Affitto d'azienda e relativi profili fiscali

25 Marzo 2019

A mente dell'art. 2562 c.c., l'affitto d'azienda è un contratto mediante il quale il proprietario dell'azienda (locatore) trasferisce a terzi (affittuario o conduttore) il diritto di godimento dell'azienda, a fronte del pagamento del canone periodico prestabilito e per un periodo di tempo determinato.
Profili civilistici

L'operazione di affitto d'azienda si sostanzia nella concessione ad un terzo, da parte di un soggetto definito concedente, del diritto di utilizzare la propria azienda (ovvero un ramo di essa), a titolo non definitivo ed a fronte del pagamento di un corrispettivo (canone).

Il concedente dell'azienda deve essere necessariamente un imprenditore, mentre tale condizione non è richiesta per il locatore, che può acquisire tale status a titolo originario.

Il locatore, a fronte della concessione a terzi del proprio compendio aziendale, consegue un corrispettivo (canone), mentre l'affittuario assume la disponibilità di un complesso di beni e fattori della produzione e ciò, senza dover investire un capitale iniziale.

Sarà onere delle parti stabilire la cadenza con cui l'affittuario dovrà riconoscere il canone e il suo relativo ammontare.

In particolare, si potrà avere un canone fisso, un canone interamente variabile oppure un canone misto e composto da una componente fissa e da una variabile, misurata dal raggiungimento di specifici obiettivi quali, ad esempio, il volume d'affari conseguito dall'affittuario.

In questa prospettiva, sono svariate le ragioni per cui procedere alla stipula di un contratto di affitto d'azienda:

a) l'affitto è spesso un atto propedeutico alla futura cessione: cd. affitto in preparazione del futuro trasferimento;

b) può accadere che per l'affittante, la percezione di un canone risulti più remunerativo rispetto alla diretta gestione dell'azienda: cd. affitto a scopo di mera redditività;

c) in alternativa alla cessione, laddove gli eredi non intendano o non siano in grado nel breve termine di continuale l'attività imprenditoriale del loro dante causa, l'affitto può attuare un passaggio generazionale: cd. affitto in funzione del passaggio generazionale dell'impresa;

d) l'affitto può essere utilizzato per imputare temporaneamente la gestione dell'impresa ad una diversa società del gruppo di cui la stessa società proprietaria è parte, al fine di una razionalizzazione degli assetti e delle potenzialità del gruppo stesso: cd. affitto infragruppo. Inoltre,

e) nell'ambito della crisi d'impresa, si ricorre all'affitto d'azienda per preservare la continuità aziendale e la capacità reddituale in vista di un successivo trasferimento a titolo definitivo: cd. affitto in funzione di gestione di una crisi d'impresa.

Dal punto di vista civilistico, il codice civile, all'art. 2562, si limita ad effettuare un rimando all'art. 2561 c.c. che si occupa dell'usufrutto d'azienda, ove in sintesi, declinando la relativa disciplina all'operazione di affitto, è previsto

(1) che l'affittuario deve esercitare l'azienda sotto la ditta che la contraddistingue,

(2) che l'affittuario deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte e

(3) che la differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'affitto debbano essere regolate in denaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'affitto.

Il legislatore estende, poi, all'affitto di azienda alcune norme previste per la cessione di azienda, che ivi di seguito si riportano.

1) Art. 2556 co. 1 e 2 c.c., in tema di forma contrattuale e di obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese: in particolare, il contratto di affitto d'azienda deve essere redatto per atto pubblico, ovvero per scrittura privata autenticata ed essere registrato nel termine di 30 giorni.

2) Art. 2557 c.c., in tema di divieto di concorrenza prescritto in capo all'alienante dell'azienda ed esteso all'affittuario di essa: detto articolo dispone che chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di 5 anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta; nel caso di affitto, il divieto di concorrenza vale nei confronti del locatore per la durata dell'affitto.

3) Art. 2558 c.c. in tema di successione nei contratti, secondo cui se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale e il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante. Tali disposizioni, a norma del terzo comma del medesimo articolo, si applicano anche nei confronti dell'affittuario per la durata dell'affitto.

Forma e contenuto del contratto

In base all'art. 2556 c.c., il contratto di affido d'azienda deve essere stipulato mediante la forma scritta (atto pubblico o scrittura privata autenticata), necessaria ai fini della prova (v. Cass. Civ., n. 21764/2015) della sussistenza del contratto (forma scritta ad probationem).

