Estensione dei termini di decadenza di cui all'art. 32, l. n. 183 del 2010, un contrasto non ancora sopito
04 Marzo 2019
Massima
Nell'ambito di un trasferimento di azienda ex art. 2112, c.c., in ragione della medesimezza dell'oggetto della questione, l'art. 32, comma 4, lett. c), l. n. 183 del 2010, troverà applicazione non soltanto qualora il lavoratore contesti la cessione aziendale e, dunque, domandi l'imputazione del rapporto in capo al cedente, ma anche nell'ipotesi inversa nella quale ne venga rivendicata la continuazione presso il cessionario. Ne consegue la dichiarazione di decadenza dal diritto di impugnazione qualora non vengano rispettati i termini fissati ex lege. Il caso
La società A.S. avviava una procedura di riduzione del personale ai sensi della l. n. 223 del 1991 inviando, in data 9 dicembre 2016, una comunicazione alle oo.ss. e competenti RSU con la quale dichiarava l'intenzione di risolvere il rapporto di lavoro con 26 dipendenti in ragione della cessazione, al 31 marzo 2017, dell'appalto con la società S.H. s.p.a. Quest'ultima, nel corso degli incontri, manifestava la propria disponibilità ad impiegare i dipendenti della A. ma in regime di somministrazione fino alla nuova gara di appalto. Alcuni lavoratori, dimessi da A.S. il 1° febbraio 2017, venivano assunti dall'agenzia di somministrazione A., con contratto di lavoro a termine, per prestare la propria attività in favore della S.H. s.p.a. in regime di somministrazione. Nel mese di giugno questa pubblicava un nuovo bando di gara per l'affidamento del servizio di “assistenza bagagli, merci e posta e servizio di pulizia degli aeromobili presso l'aeroporto di Torino”. La gara veniva aggiudicata alla N.C. s.r.l.
Con lettere inviate alla S.H. s.p.a. e alla N.C. s.r.l. il 9 ottobre 2017 e il 7 dicembre 2017, i ricorrenti avevano contestato la violazione dell'art. 2112, c.c., nonché la mancata attivazione della procedura di cambio appalto ex art. 4, CCNL di settore. Ad avviso degli stessi si sarebbero verificati due distinti trasferimenti d'azienda, il primo dall'A.S. alla S.H. s.p.a., il secondo da quest'ultima alla N.C. s.r.l., domandando quindi l'accertamento della prosecuzione dei rispettivi rapporti di lavoro dalla prima società alle due successive convenute, con effetto dalla data degli intervenuti trasferimenti. In subordine si chiedeva l'accertamento della violazione della c.d. “clausola sociale” ex art. 4, CCNL da parte della N.C. s.r.l., con condanna alla riassunzione.
Le società convenute eccepivano la decadenza dal diritto di impugnazione della mancata prosecuzione del rapporto alle dipendenze della S.H. s.p.a. e, quindi, della N.C. s.r.l., ex art. 32, l. n. 183 del 2010. La questione
I termini di decadenza previsti all'art. 32, l. n. 183 del 2010, operano nel caso in cui il lavoratore rivendichi la continuazione del proprio rapporto di lavoro presso il cessionario a seguito di un trasferimento di azienda? La soluzione
Il Tribunale di Torino sostiene la fondatezza dell'eccezione di decadenza.
Ad avviso dei giudici l'art. 32, l. n. 183 del 2010, in forza del quale il lavoratore è tenuto, a pena di decadenza, a contestare entro 60 giorni il provvedimento in via stragiudiziale, esercitando entro 180 giorni l'azione giudiziale, è stato esteso ad un'ampia gamma di fattispecie, coinvolgenti diritti del lavoratore, quali anche la conservazione del posto di lavoro di lavoro, la cessione del rapporto ai sensi dell'art. 2112, c.c., nonché l'individuazione del soggetto effettivamente titolare del rapporto di lavoro (art. 32, comma 2, lett. c-d).
Dal tenore delle domande presentate è stato ritenuto che i ricorrenti fondino tutte le proprie pretese sulla prospettata sussistenza di due trasferimenti di ramo d'azienda ex art. 2112, c.c., con conseguente applicazione dell'art. 32, comma 4, lett. c), l. n. 183 del 2010 e decorrenza del termine di decadenza dall'atto di trasferimento dell'azienda o ramo d'azienda (Cass. n. 13179 del 2017).
