Le misure cautelari e protettive nei giudizi di accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza

22 Marzo 2019

Il D.lgs. n. 14/2019, emanato in attuazione della legge delega n. 155/2017, contiene - agli artt. 54 e 55 ed in altre varie disposizioni sparse nell'articolato del codice - una disciplina per certi versi assai innovativa delle misure cautelari e protettive applicabili nei giudizi (disciplinati unitariamente, almeno in apparenza) di accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza e, giusto il rinvio effettuato dall'art 65 c.c.i., alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Premessa

Il D.lgs. n. 14/2019, emanato in attuazione della legge delega n. 155/2017, contiene - agli artt. 54 e 55 ed in altre varie disposizioni sparse nell'articolato del codice - una disciplina per certi versi assai innovativa delle misure cautelari e protettive applicabili nei giudizi (disciplinati unitariamente, almeno in apparenza) di accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza e, giusto il rinvio effettuato dall'art. 65 c.c.i., alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Il grado di innovatività di tale disciplina appare di diversa intensità per le misure cautelari e per quelle protettive, e tale circostanza si spiega alla luce delle differenti motivazioni poste a base della delega legislativa ad intervenire su tali materie: mentre per le misure cautelari l'intento del delegante era principalmente quello di fare chiarezza su alcuni punti controversi emersi nell'interpretazione dell'omologa disciplina contenuta nella legge fallimentare (l'art. 2, primo comma, lett. d, della legge delega si limita infatti a delegare il Governo ad intervenire sul punto “specificando la disciplina delle misure cautelari, con attribuzione della relativa competenza anche alla Corte di appello”), gli interventi in tema di misure protettive sono stati più incisivi e rispondono da un lato alla volontà di uniformare per quanto possibile la disciplina applicabile al concordato preventivo ed agli accordi di ristrutturazione dei debiti e, dall'altro, di porre un limite agli abusi cui si è spesso prestato il meccanismo del c.d. “automatic stay” fino ad oggi previsto dalla legge fallimentare.

Per verificare se la disciplina contenuta nel codice della crisi e dell'insolvenza sarà davvero in grado di raggiungere tali obiettivi occorrerà attenderne la concreta applicazione; sin da subito è però possibile individuare nelle suddette disposizioni alcuni nodi problematici, a volte non meno rilevanti di quelli ai quali la codificazione avrebbe dovuto porre rimedio. Nel prosieguo verranno esaminati alcuni di tali nodi, concentrando l'attenzione sul regime sostanziale e processuale delle misure cautelari e protettive che si inseriscono nei giudizi di accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza. Si tratta, peraltro, di considerazioni svolte all'esito di una prima lettura delle disposizioni di prossima pubblicazione, dunque senza alcuna pretesa di effettuare una disamina completa della disciplina in oggetto.

Le misure cautelari: nozione ed ambito di applicabilità

Avviando il discorso dalla disciplina delle misure cautelari, ed in particolar modo dall'individuazione della relativa nozione, l'art. 2, primo comma, lett. q, c.c.i. definisce le stesse come “i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza”.

La medesima definizione viene ribadita anche nel primo comma dell'art. 54 (sollevando in tal modo qualche dubbio in merito alla effettiva utilità della norma definitoria di cui all'art. 2) e ricalca l'attuale comma 8 dell'art. 15 l.fall., secondo cui il tribunale può emettere su istanza di parte “i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento”. Come si ricava dalla relazione illustrativa, nel richiamare la formulazione testuale dell'art. 700 c.p.c. (nella parte in cui detta norma consente l'emissione dei provvedimenti d'urgenza “che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”), il legislatore delegato avrebbe inteso enfatizzare il carattere di atipicità delle misure cautelari in questione, carattere peraltro già pacificamente riconosciuto nel vigore dell'art. 15, comma 8, l.fall.. Si può quindi affermare che le misure cautelari di cui all'art. 2, primo comma, lett. q, ed all'art. 54, primo comma, c.c.i., non differiscono sul piano sostanziale da quelle già contemplate dall'art. 15, comma 8, l.fall., e consistono in tutti quei provvedimenti funzionali a preservare il patrimonio del debitore rispetto ad eventuali atti dispositivi posti in essere dallo stesso debitore in pendenza del procedimento di accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza.