Successivamente, il contratto deve essere depositato per l'iscrizione nel Registro delle Imprese entro 30 giorni dalla data dell'atto, a cura del notaio rogante o autenticante (v. Tribunale Lucca, 25/02/1994).

L'omissione di tale formalità, determina la mancata produzione di effetti giuridici dell'atto in capo ai terzi, comunque valido tra le parti.

In merito al contenuto del contratto di affitto, esso deve necessariamente contenere la descrizione dell'azienda locata, ossia il complesso dei beni materiali e di quelli immateriali ricompresi nell'azienda affittata, l'elenco dei lavoratori dipendenti trasferiti con la sintesi delle specifiche contrattuali di ognuno di essi, le autorizzazioni, delle certificazioni e delle licenze trasferite con l'azienda affittata, i rapporti contrattuali oggetto di trasferimento.

Laddove parte del compendio aziendale non venga trasferita in godimento all'affittuario, sarà onere delle parti contraenti specificare i beni o i diritti esclusi, rimasti in capo al proprietario locatore. Sarà, infine, onere delle parti specificare la durata dell'affitto d'azienda, nonché le eventuali modalità di rinnovo dello stesso o le modalità con cui dare disdetta o recedere dal vincolo in essere. Punto particolarmente delicato riguarda la definizione del canone d'affitto e della cadenza con cui l'affittuario lo dovrà riconoscere al locatore.

In particolare, le parti potranno prevedere un canone fisso, un canone interamente variabile oppure un canone misto e composto da una componente fissa e da una variabile misurata dal raggiungimento di specifici obiettivi. Il contratto di affitto dovrebbe, specificare le linee guida per la gestione da parte dell'affittuario.

In particolare, al fine di evitare incomprensioni su chi debba intraprendere specifiche azioni (il proprietario o l'affittuario), le parti dovrebbero specificare come gestire gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli di manutenzione straordinaria, la sostituzione o l'acquisto dei beni strumentali materiali e immateriali, nonché l'assunzione di nuovi dipendenti.

A tali aspetti se ne aggiungono altri riguardanti l'eventuale possibilità si subaffittare l'azienda, la possibilità per il proprietario di effettuare ispezioni periodiche e le modalità ed i termini per effettuare l'inventario iniziale e finale.

L'ultimo punto che dovrebbe essere rappresentato nel contratto riguarda la regolamentazione della conclusione dell'affitto con descrizione delle cause che la possono generare e delle modalità e delle tempistiche per la restituzione del complesso. In tale ambito, può, inoltre, essere disciplinato il diritto di prelazione dell'affittuario qualora il proprietario locatore decidesse di cedere l'azienda, nonché le modalità di gestione delle responsabilità nel caso di emersione di responsabilità in capo all'affittuario.

Successione nei contratti

Salvo che le parti pattuiscano diversamente, l'art. 2558 c.c., prevede la successione automatica (v. Cass. Civ., n. 23581/2017) dell'affittuario in tutti i contratti in essere prima dell'operazione (salvo quelli che avevano carattere personale, v. Cass. Civ., n. 7652/2007).

Il contraente ceduto può, tuttavia, recedere dal contratto entro tre mesi dalla comunicazione dell'affitto d'azienda, sempre che sussista una giusta causa (e salvo in questo caso la responsabilità del locatore).

Questo principio, ad esempio, comporta l'automatico (v. Trib. Roma 21 gennaio 2015, n. 1406) subentro nei contratti che hanno per oggetto il godimento di beni aziendali (ad esempio noleggi o leasing) non appartenenti all'impresa, ma acquisiti, poiché necessari per lo svolgimento dell'attività economica e dei c.d. contratti d'impresa (i contratti di somministrazione con i fornitori, di assicurazione e di appalto).

Effetto naturale dell'affitto è, anche, il temporaneo trasferimento delle autorizzazioni amministrative rilasciate dalle pubbliche amministrazioni (ad esempio licenza di esercizio commerciale).

In merito ai rapporti di lavoro, l'art. 2112, co. 1 c.c. prevede, senza possibilità di patto contrario, il subentro automatico dell'affittuario nei contratti di lavoro stipulati dal locatore e la conservazione da parte dei lavoratori di tutti i diritti (economici e non) che ne derivano (v. Cass. Civ., n. 15934/2004).

Laddove l'azienda trasferita in godimento abbia alle proprie dipendenze un numero di lavoratori superiori a 15, deve ritenersi applicabile l'obbligo di comunicazione preventiva ai sindacati ex art. 47 Legge 29 dicembre 1990, n. 429.

