno patrimoniale civilistico ridotto con le somme erogate per le conseguenze patrimoniali presunte derivate dall'infortunio e chi, invece, si serviva del criterio “per sommatoria”, nel quale il minuendo era rappresentato da tutto quanto liquidato in ambito civilistico per la menomazione all'integrità psico-fisica ed il sottraendo da tutto quello che l'Istituto aveva erogato in favore del lavoratore infortunato.
In caso di infortunio in itinere, che determinava un danno biologico pari o superiore al 16%, indennizzato dall'INAIL con l'erogazione di una doppia rendita, con il calcolo per sommatoria si comprimeva il risarcimento dei danni estranei alla tutela sociale, soprattutto in assenza della prova di un danno patrimoniale in ambito civilistico.
(Segue) per poste omogenee nel diritto vivente
E proprio in accoglimento di un ricorso proposto da un danneggiato, che si doleva che il giudice di appello avesse attribuito quasi integralmente all'INAIL il risarcimento del danno non patrimoniale, la Corte di cassazione annullava la sentenza, stabilendo che “per calcolare il c.d. “danno biologico differenziale”, spettante alla vittima nei confronti del terzo civilmente responsabile, dall'ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico” (Cass. 26 giugno 2015, n. 13222).
Dopo quasi un anno, la Suprema Corte, questa volta accogliendo il ricorso per cassazione di un responsabile civile di un sinistro stradale, il quale si era lamentato che il danno patrimoniale liquidato in ambito civilistico non fosse stato diminuito con quanto erogato dall'assicuratore sociale per le conseguenze patrimoniali, per la prima volta si riferiva al calcolo “per poste omogenee”, sostenendo che il giudice di merito “avrebbe dovuto innanzitutto distinguere il valore capitale della parte di rendita destinata al ristoro del danno biologico, da quello destinato al ristoro del danno patrimoniale, e quindi sottrarre i due valori, rispettivamente, dal credito risarcitorio per danno biologico e dal credito risarcitorio per danno patrimoniale da incapacità lavorativa” (Cass. 20 aprile 2016, n. 7774).
Pochi mesi dopo la Suprema Corte, volendo fornire la corretta interpretazione al combinato disposto dell'art. 1916, c.c., e dell'art. 142, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, ribadiva ancora una volta che “il risarcimento del danno biologico non può essere decurtato di quanto pagato alla vittima dall'INAIL, a titolo di danno patrimoniale”, sebbene rimanesse impregiudicato il diritto di surroga nei confronti del responsabile civile se e nei limiti in cui un danno patrimoniale sia stato da questi effettivamente causato, con la conseguenza che “la vittima perde il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, trasferito all'INAIL per effetto della surrogazione” (Cass. 30 agosto 2016, n. 17407 (ord.); Cass. 9 novembre 2016, n. 22862).
Il criterio di calcolo “per poste omogenee” veniva utilizzato anche per decidere la controversia sorta tra datore di lavoro e lavoratore infortunato sulla quantificazione del danno differenziale. Nel giudizio di legittimità il datore di lavoro si lamentava della sentenza di condanna resa nei suoi confronti, reputando che il calcolo del danno differenziale non dovesse avvenire per poste omogenee, in considerazione della natura unitaria dell'indennizzo assicurativo, ma defalcando dal risarcimento complessivo l'intero importo erogato dall'assicuratore sociale, senza alcuna distinzione, onde ottenere una riduzione più consistente del risarcimento dovuto perché, nel caso di specie, l'indennizzo erogato dall'INAIL per le conseguenze patrimoniali presunte era risultato superiore rispetto a quanto liquidato in ambito civilistico per il danno patrimoniale. La Suprema Corte respingeva il ricorso poiché “nel sistema bipolare di risarcimento del danno la liquidazione del danno-conseguenza in favore della vittima dell'infortunio, in precedenza indennizzato dall'INAIL, deve avvenire per poste omogenee, senza poter detrarre dalle somme liquidate in ambito civilistico per il danno non patrimoniale quanto erogato dall'assicuratore sociale per le conseguenze patrimoniali” (Cass. 14 ottobre 2016, n. 20807; Cass. ord. 15 ottobre 2018, n. 25618; Cass. 21 novembre 2017, n. 27669).