Se quanto detto è vero, si pone il problema di verificare la ratio di una disciplina che contempla la possibilità di richiedere misure cautelari anticipatorie degli effetti non soltanto della sentenza che apre la liquidazione giudiziale, ma anche di quelli della sentenza di omologa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, ipotesi prevista tanto dal già citato art. 2, primo comma, lett. q, c.c.i. (che fa generico riferimento all'anticipazione degli “effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza”) tanto dall'art. 54, primo comma, c.c.i. (che con maggiore precisione si riferisce ai provvedimenti cautelari idonei “ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti”).

È bene chiarire come non sia in discussione l'astratta possibilità, e finanche l'opportunità di emettere misure cautelari in pendenza del procedimento di accesso al concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, quando vi siano concorrenti domande di apertura della liquidazione giudiziale da parte del pubblico ministero o dei creditori; in questi casi, infatti, stante il principio di prevenzione delle procedure di regolazione concordata rispetto all'apertura della liquidazione giudiziale, già affermato dalla giurisprudenza con riguardo alla vigente legge fallimentare ed ora codificato dall'art. 49, primo comma, c.c.i., potrebbe sorgere l'esigenza di disporre misure cautelari sul patrimonio del debitore nelle more che venga definito il procedimento di accesso al concordato preventivo o il giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione; anche in questo caso, però, le misure cautelari sarebbero anticipatorie, in misura più o meno intensa, dello spossessamento conseguente all'eventuale sentenza di apertura della liquidazione giudiziale.

Si può invece avanzare qualche dubbio sulla razionalità e sulla effettiva utilità di una norma che consente alle parti di chiedere l'emissione di misure cautelari (cioè di misure volte ad impedire eventuali condotte distrattive del debitore) anticipatorie degli effetti dell'omologazione del concordato preventivo o degli accordi.

Il procedimento per l'adozione delle misure cautelari

Le novità di maggiore rilevanza che ci si attendeva dal nuovo codice in merito alle misure cautelari riguardavano alcuni aspetti del procedimento relativo alla loro adozione. Sul punto l'art. 15, comma 8, l.fall. detta infatti una regolamentazione assai lacunosa, per non dire del tutto assente, visto che non dispone nulla salvo la specificazione della necessaria domanda di parte e la previsione di assorbimento dei provvedimenti emessi nella pronuncia che dichiara il fallimento o respinge la relativa istanza. Ciò ha fatto emergere nella prassi numerosi dubbi, riguardanti essenzialmente l'applicabilità per l'adozione delle misure in oggetto del modulo procedimentale delineato dagli artt. 669-sexies e ss. c.p.c. e, in particolare, la necessità che la misura cautelare sia pronunciata o confermata nel contraddittorio tra le parti e la possibilità che il provvedimento cautelare prefallimentare eventualmente emesso possa essere oggetto di reclamo (si veda, per entrambe tali questioni, S. Marzo, Il procedimento per l'adozione dei provvedimenti cautelari prefallimentari, ilfallimentarista.it, 14 ottobre 2015).

La disciplina contenuta nel codice sembra fare luce su tali aspetti. Ferma la necessaria istanza di parte (giusto quanto previsto dall'art. 54, primo comma, c.c.i.) il successivo art. 55, comma 2, introduce infatti una sintetica disciplina del procedimento per l'adozione delle misure cautelari, disponendo che in presenza di una istanza di misure cautelari il giudice “sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione alla misura richiesta”; la norma prevede, inoltre, che nei casi in cui la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento il giudice possa provvedere con decreto emesso inaudita altera parte ed “assunte, ove occorra, sommarie informazioni”, fissando con lo stesso decreto l'udienza di comparizione delle parti avanti a sé (ove non già disposta ai sensi del precedente art. 41 c.c.i.) all'esito della quale “con ordinanza conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto”.

La nuova disposizione conferma quindi, in accordo con l'orientamento prevalente (anche se non unanime) maturato sull'art. 15, comma 8, l.fall. in dottrina e nella giurisprudenza, la necessità di provvedere all'emanazione delle misure cautelari nel contraddittorio tra le parti, precisando che tale contraddittorio può al più essere differito e che può trovare concreta attuazione anche nell'udienza già fissata per la comparizione del debitore nei cui confronti sia stata richiesta l'apertura della liquidazione giudiziale.