Al termine del contratto d'affitto d'azienda, i rapporti in corso, compresi i contratti stipulati dall'affittuario e rientranti nelle categorie per le quali la legge dispone la successione in caso di trasferimento d'azienda, torneranno in capo al proprietario dell'azienda.

Divieto di concorrenza

In base all'art. 2557 c.c., al nudo proprietario/locatore è imposto il divieto di concorrenza nei confronti dell'affittuario.

In vero, a mente del comma 1 della predetta norma, “chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta“.

Come precisato dal comma 4 della medesima norma, nel caso di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal comma 1 vale nei confronti del locatore, per la durata dell'affitto. Il fondamento del divieto posto dall'art. 2557 c.c. ,viene individuato nel risultato economico che le parti perseguono attraverso il trasferimento d'azienda. Esso, infatti, viene posto in essere affinché l'affittuario, entrando in possesso di un complesso organizzato di beni contro il pagamento di prezzo, possa esercitare l'azienda avvalendosi delle capacità di produzione e di attrazione della clientela che la caratterizzano (v. App. Milano 5.4.2006).

Il divieto di concorrenza è, quindi, inteso a consentire all'affittuario la piena disponibilità dell'azienda affittata ed, in particolare, a garantire il trasferimento pieno ed effettivo dell'avviamento.

Crediti relativi all'azienda locata

L'art. 2559 comma 2 c.c. statuisce che la disciplina della cessione dei crediti prevista in ipotesi di cessione di azienda (art. 2559 co. 1 c.c. ), si applica anche all'usufrutto.

La cessione dei crediti relativi all'azienda, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha affetto anche nei confronti dei terzi dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel Registro delle Imprese. Tuttavia, la norma richiama solo la cessione e l'usufrutto, non l'affitto: di conseguenza la sua applicabilità appare dubbia.

D'altro canto, il silenzio dell'art. 2559 c.c. comporta che, quando nel contratto è pattuito il subentro dell'affittuario nei crediti, tale cessione non diviene opponibile ai terzi per effetto dell'iscrizione del contratto nel Registro delle imprese, ma solo per effetto della notifica o accettazione ex art. 1265 c.c..

Debiti relativi all'azienda locata

Per i debiti delle aziende affittate anteriori alla stipula del contratto di affitto, ne risponde, salvo diverso accordo fra le parti, solo il proprietario e non l'affittuario.

Tale considerazione vale anche con riferimento ai debiti tributari, non ritenendosi applicabile il disposto di cui all'art. 14 D.Lgs. n. 472/1997 (responsabilità tributaria solidale del cessionario in ipotesi di cessione d'azienda) a colui che assume solamente la gestione – e non la proprietà – dell'azienda.

Difatti, in assenza di un espresso richiamo normativo alle ipotesi di affitto, la disciplina prevista dall'art. 2560 comma 2 c.c. (secondo cui il cedente non è liberato dai debiti inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta, se non risulta il consenso del creditore, e l'acquirente è responsabile in solido per i debiti risultanti dai libri contabili), non è applicabile in caso di affitto di azienda.

Pertanto, per i debiti delle aziende affittate anteriori alla stipula del contratto di affitto sembrerebbe rispondere, salvo diverso accordo tra le parti, solo il concedente e non l'affittuario.

In breve, l'affittuario non assume alcuna responsabilità nei confronti dei creditori del soggetto affittante; allo stesso modo l'affittante al termine del contratto non risponderà dei debiti contratti dall'affittuario.

Ad ogni buon conto, il contratto di affitto può, comunque, prevedere il trasferimento all'affittuario dei debiti dell'affittante, che però non sarà liberato se il debitore non presta il suo consenso (v. art. 1273 c.c.).

Gestione dell'azienda

A mente dell'art. 2561 c.c., l'affittuario deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservarne l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte.

La ratio della norma è quella di garantire al soggetto affittante il mantenimento in perfetto uso dell'azienda affittata e tale obbligo non si esaurisce al solo capitale circolante (v. le normali dotazioni di scorte), ma anche al capitale fisso, a condizione che tale potere dispositivo trovi interesse dell'azienda.

In merito alle spese di manutenzione, occorre muovere dagli artt. 1621 e 2561 c.c.: per l'effetto le spese di manutenzione ordinaria (ossia quelle spese che esauriscono la loro utilità nel corso dell'esercizio) sono a carico dell'affittuario, mentre quelle straordinarie sono a carico del locatore concedente.

