Ritrovamento di documento decisivo e termine di proposizione della revocazione

Francesco Bartolini
19 Marzo 2019

Con il ricorso per cassazione viene dedotto che l'interpretazione seguita dai giudici di merito a riguardo del decorso del termine di proposizione della revocazione comporterebbe, se non sconfessata, una inaccettabile conseguenza sotto il profilo del diritto di difesa e dell'osservanza del generale principio dispositivo che regge il processo civile.
Massima

Il ritrovamento del documento decisivo, che segna il dies a quo del termine per la proposizione dell'impugnazione, si identifica non nella materiale apprensione del documento stesso ma nella acquisizione di un grado di conoscenza del suo contenuto sufficiente a valutarne la rilevanza revocatoria. L'accertamento di tale momento, tuttavia, costituendo l'oggetto di un evidente giudizio di fatto, spetta in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione sul punto può essere censurata in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, nella misura in cui sono rilevanti a norma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..

Il caso

La pronuncia della Corte ha chiuso un giudizio per la revocazione di una sentenza passata in giudicato proposto sull'assunto del ritrovamento di documenti idonei ad ottenerne la revoca. A sostegno della domanda la parte istante aveva affermato di essere entrata in possesso, dopo quella pronuncia, di documenti sui quali aveva fatto eseguire una perizia esplicativa da uno studio tecnico. I rilievi eseguiti avevano evidenziato la natura decisiva della nuova prova così acquisita: prova che non era stato possibile produrre nel giudizio conclusosi con la decisione revocanda. L'impugnazione per revocazione fu dichiarata, nel primo e nel secondo grado del processo, inammissibile per la tardività della sua proposizione. Per i giudici di merito il termine di trenta giorni per la presentazione dell'istanza di revocazione aveva iniziato a decorrere dal momento della presa conoscenza della documentazione e non, come preteso dall'attrice, dal momento di molto successivo dei chiarimenti ottenuti con la perizia.

La questione

Con il ricorso per cassazione si deduce che l'interpretazione seguita dai giudici di merito a riguardo del decorso del termine di proposizione della revocazione comporterebbe, se non sconfessata, una inaccettabile conseguenza sotto il profilo del diritto di difesa e dell'osservanza del generale principio dispositivo che regge il processo civile. Nella vicenda di specie la decorrenza di quel termine era stata riferita alla data del mero ritrovamento della documentazione, quando ancora non era stato possibile avere una precisa conoscenza del suo contenuto e della sua importanza. La rilevanza e la decisività delle nuove acquisizioni erano state comprese a distanza di tempo, con le delucidazioni ricevute mediante una indagine affidata ad esperti. Soltanto queste informazioni avevano costituito la vera conoscenza della nuova prova e, pertanto, il “ritrovamento” della stessa ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rigettato il ricorso per infondatezza. L'impugnazione per revocazione, ha ricordato, quando correlata al ritrovamento di documenti non potuti produrre nel giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata, deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data del recupero dei documenti medesimi e l'onere della prova dell'osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell'ammissibilità dell'impugnazione, incombe alla parte che questa abbia proposto, la quale deve indicare in citazione, appunto a pena di inammissibilità della domanda, le prove di tale circostanza nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento. Peraltro, si è precisato, il ritrovamento del documento decisivo, che segna il dies a quo del termine per la proposizione dell'impugnazione, si identifica non nella materiale apprensione del documento stesso ma nella acquisizione di un grado di conoscenza del suo contenuto sufficiente a valutarne la rilevanza revocatoria. L'accertamento di tale momento, costituendo l'oggetto di un evidente giudizio di fatto, spetta in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione sul punto può essere censurata in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, nella misura in cui sono rilevanti a norma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.. Nel caso in esame l'accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito sul momento nel quale l'attrice aveva acquistato contezza, se non del preciso significato, quanto meno della rilevanza dei documenti ai fini dell'istanza di revocazione non era stato in alcun modo contestato dalla ricorrente con la deduzione, a norma del detto art. 360 c.p.c., dell'omesso esame di fatti decisivi: e ciò bastava, a fronte della definitività di tale accertamento, a negare rilevanza alle censure in jure che la ricorrente aveva svolto.