Seppure indirettamente, il codice sembra risolvere anche il dubbio riguardante l'eventuale reclamabilità del provvedimento con cui il giudice si pronuncia sull'istanza cautelare, atteso che il riferimento alla reclamabilità ex art. 124 c.c.i. contenuto nel successivo comma 3 dell'art. 55 c.c.i. è limitato al solo decreto di conferma o revoca delle misure protettive di cui al precedente comma 2 (decreto di cui, a sua volta, si prevede l'emissione inaudita altera parte).

In attuazione dell'unico specifico criterio direttivo contenuto nella legge delega sulla materia che ci occupa, inoltre, il quinto comma dell'art. 55 c.c.i. prevede espressamente che i provvedimenti cautelari (e quelli protettivi) possono essere emessi anche dalla corte d'appello nel giudizio di reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale previsto dall'art. 50 c.c.i..

In merito a tale previsione, ad una prima lettura potrebbe non risultare chiaro il motivo per cui l'ammissibilità delle misure cautelari sia stata prevista soltanto nel giudizio di reclamo avverso il decreto ex art. 50 c.c.i. e non anche nel reclamo avverso la sentenza di omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione ex art. 51 c.c.i.; tale perplessità dovrebbe però dissolversi considerando che il successivo art. 52, comma 1, secondo periodo, c.c.i. consente alla corte d'appello, in caso di reclamo avverso la sentenza di omologazione del concordato o degli accordi, di ordinare “l'inibitoria, in tutto o in parte o temporanea, dell'attuazione del piano o dei pagamenti”, mentre il secondo comma consente sempre al giudice del reclamo di “disporre le opportune garanzie tutele per i creditori e per la continuità aziendale”; le eventuali esigenze cautelari ravvisabili in pendenza del giudizio di reclamo avverso la sentenza di omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione, dunque, potrebbero in ogni caso essere soddisfatte mediante le misure di cui all'art. 52, commi 1 e 2, c.c.i..

Le misure protettive

Si è detto in precedenza come le novità in tema di misure protettive siano ben maggiori di quelle riguardanti le misure cautelari appena esaminate. Anche in questo caso è opportuno cominciare dall'individuazione della nozione di “misure protettive”, che l'art. 2, primo comma, lett. p, c.c.i. definisce come le “misure temporanee disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza”.

Attesa la genericità della definizione appena riportata, sembrerebbe che anche le misure in questione debbano ritenersi connotate da atipicità, al pari delle misure cautelari; d'altro canto, è evidente che le azioni idonee a “pregiudicare il buon esito delle iniziative” assunte da debitore consistano principalmente nell'avvio o nella prosecuzione di azioni esecutive o cautelari e nell'acquisto di titoli di prelazione, cioè nelle stesse che l'attuale art. 168, commi 1 e 3, l.fall. vieta di compiere ai creditori anteriori a decorrere dalla data di pubblicazione della domanda di concordato, anche se con riserva.

In realtà, dall'art. 54, comma 2, c.c.i. sembrerebbe ricavarsi una nozione di “misure protettive” più ristretta di quella fornita dal citato art. 2, comma 1, lett. p, c.c.i., e persino più ristretta di quella attualmente ritraibile dall'art. 168 l.fall..

La disposizione citata prevede, infatti, che “Se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'articolo 40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio”, ed aggiunge: “Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano”. Da detta disposizione sembrano discendere tre importanti corollari: in primo luogo, la concessione delle misure protettive in discussione deve costituire oggetto di una specifica richiesta formulata dal debitore (e solo da questo) nella domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza; in secondo luogo, tale richiesta può essere formulata anche nella domanda con cui il debitore chiede l'apertura a suo carico della liquidazione giudiziale, oltre a quella con cui chiede l'accesso al concordato preventivo o l'omologazione degli accordi di ristrutturazione; infine, sembra che tra le misure protettive astrattamente configurabili non sia più compreso il divieto per i creditori anteriori di acquistare titoli di prelazione, attualmente previsto dall'art. 168, comma 3, l.fall. (ma non dall'art. 182-bis, comma 6. l.fall., in merito alle misure protettive ammissibili nella fase delle trattative prodromiche alla formalizzazione di un accordo di ristrutturazione).