Affitto d'azienda e crisi d'impresa

Nell'ambito della crisi d'impresa, il contratto di affitto d'azienda può essere utilizzato come operazione finalizzata al risanamento dell'impresa.

Difatti, l'affitto d'azienda salvaguardia la continuità aziendale, ossia il valore dell'impresa e i livelli occupazionali e, in tal modo, evita il rischio del blocco dell'attività a causa dell'incapacità di mantenere la gestione operativa.

Allo stesso modo, tale contratto produce una tutela degli interessi dei creditori, mediante la produzione di flussi di cassa, derivanti dalla riscossione dei canoni di locazione.

Nel caso di fallimento di una delle parti contraenti, il contratto di affitto non s'interrompe (v. art. 79 R.D. n. 267/1942) e il curatore subentra automaticamente nel contratto originario (v. art. 80 R.D. n. 267/1942), salvo la possibilità concessa al curatore e alla controparte di recedere dal contratto entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento.

Conclusione del contratto

Il contratto di affitto d'azienda può concludersi per differenti ragioni di seguito meglio elencate:

a) specifiche ipotesi previste ex lege, ossia recesso, decesso dell'affittuario, eccessiva onerosità sopravvenuta;

b) inadempimento di una delle parti degli obblighi contrattuali;

c) scadenza naturale del termine contrattuale;

d) clausola risolutiva espressa.

B - Profili fiscali

Il regime dei canoni di locazione si differenzia in base allo status del locatore (v. Ris. Agenzia delle Entrate 6 febbraio 2008 n. 35).

1) Il locatore non è un imprenditore

In tale situazione i redditi prodotti sono tassati quali redditi diversi ex art. 67, co. 1 lett. b) Tuir: rientrano in tale ipotesi i redditi percepiti dagli aventi causa, che ereditano l'azienda del de cuius imprenditore.

2) Il locatore imprenditore che affitta l'unica azienda.

Laddove il concedente sia una persona fisica che affitta la sua unica impresa, il locatore perde temporaneamente la qualifica di imprenditore e la titolarità del relativo reddito.

Di conseguenza, i redditi da questo prodotti, configurano ai fini Irpef redditi diversi, ai sensi dell'art. 67, comma 1 lettera h) del Tuir ed esulano dal regime del reddito d'impresa (“..l'affitto dell'unica azienda da parte dell'imprenditore non si considerano fatti nell'esercizio dell'impresa..”).

Invero, l'affitto dell'unica azienda da parte dell'imprenditore individuale, cagiona la temporanea perdita dello status di soggetto passivo ai fini IVA (v. R.M. 24.2.75 n. 301939, C.M. 19.3.85 n. 26/E e nota 22.5.95 n. III-7-544, con la conseguente sospensione degli obblighi strumentali: ad es. dichiarazione IVA): tale status verrà poi riacquistato al termine del contratto di affitto, quando la gestione ritornerà nella mani del concedente imprenditore (v. C.M. 4.11.86 n. 72/14552).

Il reddito imputabile al concedente è pari alla differenza positiva tra l'ammontare percepito nel periodo d'imposta e le eventuali spese sostenute per il mantenimento del complesso aziendale o spese specificamente inerenti alla loro produzione (v. art. 71 co. 2 Tuir).

In tali spese rientrano quelle afferenti la fase di stipula del contratto (legali, notarili, stime e valutazioni), ma anche quelle che il contratto pone a carico del concedente.

L'imputazione del reddito deve avvenire secondo il principio di cassa, tenendo conto dei soli canoni effettivamente percepiti.

Ai fini delle imposte indirette, i canoni sono esclusi da IVA e soggetti all'imposta di registro in misura proporzionale.

3) Il locatore mantiene lo status di imprenditore

In tal caso, il concedente non perde la qualifica di imprenditore affittando l'azienda.

Detto contratto non fa venir meno, di per sé, il requisito di commercialità della società locatrice.

Di guisa, ove ricorra il beneficio Pex di cui all'art. 87 Tuir, la plusvalenza realizzata dalla locatrice risulta esente per il 95% (v. CTP Reggio Emilia 21/2/2018).

Pertanto, i canoni d'affitto e tutti i componenti reddituali percepiti durante il contratto concorrono a formare il reddito d'impresa, sia ai fini delle imposte dirette che dell'Irap in base al principio di competenza economica, cioè per la parte maturata nel periodo d'imposta ed a prescindere dall'effettiva percezione.