Osservazioni

L'art. 395 c.p.c. consente la revocazione delle sentenze pronunciate in appello o in unico grado quando, tra gli altri casi, dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi non potuti produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per il fatto dell'avversario. A sua volta l'art. 326 stesso codice indica come momento di decorrenza del termine di trenta giorni per la proposizione dell'impugnazione quello in cui è stato recuperato il documento ritenuto decisivo. Le espressioni letterali utilizzate, “trovati” e “recuperato”, sembrano alludere ad una disponibilità materiale di cose che, una volta entrate in possesso di chi ne abbisognava, enunciano di per sé stesse il fatto del quale forniscono la prova. Un esempio in proposito può essere quello della ricevuta di pagamento smarrita e fortunosamente riapparsa tra le carte disordinate della contabilità: ricevuta che attesta con la sua stessa esistenza e per mezzo della sua sola lettura che il debito era stato saldato. Ma può accadere che quanto trovato e recuperato non offra questa prova immediata e richieda, per contro, di essere interpretato, chiarito, verificato e confrontato. Può trattarsi, infatti, di uno scritto in una lingua non comunemente conosciuta e che richiede una difficoltosa traduzione; di una porzione di contabilità da correlare con quella incompleta o da sindacare nella sua corrispondenza alle registrazioni di una controparte; di un ulteriore testamento nell'eredità contestata del quale sia dubbia l'autenticità e, se falso, esponga la parte che lo esibisce a responsabilità personali o per lite temeraria.

Può, in sostanza, esistere un lasso temporale di incertezza tra il momento del materiale recupero del documento e quello in cui se ne comprende l'importanza. Ritenere significativo il primo di questi momenti può costringere l'interessato ad intraprendere azioni frettolose per prevenire l'incombente scadenza di un termine che certamente è esiguo nella sua durata e che mette a dura prova la solerzia della parte e del suo difensore. Si impone conseguentemente una interpretazione che tenga conto di una siffatta possibile situazione e non leghi la decorrenza del termine alla materiale disponibilità dell'atto ma alla comprensione della sua utilità nel giudizio da intraprendere.

Di questo aspetto dà conto la pronuncia della Corte, la quale ha affermato, testualmente: «… il ritrovamento del documento decisivo … si identifica non nella materiale apprensione del documento stesso ma nella acquisizione di un grado di conoscenza del suo contenuto sufficiente a valutarne la rilevanza revocatoria…». Nella motivazione si rimanda alle pronunce di Cass. civ., n. 4688/1987 e di Cass. civ., n. 5604/1985, risalenti ma che hanno risolto una questione sulla quale successivamente non risultano essere più sorti dubbi.

L'interprete può, peraltro, porsi due questioni, non del tutto teoriche.

La prima riguarda le indubbie difficoltà che la ristrettezza dei tempi di proposizione della revocazione pone alla parte interessata a servirsene. Nelle situazioni di non immediata conoscibilità della decisività dell'atto appare ingiustamente sanzionatorio addebitare a colpevole inerzia la mancata osservanza del termine di trenta giorni se fatta decorrere dalla sua materiale disponibilità: ove si ponga mente alle necessità di accertare la rilevanza probatoria e sovversiva del giudicato da attribuire alle cose recuperate, di discuterne con il difensore e di predisporre e notificare l'atto di gravame. In quei casi il giudice della revocazione ha davvero nelle mani il destino dell'impugnazione, nel senso che una applicazione restrittiva e rigorosa della normativa, legata al suo tenore letterale, può privare in radice la parte istante del suo diritto ad una indagine sull'idoneità del ritrovamento documentale a mutare la decisione pronunciata a suo danno. Nella vicenda in oggetto la Corte ha posto il problema ma ha poi dovuto arrendersi al principio per il quale il suo giudizio deve escludere le questioni di fatto, delle quali è arbitro il giudice di merito. Ed a questo punto sorge la seconda questione.