Sostiene inoltre il Tribunale che la lettera della suddetta disposizione, rinviando all'art. 2112, c.c., porrebbe l'accento sul momento traslativo dell'azienda, o ramo d'azienda, dovendo quindi trovare applicazione non soltanto qualora il lavoratore contesti la legittimità del trasferimento e la cessione del proprio contratto, ma anche nell'ipotesi inversa nella quale tale cessione venga invece rivendicata, non rinvenendosi alcun distinguo nel testo normativo. Tale conclusione verrebbe corroborata dal thema decidendum, in entrambi i casi afferente all'imputazione in capo all'uno o all'altro datore del rapporto lavorativo, assumendo rilievo la finalità precipua perseguita dal legislatore, recte contrastare pratiche di rallentamento del contenzioso giudiziario disponendone una celere emersione in ragione della incidenza dello stesso sulla consistenza occupazionale aziendale. Diversamente, il cessionario sarebbe esposto, entro i termini di prescrizione ordinaria, alle azioni giudiziarie di tutti i dipendenti del cedente, con evidente irragionevole disparità di trattamento rispetto a quest'ultimo a favore del quale opererebbero invece i termini di decadenza.
I ricorrenti avrebbero avuto conoscenza del primo trasferimento al più tardi al momento in cui agli stessi era stato comunicato il licenziamento dalla A.S. (2 maggio 2017). Poiché la prima contestazione della violazione delle disposizioni di cui all'art. 2112, c.c., è da ricondurre alla prima lettera del 9 ottobre 2017, seguita dalla successiva del 7 dicembre 2017, si è ritenuta verificata la decadenza stabilita dall'art. 32, comma 4, lett.c), l. n. 183 del 2010. Ne consegue l'impossibilità di accogliere la domanda anche nei confronti della National C. s.r.l. in quanto il primo presunto trasferimento, dalla A.S., costituirebbe presupposto necessario di quello successivo e, posto che in base all'art. 2112, c.c., il passaggio al cessionario potrà riguardare i soli rapporti pendenti al momento del trasferimento e non anche quelli estinti, i ricorrenti sarebbero altresì decaduti dal diritto di impugnare il secondo intervenuto tra la S.H. e la N.C. Osservazioni
Sulla questione affrontata dal Tribunale di Torino sono venuti formandosi due opposti orientamenti, sostenuti sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina.
Il primo è favorevole all'operatività dei termini decadenziali non solo nell'ipotesi in cui il lavoratore richieda la continuazione del proprio rapporto presso il cedente, contestando quindi la legittimità del trasferimento aziendale, ma anche quando tale diritto venga rivendicato nei confronti del cessionario. Esigenze di coerenza non potrebbero condurre alla soluzione opposta la quale comporterebbe conseguenze irragionevoli: i lavoratori dell'originario complesso aziendale dovrebbero essere posti nella medesima situazione, a prescindere dal fatto che muti o meno il datore di lavoro in esito al trasferimento.
Elemento a sostegno è individuato nell'identità del thema decidendum, in quanto il giudice verrebbe comunque chiamato a decidere circa l'imputazione del rapporto di lavoro in capo al cedente, in un caso, o in capo al cessionario, nell'altro. Nella sentenza in esame, inoltre, i giudici non hanno mancato di evidenziare la concreta conoscenza dell'atto di trasferimento da parte dei ricorrenti, non potendosi quindi affermare che gli stessi non avrebbero potuto determinarsi, circa l'impugnazione, nel rispetto del duplice limite temporale posto a pena di decadenza dall'art. 32, l. n. 183 del 2010.