Tale canone di locazione costituisce un ricavo accessorio e complementare, da rilevare nel conto economico nella voce A.5 Altri ricavi e proventi.

Rientra in tale tipologia il concedente che abbia una veste societaria (di persone o di capitali) o l'imprenditore individuale che affitta solo una delle aziende possedute.

Ai fini IVA l'affitto di azienda è un'operazione imponibile soggetta ad imposta nella misura ordinaria del 22%, oltre imposta di registro in misura fissa di € 200,00.

4) Posizione dell'affittuario

Per quanto riguarda il soggetto affittuario, invece, non si pongono particolari problemi.

Difatti, in dipendenza del contratto di affitto d'azienda, qualora il conduttore non rivesta la qualifica di imprenditore, assume tale status.

Pertanto, si applicheranno le regole ordinarie prevista per il reddito d'impresa, fatta salva la particolarità stabilita dagli artt. 102 co. 8 e 103 co. 4 Tuir, relativamente alle quote di ammortamento.

Di conseguenza i proventi derivanti dalla gestione dell'azienda affittata costituiranno per lo stesso reddito d'impresa, mentre i canoni di locazione pagati al locatore, in quanto costi sostenuti per il godimento di beni di terzi (da iscrivere nel conto economico nella voce B.8, Costi per godimento beni di terzi), sono deducibili dal reddito d'impresa in base agli ordinari criteri di competenza ex art. 109 Tuir.

Per quanto riguarda gli ammortamenti, questi spettano al soggetto che subisce l'onere effettivo della conservazione dei beni.

Invero, l'affittuario ammortizza i beni compresi nell'azienda, sostiene i costi necessari per mantenere l'integrità del patrimonio aziendale ricevuto in affitto e, al termine del rapporto contrattuale, reintegra al locatore la perdita di valore derivante dall'utilizzo dei beni affittati.

Pertanto solo l'affittuario ha il diritto di dedurre l'ammortamento dal suo reddito imponibile: dette quote saranno interamente deducibili dal reddito d'impresa ex art. 102 co. 8 Tuir.

Il proprietario dei beni dovrà nello stesso momento interrompere il processo di ammortamento sugli stessi beni.

Tali quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni, quale risulta dalla contabilità del concedente e sono deducibili in capo all'affittuario sino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato dal locatore, quindi per la parte che eccede l'ammontare già dedotto dal locatore.

Qualora il concedente non abbia regolarmente tenuto il registro dei beni ammortizzabili o gli altri registri consentiti dalla disciplina fiscale in sostituzione dello stesso secondo le modalità di cui agli artt. 13 d.P.R. n. 435/2001 e 2 co. 1 d.P.R. n. 695/1996, debbono essere considerate già dedotte, per il 50% del loro ammontare, le quote relative al periodo di ammortamento già decorso ex art. 102, co. 8 Tuir.

In breve, ove l'affittuario contesti la regolate tenuta del registro dei beni ammortizzabili (o comunque in assenza di un parametro contabile certo e documentabile), il legislatore fiscale adotta una presunzione ritenendo già ammortizzata la metà del costo originario del bene.

Il disposto della predetta normativa fiscale trova applicazione anche con riferimento ai beni immateriali per effetto del rinvio operato dal comma 4 dell'art. 103 Tuir , riguardante gli ammortamenti dei beni immateriali.

Nulla cambia in materia di super ammortamenti, atteso che la maggiorazione spetterà esclusivamente all'affittuario (v. Circ. 30.3.2017, n. 4/E e Circ. 26.5.2016, n. 23/E).

In merito alle spese di manutenzione, la relativa deducibilità compete, in linea generale, alla parte contraente cui spetta anche il diritto di dedurre gli ammortamenti, dato che il presupposto su cui tale diritto si fonda è il medesimo.

Detto ciò, in merito al trattamento fiscale delle spese di manutenzione ordinaria effettuate sui cespiti compresi nel complesso aziendale affittato, detti oneri sono interamente deducibili dall'affittuario nell'esercizio in cui in cui sono sostenuti, a mente del comma 6 del citato art. 102 Tuir.

Le spese di manutenzione straordinaria, aventi utilità pluriennale, sono deducibili a mente del comma 1 dell'art. 108 Tuir, ossia nel limite della quota imputabile a ciascun periodo d'imposta e comunque non oltre il periodo di durata del contratto di locazione (v. R.M. 27.12.1983, n. 400).