La Corte di cassazione ribadiva il suddetto principio anche quando l'INAIL non avesse indennizzato l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale, “altrimenti ragionando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare né al dipendente (perché il risarcimento al lavoratore, anche in casi di responsabilità penale, è dovuto solo per l'eccedenza), né all'INAIL (che può agire in regresso solo per le somme versate e, quindi, senza indennizzo non vi sarebbe regresso)” (Cass. 10 aprile 2017, n. 9166; Cass. 31 maggio 2017, n. 13819).
Il criterio di calcolo per poste omogenee non veniva messo in discussione neanche dalle Sezioni unite che, optando per l'orientamento giurisprudenziale che esclude il cumulo di risarcimento ed indennizzo, stabilivano che l'indennizzo andasse detratto dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito (Cass., sez. un., 22 maggio 2018, n. 12566).
Dunque, sulla base del criterio per poste omogenee, dettato dal diritto vivente, in presenza di una menomazione all'integrità psicofisica con un grado pari o superiore al 16%, il danneggiato aveva diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato con le Tabelle di Milano, oramai applicate su tutto il territorio nazionale, decurtato con le somme erogate dall'INAIL per il valor capitale e i ratei della rendita per il danno biologico (Cass. 15 ottobre 2018, n. 25618) ed al risarcimento del danno patrimoniale, eventualmente liquidato in ambito civile, decurtato con gli importi versati a titolo di valor capitale e ratei della rendita per le conseguenze patrimoniali.
(Segue) per sommatoria nel diritto vigente
Dopo un'inerzia durata oltre mezzo secolo, il legislatore ha inteso apportare alcune rilevanti modifiche, entrate in vigore il 1° gennaio 2019 (art. 1, comma 1126, e art. 19, l. n. 145 del 2018), pertanto, applicabili a tutti i giudizi ancora pendenti, alle norme di cui all'art. 10, comma 6, comma 7 e comma 8, ed all'art.11, comma 1, d.P.R. n. 1124 del 1965, nonché al più recente art. 142, comma 2, d.lgs. n. 209 del 2005, collegate alla revisione in diminuzione delle tariffe applicate alle imprese, al fine di imporre agli operatori il calcolo del danno differenziale per sommatoria, come si ricava dalle modifiche apportate alle singole norme:
Nell'art. 10, comma 6, comma 7 e comma 8, sono state inserite le seguenti espressioni in neretto (art. 1, comma 1126, lett. a), lett. b) e lett. c), l. n. 145 del 2018):
comma 6: Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
comma 7: Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'art. 13, comma 2, lett. a) e b), d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
comma 8: Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo.
Con tale modifica il legislatore supera l'operazione di calcolo per poste omogenee, a cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità, per sostituirla con quella per sommatoria, nella quale il minuendo è composto dal risarcimento liquidato per i pregiudizi ammessi alla tutela sociale ed il sottraendo da tutto quello che l'INAIL ha erogato a titolo di indennizzo (ad esempio, indennità per inabilità temporanea assoluta, valor capitale e relativi ratei già erogati della rendita per il danno biologico, valor capitale e relativi ratei già erogati della rendita per le conseguenze patrimoniali).
Pertanto, dal risarcimento complessivo per i pregiudizi oggetto di indennizzo deve detrarsi quanto erogato dall'INAIL senza alcuna distinzione collegata alle poste di danno in precedenza indennizzate.
Nell'art. 11, comma 1, sono state inserite le seguenti espressioni in neretto (art. 1, comma 1126, lett. d) e lett. e), l. n. 145 del 2018):
comma 1: L'istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a qualsiasi titolo a titolo d'indennità e per le spese accessorie nei limiti del complessivo danno risarcibile contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita a qualsiasi titolo dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39, nonché ad ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo.