Rinviando per il momento la disamina della prima questione, con riguardo al secondo punto si può notare come la possibilità di chiedere le misure protettive anche con la domanda di apertura della liquidazione giudiziale potrebbe consentire di anticipare al momento della pubblicazione della domanda gli effetti attualmente connessi alla dichiarazione di fallimento (art. 51 l.fall.) e, in prospettiva, alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (art. 150 c.c.i.). Una simile previsione potrebbe avere, in effetti, una propria utilità, ad esempio al fine di interrompere eventuali procedure esecutive individuali a carico di un soggetto nei cui confronti è stata chiesta l'apertura della liquidazione giudiziale. Per altro verso, proprio alla luce di tale considerazione appare discutibile la scelta di riconoscere legittimazione alla richiesta delle misure protettive soltanto al debitore, e non anche agli altri soggetti legittimati proporre la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (pubblico ministero e creditori), anch'essi potenzialmente interessati a bloccare eventuali azioni esecutive o cautelari individuali di altri creditori in pendenza del procedimento per l'apertura della procedura; e ciò tanto più che, avendo dettato una disciplina specifica delle misure protettive, non sembra nemmeno possibile ritenere che il blocco delle altrui azioni esecutive o cautelari possa essere ottenuto dal pubblico ministero o dai creditori mediante la richiesta di misure cautelari ex art. 54, comma 1, c.c.i..

In merito all'ultimo dei corollari sopra esposti, infine, occorre rilevare come nonostante l'ampia definizione recata dall'art. 2 c.c.i., le misure protettive concretamente configurabili consistano unicamente nell'inibitoria per i creditori anteriori rispetto all'avvio o alla prosecuzione di eventuali esecuzioni o conservative, con esclusione della possibilità di chiedere l'inibitoria all'acquisizione di titoli di prelazione da parte dei creditori. Tale constatazione consente a sua volta due ulteriori osservazioni: in primo luogo, emerge anche con riguardo alle misure protettive la sostanziale inutilità della norma definitoria contenuta nell'art. 2 c.c.i., dato che tale definizione trova solo parziale rispondenza nella disciplina specifica dell'istituto dettata dall'art. 54 c.c.i.; in secondo luogo, il grado di tutela offerto dalle misure protettive disciplinate dal codice è omogeneo a quello attualmente previsto dall'art. 182-bis, commi 3 e 6, l.fall. con riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, ed è dunque meno incisivo di quello garantito dall'art. 168 l.fall. per il caso del concordato preventivo. In ordine a tale ultimo aspetto, sarebbe forse lecito interrogarsi sulla compatibilità di tale disciplina con i criteri direttivi dettati al riguardo nella legge delega e, soprattutto, con quello contenuto nell'art. 5, primo comma, lett. c, secondo il quale il legislatore delegato avrebbe dovuto “assimilare la disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo, in quanto compatibile”: l'art. 54 c.c.i. opera effettivamente un'assimilazione tra la disciplina delle misure protettive ammissibili nel caso di ipotesi di domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione e nell'ipotesi di domanda di apertura del concordato preventivo, ma tale assimilazione è stata effettuata “al ribasso”, riducendo il grado di protezione assicurata al debitore che abbia fatto domanda di accesso al concordato preventivo, pur in mancanza di una simile indicazione da parte della legge delega.

L'anticipazione delle misure protettive alla fase delle trattative

Sempre in materia di misure protettive, merita alcune riflessioni la previsione del terzo comma dell'art. 54 c.c.i. il quale, riprendendo testualmente l'attuale formulazione del sesto comma dell'art. 182-bis l.fall., contempla la possibilità per il debitore di chiedere le misure protettive “di cui al comma 2” (cioè l'inibitoria delle azioni esecutive o conservative) anche nella fase antecedente alla presentazione della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, a condizione che vi sia già una proposta di accordo corredata da un'attestazione indipendente circa la pendenza di trattative con creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e circa l'idoneità della stessa, ove accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei alle trattative medesime.