Colonna portante di tale posizione è la ratio della disposizione normativa, teleologicamente diretta ad una celere emersione di un contenzioso suscettibile di incidere in modo sostanziale sulla consistenza occupazionale dell'azienda. Si è quindi puntato a garantire la certezza dei rapporti giuridici, così liberando il datore di lavoro dalle pastoie derivanti dal fenomeno del “contenzioso potenziale”. Il legislatore non sottopone al duplice limite decadenziale solo questioni afferenti la cessazione di un rapporto lavorativo, ma anche quelle concernenti sia il singolo lavoratore nell'ambito dell'organizzazione aziendale (ne costituisce esempio l'art. 2103, c.c.) sia un complesso di posizione lavorative, quale il trasferimento di azienda o di un ramo di essa ed il conseguente mutamento della parte datoriale relativamente ai contratti di lavoro coinvolti.
Tuttavia, seguendo le regole ermeneutiche positivamente poste dal nostro legislatore, è necessario innanzitutto considerare il dato testuale della disposizione normativa. l'art. 32, comma 4, lett. c), fa espresso riferimento alla “cessione del contratto di lavoro”, sebbene in modo non tecnicamente corretto, trattandosi piuttosto di una novazione soggettiva ex lege, con sostituzione di un soggetto datoriale ad un altro nella titolarità del rapporto di lavoro quale effetto automatico del trasferimento d'azienda. A quest'ultimo, invece, il legislatore non sembra fare alcun cenno, cosicché dovrebbero includersi nel perimetro applicativo della norma le sole questioni inerenti l'avvenuta “cessione”, non invece quella opposta.
Il secondo orientamento, in contrasto con il precedente, fa leva su tale dato. Viene inoltre posta in luce la natura eccezionale di tale previsione normativa, sicché l'art. 32 prefato, limitando mediante la fissazione di termini a pena di decadenza l'accesso alla tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantita, non potrebbe essere oggetto di interpretazione analogica, facendone espresso divieto l'art.14, preleggi c.c.
L'estensione sarebbe inoltre da escludere in quanto la disposizione normativa sembrerebbe costruita sulla posizione del lavoratore direttamente interessato dall'operazione traslativa. Questo, infatti, essendo edotto della cessione aziendale e del passaggio del proprio contratto di lavoro al cessionario, ha la concreta possibilità di rispettare i termini decadenziali decorrenti, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, dall'effettiva conoscenza dell'atto. Relativamente al dipendente rimasto estraneus rispetto al trasferimento non potrebbe affermarsi con certezza la conoscenza o conoscibilità della cessione. L'onerato non si troverebbe astrattamente nelle condizioni di avere notizie certe in merito, risultando la tutela giurisdizionale vanificata qualora lo stesso soggiacesse ai termini per la sua impugnazione stragiudiziale, nonché per la successiva proposizione della domanda giudiziale. Il dies a quo dovrebbe quindi individuarsi nel momento in cui il lavoratore sia raggiunto da una comunicazione circa l'avvenuto trasferimento, opinandosi circa la possibilità di dare risalto ad una generica conoscenza.
Altrettanto discutibile sarebbe la riconduzione della fattispecie in esame all'art. 32, comma 4, lett. d). Il lavoratore estraneus al trasferimento aziendale non risulterebbe avere avuto, precedentemente alla domanda, alcun rapporto con il soggetto (qui il cessionario) diverso dal datore formale e rispetto al quale rivendichi l'accertamento o la costituzione di un rapporto di lavoro. Non sono mancate opinioni contrastanti, negandosi che una tale interpretazione possa trovare appiglio nel testo della disposizione normativa ovvero nello scopo perseguito mediante la stessa, manifestandosi invece l'intento di estendere l'onere di impugnazione, entro i termini fissati, a tutti i casi in cui si voglia accertare o costituire un rapporto di lavoro con un soggetto diverso dal titolare formale dello stesso, a prescindere quindi dall'avere o meno prestato la propria attività a favore dello stesso in un momento precedente. Per approfondire
C.A. Nicolini, L'evoluzione del regime delle decadenze nei rapporti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2013, 3, 609 ss.. M. Miscione, D. Garofalo, Il collegato lavoro 2010, commentario alla legge n. 183/2010, Milano, Ipsoa, 2012. M. Cinelli, G. Ferraro (a cura di), Il contenzioso nella legge 4 novembre 2010, n. 183, Torino, Giappichelli Editore, 2011. E. Cragnoli, L'impugnazione di atti diversi dal licenziamento, in ADR, 2011, 232 ss. |