Nella nuova formulazione si afferma che con l'azione di regresso l'Istituto ha diritto al recupero di tutto quanto a qualsiasi titolo erogato in favore degli aventi diritto, nei limiti del danno risarcibile, liquidato in ambito civile. Dunque, con l'azione di regresso l'INAIL può recuperare l'intero importo erogato sempre che trovi capienza nel risarcimento complessivo liquidato in favore della vittima, anche per i pregiudizi estranei alla tutela sociale.
Nell'art. 142, comma 2, d.lgs. n. 209 del 2005, sono state inserite le seguenti espressioni in neretto (art. 1, comma 1126, lett. f), l. n. 145 del 2018):
comma 2: Prima di provvedere alla liquidazione del danno, l'impresa di assicurazione è tenuta a richiedere al danneggiato una dichiarazione attestante che lo stesso non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie. Ove il danneggiato dichiari di avere diritto a tali prestazioni, l'impresa di assicurazione è tenuta a darne comunicazione al competente ente di assicurazione sociale e potrà procedere alla liquidazione del danno solo previo accantonamento di una somma a valere sul complessivo risarcimento dovuto idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo.
Con tale modifica, che riguarda l'azione di surrogazione esercitabile nei confronti dell'impresa di assicurazione per la r.c.a., il legislatore ha inteso affermare il diritto dell'assicuratore sociale, tra cui si annovera l'INAIL, di ottenere un accantonamento di una somma, liquidabile a titolo di risarcimento del danno senza alcuna distinzione tra pregiudizi ammessi o meno alla tutela sociale, idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo.
Sebbene l'accantonamento in via provvisoria della corrispondente somma in favore dell'assicuratore sociale debba essere operato tenendo conto del risarcimento globale liquidabile all'infortunato, resta fermo che l'azione di surrogazione non possa poi esercitarsi sul risarcimento dovuto sui pregiudizi estranei alla tutela sociale (art. 142, comma 4, d.lgs. n. 209 del 2005).
Pertanto, nonostante che l'accantonamento provvisorio si operi sul risarcimento integrale, rimane fermo il divieto di esercitare la rivalsa sul risarcimento dei danni non altrimenti risarciti, spettanti ancora al danneggiato.
Balza subito all'occhio l'inconciliabilità della modalità di calcolo indicata per ottenere il danno differenziale, caratterizzata dall'operazione di sottrazione tra il risarcimento dei pregiudizi oggetto di tutela sociale e l'importo complessivo erogato a titolo di prestazioni economiche dall'INAIL (art. 10, comma 6, d.P.R. n. 1124 del 1965), rispetto al limite quantitativo dell'azione di regresso individuato con il complessivo danno risarcibile (art. 11, comma 1, d.P.R. n. 1124 del 1965), quindi comprensivo del risarcimento dei pregiudizi estranei alla tutela sociale.
Accantonata l'interpretazione, che si rivelerebbe palesemente incostituzionale, secondo cui il legislatore abbia voluto escludere l'obbligo del responsabile civile di risarcire i pregiudizi estranei alla tutela sociale, perché non contemplato nell'art. 10, comma 6, d.P.R. n. 1124 del 1965, resta da chiarire se esso sia destinato in esclusiva al danneggiato oppure sia aggredibile dall'INAIL.
Dando la preferenza al recupero da parte dell'INAIL, come si ricava dall'art. 11, comma 1, d.P.R. n. 1124 del 1965, assisteremmo ad un vero e proprio ritorno alle origini quando il confronto tra risarcimento ed indennizzo era operato quantitativamente, prescindendo dalla tipologia dei pregiudizi riportati dalla vittima e poi oggetto di risarcimento (cfr. il primo paragrafo).
Se dovesse prevalere, invece, la tesi che il legislatore, limitando il calcolo del danno differenziale agli importi liquidati in ambito civile per i pregiudizi ammessi alla tutela sociale, abbia voluto preservare il risarcimento dei pregiudizi estranei alla tutela, nel passato inseriti nel cd. danno complementare, assicurandolo alla sfera giuridica del danneggiato, è necessario procedere alla liquidazione del danno non patrimoniale analiticamente, distinguendo gli importi liquidati per singolo pregiudizio, tramite una comparazione per sommatoria tra danno civilistico e danno previdenziale, considerando come minuendo l'intero risarcimento del danno civilistico, ma solo dopo averlo depurato delle somme dovute a ristoro del cd. danno complementare, che racchiude i pregiudizi fuori dalla copertura assicurativo – sociale, e come sottraendo l'intero importo erogato dall'Istituto.
