Successione di contratti a tempo determinato (anche) in somministrazione e decorrenza del termine di decadenza per l'impugnativa stragiudiziale

Luigi Di Paola
18 Marzo 2019

In tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione, l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l'impugnativa, poiché l'inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro - il quale potrà determinarsi solo “ex post”, a seguito dell'eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto - comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità...
Massima

In tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione, l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l'impugnativa, poiché l'inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro - il quale potrà determinarsi solo “ex post”, a seguito dell'eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto - comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità.

Il caso

Un lavoratore agisce in giudizio per ottenere la declaratoria di illegittimità di alcuni contratti di somministrazione a termine stipulati in successione, con intervalli inferiori a sessanta giorni tra l'uno e l'altro.

Il tribunale, benché sia stato tempestivamente impugnato solo l'ultimo contratto della serie, ritiene non compiuta la decadenza anche con riferimento ai contratti precedenti, sul presupposto che il lasso temporale intercorso tra gli stessi, inferiore al termine utile per l'impugnativa stragiudiziale, configuri una causa impeditiva della decadenza.

Di contrario avviso è invece il giudice di appello, che ritiene compiuta la decadenza per ogni contratto non impugnato nei termini.

La Cassazione, confermando la pronuncia di secondo grado, rigetta il ricorso proposto dal lavoratore.

La questione

La questione in esame è la seguente: nell'ipotesi di più contratti di somministrazione a tempo determinato, il termine di decadenza per l'impugnazione stragiudiziale decorre in relazione ad ogni singolo contratto, con conseguente necessità di una apposita impugnativa, oppure il lasso temporale, intercorrente tra i vari contratti, inferiore a quello previsto per effettuare la predetta impugnativa, costituisce fattore impeditivo della decadenza, con possibilità per il lavoratore di contestare nei termini solo l'ultimo contratto della serie?

Le soluzioni giuridiche

La pronunzia in commento è la prima della S.C. sulla questione; la soluzione adottata, peraltro, è stata riconfermata da Cass. 18 dicembre 2018, n. 32702.

La tesi accolta in primo grado (e respinta dalla S.C.), sostenuta talvolta in dottrina all'indomani dell'introduzione del termine di decadenza per l'impugnativa dei contratti a termine, era incentrata anche sul rilievo che il lavoratore, atteso il timore di perdere l'occasione di un possibile rinnovo del contratto in corso, è solito procedere all'impugnativa di quest'ultimo gli ultimi giorni utili, quando oramai è quasi certo che il rapporto non proseguirà; peraltro, ove il contratto sia stato invece rinnovato prima dello spirare del termine utile per l'impugnativa, il lavoratore avrà, quale ragione di desistenza, la speranza di poter essere ingaggiato più volte in futuro.

In buona sostanza, la predetta tesi era fondata sulla sussistenza di un “metus” (da mancata prosecuzione del rapporto) capace di precludere alla decadenza di operare immediatamente nelle azioni di impugnativa dei rapporti a termine affetti da illegittimità.

La Corte, nell'affermare il contrario principio di cui alla sopra riportata massima, fa leva su un duplice ordine di considerazioni.

La prima è che ogni singolo contratto ha una sua individualità; sicché la decadenza non può che operare con riferimento alla fattispecie così come si presenta “in apparenza”, senza che possa aversi riguardo al rapporto continuativo che risulterà tale solo a seguito della trasformazione del contratto in uno a tempo indeterminato (nella somministrazione, con l'utilizzatore).

Diversamente opinando, secondo la Corte, verrebbe “anticipata, in modo non giustificato, una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo (tutti i contratti intervenuti a prescindere dal lasso temporale che li separa), estranea al fatto storico allegato il cui rilievo giuridico è oggetto della domanda avanzata”.

La seconda considerazione è che si rivela “improprio il richiamo agli atti impeditivi della decadenza (art.2966 c.c.), in quanto questi devono essere espressamente previsti dalla legge o dal contratto e dunque non sono suscettibili di applicazione estensiva ed analogica che consenta di attribuire efficacia impeditiva ad atti non specificamente individuati, quale sarebbe, nel caso di specie, la circostanza del minor lasso temporale intercorso tra i contratti succedutisi rispetto al termine dei sessanta giorni utile ad impugnare”.

Osservazioni

Le conclusioni cui giunge la S.C. sono ovviamente estensibili all'ipotesi classica di impugnativa di contratti in successione a tempo determinato non in somministrazione, da esercitarsi, ai sensi degli artt. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015 e 1, comma 1, lett. c) del d.l. n. 87 del 2018, conv. dalla l. n. 96 del 2018, entro centottanta giorni dalla “cessazione del singolo contratto”.

Le stesse si rivelano in linea con il diritto positivo.

Da un lato va infatti ricordato che la fattispecie del contratto a termine illegittimo (a prescindere se in somministrazione o meno) è dominata dal principio di apparenza.

Basti, al riguardo, il rilievo che la clausola appositiva del termine, pur nulla, mantiene una valenza residua anche dopo la pronuncia con la quale il giudice dichiara la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato; ne costituisce riprova il fatto che l'invito rivolto dal datore al lavoratore affinché quest'ultimo non si rechi più in azienda, per essere scaduto il termine apposto al contratto, non vale come licenziamento, bensì come atto ricognitivo di una causa di cessazione di un rapporto, ossia la scadenza del termine, che, però, nella sostanza, non è mai stata operativa sul piano giuridico, per esser affetta da nullità la clausola che quel termine ha fissato.

In buona sostanza, qui, la forma esteriore del contratto, malgrado non in sintonia con l'effettivo atteggiarsi del rapporto, qualifica l'iniziativa datoriale in modo conforme alla realtà virtuale derivante dalla forma stessa (a meno che l'atto di licenziamento sia voluto dal datore nella già raggiunta consapevolezza della nullità del termine).