Tale disposizione deve essere coordinata con quanto prevede l'art. 44, primo comma, lett. a, c.c.i., secondo cui “Il tribunale, su domanda del debitore di accedere a una procedura di regolazione concordata, pronuncia decreto con il quale: a) se richiesto, fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1, oppure gli accordi di ristrutturazione dei debiti […]”.

Dal tenore della disposizione appena citata emerge che nel futuro ordinamento concorsuale le c.d. domande “con riserva” potranno riguardare non soltanto l'apertura del concordato preventivo (che già attualmente può essere chiesta con riserva di depositare successivamente la proposta, il piano e la restante documentazione prevista dalla legge) ma anche l'apertura del giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione (che potrà essere chiesta con riserva di depositare successivamente gli accordi di cui si chiede l'omologazione). È chiaro, d'altro canto, che la richiesta di misure protettive ex art. 54, comma 2, c.c.i. potrà essere avanzata tanto con la domanda di apertura con riserva della procedura di concordato preventivo quanto nella domanda con riserva di omologazione degli accordi, e dunque in un momento anteriore al deposito, rispettivamente, della proposta e del piano concordatario o dell'accordo di ristrutturazione.

Se quanto appena detto fosse corretto (come sembra), si porrebbe il dubbio di comprendere la ratio della norma (l'art. 54, comma 3, c.c.i.) che consente al debitore di poter chiedere una ulteriore anticipazione della concessione delle misure protettive ad una fase ancora precedente alla presentazione della domanda di omologazione degli accordi con riserva; e si porrebbe inoltre il problema di giustificare la previsione di tale ulteriore anticipazione delle misure protettive soltanto con riferimento agli accordi di ristrutturazione e non anche nell'ipotesi di domanda di accesso al concordato preventivo.

In effetti, l'attuale disciplina recata dall'art. 182-bis, comma 6, l.fall. (che consente al debitore di chiedere le misure protettive prima del deposito della domanda di omologazione ed al fine di favorire la conduzione delle trattative prodromiche alla formalizzazione dell'accordo), trova fondamento nell'astratta impossibilità per il debitore di presentare domanda di omologazione di accordi “con riserva”; proprio per questo motivo, una volta riconosciuta al debitore che abbia presentato domanda di concordato con riserva ex art. 161, comma 6, l.fall. la facoltà di chiedere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione con conservazione degli effetti (anche protettivi) della medesima domanda di concordato, lo strumento contemplato dall'art. 182-bis, comma 6, l.fall. è rimasto sostanzialmente inapplicato, in quanto la fase delle trattative prodromiche alla formalizzazione dell'accordo può essere “protetta” grazie al meccanismo dell'automatic stay connesso alla presentazione di una domanda di concordato con riserva.

Nel sistema del nuovo codice, invece, la fase delle trattative funzionali al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione potrebbe già essere “schermata” dalle misure protettive eventualmente chieste con la domanda di omologazione degli accordi con riserva ex art. 44, comma 1, lett. a, c.c.i.. Non si comprende quindi a quali reali (e meritevoli) esigenze di tutela possa rispondere una norma che consente una ulteriore anticipazione di detta protezione, né si comprende il motivo per cui detta ulteriore anticipazione debba riguardare soltanto la fase prodromica alla presentazione della domanda di omologazione degli accordi (anche se con riserva) e non anche la fase di preparazione della domanda di apertura del concordato preventivo.

Conservazione degli effetti in caso di “conversione” delle procedure

Continuando la disamina dei principali aspetti controversi della nuova disciplina in tema di misure protettive, alcune perplessità riguardano anche il sesto comma dell'art. 54 c.c.i.. La disposizione, introdotta nell'ultimo passaggio governativo sulla base di una precisa osservazione formulata dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati, prevede che “Le misure protettive disposte conservano efficacia anche se il debitore, prima della scadenza fissata dal giudice ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a) per il deposito degli accordi di ristrutturazione, deposita domanda di apertura del concordato preventivo”. Come si legge nella relazione ministeriale di accompagnamento allo schema di decreto legislativo, la disposizione (e l'osservazione della commissione parlamentare che ne sta alla base) sarebbe coerente “con la possibilità, prevista dal comma 3, di ottenere misure protettive anche a seguito della presentazione di un ricorso “in bianco””. La norma, insomma, servirebbe a chiarire che gli effetti protettivi restano in vigore anche laddove il debitore che abbia presentato domanda di omologazione degli accordi con riserva, depositi successivamente una domanda di apertura di concordato corredato dalla proposta e dal piano.

