Licenziamento disciplinare e nozione di recidiva

La Redazione
19 Marzo 2019

Il disvalore di una condotta recidivante non risiede nel fatto che sussistano una pluralità di episodi identici e ripetuti, bensì, nel contegno assunto dal lavoratore che, sebbene ammonito con una precedente sanzione disciplinare, abbia proseguito con il medesimo inadempimento facendo venire definitivamente meno la fiducia del datore di lavoro nella corretta esecuzione della prestazione.

Il caso. Un lavoratore era stato licenziato a seguito di contestazione disciplinare per la mancata timbratura all'orologio marcatempo delle uscite e per il tempo ingiustificatamente trascorso al di fuori dello stabilimento; la società rispetto alla condotta addebitata aveva rilevato il grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali richiamando, altresì, una condotta recidiva da parte del lavoratore.

L'ordinanza del Tribunale di Latina dichiarava l'illegittimità del licenziamento e ordinava la sua reintegra in applicazione del comma 4 dell'art. 18, l. n. 300 del 1970.

Peri i giudici di prima istanza l'addebito contestato era privo di rilievo disciplinare, secondo quanto previzsto dal regolamento aziendale; essi rilevavano altresì l'illegittimità della recidiva specifica contestata dalla società. Per il Tribunale, i fatti addebitati e le relative lettere di contestazione infatti duplicavano ingiustificatamente gli illeciti e le correlative sanzioni.

Contro l'ordinanza del Tribunale la società ha presentato opposizione chiedendo l'accertamento della legittimità del licenziamento irrogato.

Nozione di recidiva. Nel caso di specie, a fronte di una pluralità di episodi identici la società datrice di lavoro aveva - irragionevomente, per il giudice adito - irrogato due distinti provvedimenti disciplinari entrambi lo stesso giorno prescrivendo la sanzione della sospensione di tre giorni (sanzione conservativa espressamente prevista dal CCNL di categoria in caso di sospensione senza giustificato motivo della attività lavorativa) con riferimento alla sospensione della attività lavorativa per alcune delle giornate e, con distinto provvedimento disciplinare, aveva contestato nuovamente la sospensione della attività lavorativa con riferimento a distinte giornate sempre dello stesso mese, ritenendole di maggior gravità ed irrogando la sanzione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Secondo i giudici di Latina, la società, così facendo, aveva parcellizzato, strumentalmente, la contestazione disciplinare ai fini della applicazione della recidiva.

Non risulta infatti – spiegano - in alcun modo legittimo e ragionevole che l'azienda rispetto a una pluralità di episodi identici rilevati in un medesimo contesto temporale disponga due distinti addebiti disciplinari contestati, tra l'altro, nella stessa giornata.

Il disvalore di una condotta recidivante non risiede nel fatto che sussistano una pluralità di episodi identici e ripetuti, bensì, nel contegno assunto dal lavoratore che, sebbene ammonito con una precedente sanzione disciplinare, abbia proseguito con il medesimo inadempimento facendo venire definitivamente meno la fiducia del datore di lavoro nella corretta esecuzione della prestazione.

La strumentale parcellizzazione dell'addebito sanzionatorio risulta per i giudici di primo grado assolutamente illegittima e mina la funzione stessa della recidiva che serve proprio ad ammonire il lavoratore dal continuare a perseverare nell'inadempimento contestato. La parcellizzazione dell'inadempimento nella esecuzione della prestazione resa dal lavoratore nello stesso mese risulta pertanto esclusivamente strumentale ad evitare l'applicazione della sanzione conservativa espressamente prevista dal CCNL.

Insussistenza del fatto materiale posto a base del licenziamento e obbligo di reintegra. Con riferimento all'ambito di applicazione delle tutele predisposte dall'art. 18, l. n 300 del 1970, i giudici di Latina richiamano la giurisprudenza della Suprema Corte che ha chiarito come la l. n. 300 del 1970, art. 18, modificata dalla l. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, ovvero, nell'ipotesi in cui per quel fatto la contrattazione collettiva abbia previsto una sanzione di carattere conservativo, ed esulando dalla fattispecie che è alla base della reintegrazione ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato (in tal modo anticipando la soluzione che è stata poi recepita dal legislatore nel d.lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, per il c.d. contratto a tutele crescenti).

Per la Cassazione l'insussistenza del fatto contestato comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità o rilevanza giuridica, e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare, oltre che il fatto non imputabile al lavoratore.

La non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra, pertanto, nell'art. 18 comma 4 solo quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa; diversamente, ove emerga in giudizio, invece, che il fatto materiale sussista e risulti disciplinarmente rilevante ma che, in concreto, in relazione ad un giudizio di proporzionalità, non vi siano gli estremi integranti la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo è applicabile il comma 5 dell'art. 18 prevede la tutela indennitaria cd. forte.

La sentenza Tribunale di Latina conferma pertanto l'ordinanza dei giudici di prima istanza.

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