Tale obiettivo può essere perseguito persino utilizzando la Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale elaborata presso il Tribunale di Milano, che racchiude, secondo la Suprema Corte, il valore da ritenersi equo, in grado di garantire l'uniformità di trattamento, e per questo da applicare su tutto il territorio nazionale (Cass. 7 giugno 2011, n. 12408; Cass. 30 giugno 2011, n. 14402), con l'accortezza di servirsi ancora del punto biologico, onde ottenere il risarcimento solo della mera lesione all'integrità psico-fisica, oggetto della tutela sociale e, come tale, aggredibile per intero con la rivalsa da parte dell'INAIL.
In sostanza, si procede con una semplice sottrazione, nella quale il minuendo è composto dal risarcimento ottenuto con il punto danno non patrimoniale ed il sottraendo dal risarcimento liquidato con il punto danno biologico, la cui differenza, destinata alla vittima, comprende il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali esclusi dalla tutela sociale. Per il calcolo del danno differenziale, poi, si deve procedere con una sottrazione, in cui il minuendo è rappresentato dalla somma del risarcimento del danno biologico e del danno patrimoniale liquidati in ambito civilistico ed il sottraendo da quanto erogato per prestazioni economiche dall'INAIL.
L'adozione di tale modalità di calcolo consentirebbe, altresì, di rispettare l'art. 142, comma 4, d.lgs. n. 209 del 2005, perché l'azione di surrogazione verrebbe esercitata nei confronti dell'impresa di assicurazione per la r.c.a., senza intaccare il risarcimento dei danni permanenti non altrimenti risarciti, di esclusiva spettanza del danneggiato.
Conclusioni
Sembra che con le recenti modifiche apportate al testo normativo originario il legislatore abbia voluto aderire a quella tesi, sostenuta da parte della dottrina e seguita soprattutto dalla giurisprudenza di merito, in base alla quale il calcolo del danno differenziale si debba eseguire con un criterio meramente quantitativo, detraendo cioè il valore completo dell'indennizzo dal complessivo ammontare del risarcimento e prescindendo totalmente da una comparazione qualitativa fra le singole voci di danno richiamate nei due diversi ambiti; l'eventuale quota eccedente spetterà al lavoratore, mentre l'INAIL avrà diritto di agire in rivalsa fino a concorrenza dell'importo delle prestazioni erogate.
Con il criterio di calcolo per sommatoria si riduce il perimetro del danno differenziale, mentre aumenta la capienza entro cui possano trovare accoglimento le azioni di rivalsa esperibili dall'INAIL.
Ciò comporta che la consistenza del risarcimento nei limiti del danno differenziale, spettante al danneggiato, si riduca - sino anche ad azzerarsi, in presenza, ad esempio, di menomazioni all'integrità psicofisica di grado pari o superiore al 16%, per le quali l'INAIL eroga una duplice rendita, soprattutto se non sia allegato e provato un danno patrimoniale in ambito civilistico - al crescere dell'indennizzo erogato dall'INAIL che, a differenza del recente passato, può reclamare ed ottenere il rimborso integrale di quanto in precedenza erogato, nei limiti del danno civilistico complessivo.
Guida all'approfondimento
Per un approfondimento sulle prime quattro stagioni e sulle modalità di calcolo del danno differenziale per sommatoria come descritte nel paragrafo 6, si rinvia a:
S. Giubboni–A. Rossi, Infortuni sul lavoro e risarcimento del danno, 2012, Milano, Giuffré editore.
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Sommario
Il calcolo del danno differenziale: nella legge istitutiva dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
(Segue) dopo le sentenze della Corte costituzionale del 1989 e del 1991
(Segue) dopo la socializzazione del danno biologico