La previsione appena citata, come detto, pone alcuni problemi, poiché non sembra coordinarsi in maniera adeguata con la norma di cui all'art. 44, comma 1, lett. a, c.c.i.. La disposizione menzionata da ultimo prevede che il debitore possa chiedere “di accedere a una procedura di regolazione concordata” e che con tale domanda può anche chiedere al tribunale la concessione di un termine “entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1, oppure gli accordi di ristrutturazione dei debiti”; alla luce di tale disposizione, dunque, nulla sembrerebbe impedire al debitore di proporre una domanda con riserva avente ad oggetto l'apertura del concordato o l'omologazione degli accordi e poi, entro il termine fissato dal tribunale, di depositare rispettivamente un accordo di ristrutturazione o un piano concordatario.

L'art. 54, comma 6, c.c.i., però, contempla un'ipotesi diversa da quella appena indicata, poiché fa riferimento al debitore che, dopo aver presentato domanda di omologazione degli accordi con riserva, presenta successivamente non “la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1” (secondo la formulazione dell'art. 44 c.c.i.), ma una “domanda di apertura del concordato preventivo”. Detto in altri termini, l'art. 56, comma 6, c.c.i. sembra disciplinare l'ipotesi in cui, dopo aver presentato una prima domanda di accesso alla procedura di omologazione degli accordi con riserva di depositarli successivamente, il debitore depositi una nuova domanda ex art. 44 c.c.i. avente ad oggetto l'apertura del concordato preventivo.

Dinanzi a tale incongruenza si possono proporre una serie di opzioni ermeneutiche assai differenti tra loro. In primo luogo, si potrebbe ritenere che l'art. 44, primo comma, lett. a, c.c.i. non contempli la “conversione” da un tipo di procedura ad un altro una volta che sia stata proposta la relativa domanda, sia pure con riserva; l'art. 56, comma 6, c.c.i., dunque, avrebbe lo scopo di consentire tale “conversione”, con conservazione degli effetti protettivi, ma soltanto previa proposizione di una nuova domanda ex art. 44 c.c.i. e soltanto nel caso di passaggio da una domanda di omologazione di accordi ad una domanda di apertura del concordato. Come già detto, però, nulla nell'art. 44 c.c.i. sembrerebbe legittimare una simile conclusione.

In alternativa, si potrebbe sostenere che, nel caso di “conversione” dal concordato con riserva agli accordi di ristrutturazione le misure protettive già in essere perdano la loro efficacia, visto che l'art. 54, comma 6, c.c.i. ne riconosce l'ultrattività soltanto nell'ipotesi inversa; ove ci si orientasse in tal senso, tuttavia, occorrerebbe giustificare razionalmente il diverso assetto normativo previsto per due fattispecie esattamente speculari.

Infine, secondo la posizione interpretativa che sembra più corretta, si potrebbe ritenere che il comma 6 dell'art. 54 c.c.i. non faccia altro che esprimere, in maniera tecnicamente non ineccepibile, un principio immanente nel nuovo meccanismo di accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, e che quindi la regola della conservazione dell'efficacia delle misure protettive debba trovare applicazione anche nel caso di proposizione di una domanda di apertura del concordato con riserva e di successivo deposito di un accordo di ristrutturazione, similmente a quanto prevede attualmente l'art. 161, comma 6, l.fall.; ne scaturirebbe, peraltro, la sostanziale inutilità della precisazione contenuta nel sesto comma dell'art. 54 c.c.i., il quale in pratica avrebbe finito per generare incertezze maggiori di quante, nelle intenzioni della commissione parlamentare che ne ha suggerito l'introduzione, avrebbe dovuto risolverne.