Del resto, il valore dell'apparenza, in tale ambito, è rafforzato proprio dalla previsione di un termine di decadenza entro il quale procedere all'impugnativa del rapporto a tempo determinato; infatti, una volta spirato il predetto termine, le caratteristiche esteriori del rapporto stesso rimangono ferme, essendo definitivamente precluso al lavoratore di far emergere nella realtà giuridica il profilo di nullità.

Né, ove l'effetto preclusivo si sia verificato, sembrano immaginabili escamotages funzionali al non plausibile aggiramento della disciplina in materia di decadenza.

Ed infatti, il lavoratore che - con riferimento all'ipotesi di contratto a tempo determinato non in somministrazione - agisse in giudizio prospettando la persistenza del rapporto, adducendo semplicemente la mancanza di una legittima causa di cessazione dello stesso, si vedrebbe agevolmente obiettare dal datore che il rapporto é sorto a tempo determinato e non é stato impugnato in via stragiudiziale. Né il lavoratore medesimo potrebbe strategicamente replicare che la nullità è oggetto di un accertamento da compiersi in via meramente incidentale nel corso del giudizio a prescindere dall'operatività della decadenza, giacché una tale ricostruzione del sistema sarebbe del tutto sganciata dalla disciplina delineata dal legislatore.

Analogamente, il lavoratore che - con riguardo all'ipotesi di somministrazione – si limitasse a chiedere l'accertamento della subordinazione nei confronti dell'utilizzatore, si vedrebbe opposta la sussistenza del rapporto contrattuale con il somministratore e la mancata impugnativa stragiudiziale del contratto nei termini di legge.

L'ipotesi di un impedimento della decadenza costituito dall'intervallo temporale, tra un contratto e l'altro, minore del termine di sessanta giorni (coincidente con quello entro il quale procedere all'impugnativa stragiudiziale), è, per come ragionevolmente evidenziato dalla S.C., da scartare, giacché non vi è alcuna previsione che ciò preveda (la quale, peraltro, sarebbe di assai problematica concezione; senza considerare, sul piano pratico, che il datore ben difficilmente sarebbe disposto a procedere al rinnovo del contratto a termine entro i sessanta giorni dalla scadenza di quello precedente, sapendo che quel rinnovo esonera il lavoratore dall'impugnativa in via stragiudiziale).

Infine, va evidenziato che è lo stesso legislatore ad aver fornito, pur con esclusivo riferimento all'area del rapporto a termine (ma con portata ampia e certamente valevole anche nell'ambito della somministrazione a termine), la soluzione al problema; ed infatti, per come sopra visto, la decadenza per l'impugnativa decorre dalla “cessazione del singolo contratto”, ove la parola “singolo” assume, evidentemente, il significato specifico di isolare, ai fini dell'impugnativa, ogni contratto dalla serie nella quale viene ad inserirsi.

Ciò posto, va segnalato che, di recente, si è fatta chiarezza sull'ultima questione rimasta “aperta” in tema di decadenza, ossia quella della decorrenza del termine in caso di (legittima) prosecuzione del contratto dopo la teorica scadenza.

Ed infatti, in taluni casi, il legislatore, nelle varie disposizioni che si sono susseguite nel tempo in materia, ha adottato, nel determinare il momento di decorrenza della decadenza, locuzioni non sempre coincidenti o sovrapponibili, quali “scadenza del termine” (cfr. l'art. 32, comma 4, lett. a), della l. n. 183 del 2010), o “cessazione del singolo contratto” (cfr. l'art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015), lasciando ipotizzare che potesse aversi anche riguardo alla scadenza “teorica” del contratto stesso.

Sul punto, la S.C. (cfr. Cass. 27 novembre 2018, n. 30691) ha invece affermato che il termine decorre (quindi a prescindere dall'espressione usata dal legislatore) dalla “effettiva cessazione del rapporto”.

Il che sembra determinare un allineamento, in punto di decorrenza della decadenza, della disciplina del contratto a termine a quella della somministrazione (in relazione alla quale, attualmente, per effetto della previsione di cui all'art. 39, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la decadenza decorre dal momento in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore), poiché occorrerebbe aver riguardo, in ogni caso, alla cessazione dell'attività del lavoratore presso il datore (o utilizzatore).

Però, in tal quadro, ci si potrebbe chiedere da quando decorre la decadenza ove il lavoratore abbia, una volta scaduto il termine, continuato a prestare servizio presso il datore o l'utilizzatore e, nelle more, intervenuto un secondo contratto, l'attività del lavoratore sia proseguita senza soluzione di continuità fino alla scadenza di quest'ultimo.

Potrebbe al riguardo ipotizzarsi che la decadenza decorra comunque, per l'impugnativa del primo contratto, dalla cessazione in concreto dell'attività ad opera del lavoratore, pur se la predetta cessazione sia l'effetto diretto della scadenza del secondo contratto; il che, però, si risolverebbe - perfezionandosi il momento di decorrenza della decadenza dalla cessazione dell'ultimo rapporto della serie - nella idoneità di un'unica impugnativa ad impedire la decadenza anche per il contratto precedente.

Ma, se così fosse, gli indirizzi della S.C. sopra illustrati andrebbero forse, in relazione a tale ipotesi specifica, ulteriormente puntualizzati.

Per riferimenti sul tema, v. I. Fedele, La somministrazione di lavoro, ne “Fonti e tipologie dei contratti di lavoro”, I, Lavoro, Pratica Professionale, diretto da P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei, Giuffré, 2017, 458 ss.

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