Il giudizio in fatto può essere sindacato in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione. Lo ha ricordato la sentenza in commento e, del resto, l'obbligo per il giudice di motivare i suoi provvedimenti decisori implica necessariamente non soltanto che la motivazione esista materialmente ma sia anche logicamente corretta ed esauriente. Se questo è il principio, di natura costituzionale, va rilevato che il diritto positivo ne fa poi una applicazione del tutto particolare. Dispone, infatti, attualmente l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. che le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione deducendo a motivo l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. É rimasta la regola dell'impugnabilità della pronuncia per violazione di legge, ove la decisione sia priva della motivazione o abbia una motivazione del tutto incomprensibile, arbitraria o assolutamente incoerente. Ma tranne per questo caso di nullità radicale l'impugnazione per vizio inerente alle argomentazioni motivazionali è stata circoscritta dal legislatore allo specifico caso cui si riferisce la norma citata. Il vizio motivazionale denunciabile per cassazione sussiste quando nella sua pronuncia il giudice omette di considerare un fatto storico, vale a dire una circostanza di fatto, decisivo per il giudizio e che fu oggetto di contestazione tra le parti. In sostanza, il vizio di motivazione si configura attualmente come una mancata pronuncia su un tema che costituiva una porzione della materia del decidere, non soltanto noto alle parti e sottoposto in un qualunque modo all'esame del giudicante ma specificamente controverso tra le parti. Dunque, un difetto per omessa decisione e non anche un errore di valutazione e di apprezzamento. Un error in procedendo e non un error in judicando.

Risulta, allora, assai difficile ritenere ammissibile il ricorso per vizio di motivazione quando il giudice della revocazione valuta un determinato momento storico essere idoneo a segnare la decorrenza del termine di proposizione dell'impugnazione. Infatti, il vizio rilevante ai fini della successiva impugnazione con ricorso per cassazione può formarsi solo nella diversa ipotesi in cui: 1) nel giudizio era sorta discussione tra le parti sul significato da attribuire ad una circostanza, piuttosto che ad un'altra, per stabilire a quale di esse attribuire l'effetto del “ritrovamento” e del “recupero” della prova documentale; 2) la discussione deve avere riguardato fatti intesi nella loro individualità storica; 3) e uno di essi è stato dimenticato dal giudice nella sua pronuncia. Soltanto se all'attore in revocazione si oppone la sussistenza di un episodio rivelatore di una conoscenza precedente, rispetto a quello indicato nell'impugnazione, e controparte ribatte negandone la rilevanza, può aversi vizio di motivazione ove il giudice ometta di prendere in considerazione il contrasto tra le parti. Se invece di dedurre un contrastante fatto storico si contesta il giudizio di idoneità alla decorrenza del termine operato dal giudicante, la decisione rimane a livello di valutazione di merito non sindacabile per cassazione se non presta il fianco a madornali difetti logici ed espositivi. L'apprezzamento delle caratteristiche di un determinato fatto sufficienti a costituire “ritrovamento” e “recupero” di un documento di prova, nel senso di avere determinato la conoscenza utile del suo contenuto e della sua decisività, è ormai chiuso al vaglio di controllo della Corte di cassazione: se non si traduce nella violazione delle norme che rispettivamente impongono la corrispondenza tra il controverso e il pronunciato e l'obbligo di munire di una motivazione razionale le pronunce decisorie.

Per completezza può ricordarsi che, per la giurisprudenza, risulta chiaramente dal tenore letterale della normativa la necessaria preesistenza del documento recuperato rispetto al giudizio nel quale avrebbe dovuto o potuto essere prodotto (Cass. civ., Sez. Un., n. 16402/2007; Cass. civ., sez. VI, ord., n. 3655/2017; Cass. civ., sez. VI, ord., n. 20587/2015; Cass. civ., sez. III, n. 3362/2015). Alla parte interessata alla revocazione spetta la prova di questa anteriorità nonché dell'impossibilità della produzione tempestiva del documento, della data del suo ritrovamento, della acquisita conoscenza dello stesso e dell'avvenuto rispetto del termine di decadenza dell'impugnazione (Cass. civ., sez. II, ord., n. 885/2018; Cass. civ., sez. II, n. 14810/2017; Cass. civ., sez. II, n. 9652/2016).

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