Il procedimento per l'adozione delle misure protettive

Sul piano procedimentale la più importante innovazione portata dal codice in tema di misure protettive consiste nella non automaticità degli effetti protettivi connessi alla proposizione della domanda di apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Tale non automaticità deve intendersi in un duplice senso. Innanzitutto, come già accennato, le misure protettive sono correlate non soltanto alla proposizione di una domanda ex art. 40 c.c.i., ma anche al fatto che nel proporre tale domanda il debitore (e solo lui) ne abbia fatto specifica istanza. Atteso il preciso riferimento dell'art. 54, comma 2, c.c.i. alla richiesta formulata “nella domanda di cui all'articolo 40”, e vista anche la differenza tra tale disposizione e quella del comma precedente relativa alle misure cautelari (la cui istanza può essere formulata “Nel corso del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale […]), sembrerebbe che la richiesta di concessione delle misure protettive possa essere formulata soltanto con la domanda di apertura della procedura, anche se con riserva, e non anche in un momento successivo; si tratta tuttavia di opzione legislativa difficilmente comprensibile, dato che impedisce al debitore di riservarsi la richiesta di misure protettive nel corso del procedimento ed alla luce delle concrete esigenze di tutela eventualmente insorte, spingendolo ad accompagnare qualunque domanda ex art. 40 c.c.i. con un'istanza di concessione delle misure protettive, anche in mancanza di attuale ed effettiva necessità.

Sotto una seconda prospettiva, l'automaticità delle misure protettive viene attenuata perché, pur divenendo efficaci fin dal momento della pubblicazione della domanda, le stesse sono sottoposte ex post al vaglio giudiziale, e possono essere confermate o revocate. Ciò è quanto dispone il terzo comma dell'art. 55 c.c.i., secondo il quale a fronte della richiesta del debitore nella domanda ex art. 40 c.c.i. il giudice, “assunte, ove necessario, sommarie informazioni, conferma o revoca con decreto le misure protettive, stabilendone la durata, entro trenta giorni dall'iscrizione della domanda nel registro delle imprese”; la medesima disposizione continua, poi, prevedendo che il decreto è trasmesso al registro delle imprese per l'iscrizione ed è reclamabile ai sensi dell'art. 124 c.c.i., e che se il deposito di detto decreto non interviene nel prescritto termine di trenta giorni cessano gli effetti protettivi prodottisi a decorrere dalla pubblicazione della domanda.

Come si vede, nonostante una disciplina apparentemente unitaria, il procedimento per la conferma o la revoca delle misure protettive è diverso, e per certi versi opposto, rispetto a quello previsto per la concessione delle misure cautelari: mentre le misure cautelari sono adottate nel contraddittorio delle parti e con provvedimento non reclamabile, le misure protettive sono confermate o revocate senza previa audizione delle parti interessate (cioè del debitore e delle altre eventuali parti controinteressate, come i creditori che abbiano già avviato azioni esecutive) con provvedimento reclamabile ex art. 124 c.c.i..

In virtù del quarto comma dell'art. 55 c.c.i., infine, il contraddittorio torna necessario nell'ipotesi in cui venga chiesta la revoca o la modifica delle misure protettive come conseguenza di atti di frode del debitore oppure quando “il tribunale accerta che l'attività intrapresa dal debitore non è idonea a pervenire alla composizione assistita della crisi o alla regolazione della crisi e dell'insolvenza”. Tale disposizione apre alcuni interrogativi. In primo luogo, non è chiaro se anche il provvedimento di revoca o modifica delle misure protettive per atti di frode del debitore sia o meno reclamabile ex art. 124 c.c.i., come quello di conferma o di revoca previsto dal precedente comma 3 dell'art. 55 c.c.i.. Il fatto che i provvedimenti ex art. 55, comma 4, c.c.i. siano di competenza del tribunale e non del solo giudice relatore (competente invece alla concessione delle misure cautelari ed alla iniziale conferma o revoca delle misure protettive) ed il fatto che detti provvedimenti vengano emessi nel contraddittorio delle parti, indurrebbe a concludere per la loro non reclamabilità, seppure resti oscuro il motivo del differente regime procedimentale dettato per la conferma o la revoca iniziale e per la revoca o modifica conseguente ad atti di frode o all'accertata inidoneità dell'attività del debitore. Quanto poi a quest'ultima ipotesi, la mancata menzione della necessità di istanze di parte sembrerebbe configurare un potere officioso del tribunale di compiere tale accertamento e di pronunciare il relativo provvedimento, ancorché non sia facile giustificare un simile potere officioso soltanto per detta ipotesi.

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