5) Iva

Il contratto di affitto d'azienda rientra nel campo di applicazione dell'IVA, ai sensi dell'art. 3 comma 1 d.P.R. n. 633/1972, il quale qualifica come prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, le concessioni di beni in locazione, affitto e noleggio.

Sussiste, pertanto il presupposto oggettivo.

Ai fini della verifica del presupposto soggettivo, è necessario analizzare la figura del locatore.

5.1) Locatore che mantiene lo status di imprenditore (ad esempio, società o imprenditore che affitta una delle sua aziende o singolo ramo d'azienda).

In tale ipotesi, la concessione di beni in affitto è considerata una prestazione di servizi di cui al comma 2, art. 3 d.P.R. n. 633/1972 con aliquota ordinaria.

Stante l'alternatività Iva/registro, quest'ultima imposta è dovuta in misura fissa (€ 200,00).

5.1) Locatore che non riveste la qualifica di imprenditore (ad esempio imprenditore individuale che affitta l'unica azienda, eredi del de cuius imprenditore)

In assenza del presupposto soggettivo ai fini Iva, il relativo contratto è escluso dall'Iva: in tal caso l'imposta di registro è dovuta in misura proporzionale.

Se l'affitto di azienda è assoggettato all'imposta di registro in misura proporzionale si applica l'art. 23 d.P.R. n. 131/1986 e gli artt. 5 e 9 della Parte Prima della Tariffa allegata allo stesso Decreto.

Di guisa nel contratto sono previsti canoni separati per l'immobile e gli altri beni locati, si applica l'aliquota del 2% sul fabbricato e del 35 sui restanti beni; se il contratto prevede un unico canone, invece, si applica l'aliquota del 3%.

In ultimo si applica l'aliquota dello 0,5% sul canone relativo alla quota di affitto dei terreni agricoli (v. art. 5 Tariffa, Parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986).

5.3) Base imponibile

Essa è costituita dall'ammontare del corrispettivo in denaro pattuito per l'intera durata del contratto.

5.4) Momento impositivo

A mente dell'art. 6 d.P.R. n. 633/1972, trattandosi di prestazione di servizi, l'operazione di affitto di azienda assume rilevanza all'atto del pagamento del corrispettivo o, se anteriore, al momento dell'emissione della fattura da parte del locatore.

6) Imposta di registro

Anche laddove il contratto di affitto d'azienda venga stipulato verbalmente, a mente dell'art. 3 co. 1 lett. b) d.P.R. n. 131/1986, detto contratto va sottoposta a registrazione.

Come poc'anzi detto, la tassazione ai fini dell'imposta di registro varia a seconda dello status del locatore (v. Circ. AE del 29.5.2013, n. 18/E): laddove il locatore non perda la qualifica di imprenditore, data la nota alter natività Iva/registro, quest'ultimo tributo sarà dovuto in misura fissa (€ 200,00).

Nell'ipotesi opposta (locatore non imprenditore), l'imposta di registro sarà dovuta in misura proporzionale, la cui base imponibile è costituita dall'ammontare dei corrispettivi in denaro pattuiti per l'intera durata del contratto, ex art. 43 co. 1 lett. b) d.P.R. n. 131/1986.

Ove il contratto di affitto di azienda sia riferito ad un'azienda agricola, si applicherà l'imposta di registro in misura proporzionale nella misura dello 0,5% (v. art. 5 co.1 Tariffa, parte I allegata al d.P.R. n. 131/1986) e ciò a prescindere dallo status del locatore (soggetto passivo Iva o meno).

Difatti, a mente dell'art. 40 co. 1 d.P.R. n. 131/1986, il principio di alternatività Iva/registro non trova applicazione per le operazioni esenti previste dall'art. 10 co. 1, n. 8 d.P.R. n. 633/1972.

C - La responsabilità per i debiti tributari

Per quanto riguarda i tributi erariali ancora da adempiere al momento dell'affitto, essi gravano solo sul locatore dell'azienda.

Infatti, in virtù di quanto espresso dal principio di legalità, di cui all'art. 3. D.lgs. 18 dicembre 1972, n. 472, “… Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione…”.

Precisa il comma 2, che “…Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato…”.

A maggior ragione che l'art. 14 del medesimo D.Lgs. n. 472/1997 prevede la responsabilità solidale di cessionario e cedente, solo in caso di cessione d'azienda.

Puntualizza, infatti tale disposizione che “… Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui e' avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonchè per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore…”.

Pertanto, nessuna responsabilità tributaria deve essere estesa all'affittuario per le violazioni tributarie commesse dal concedente precedentemente all'avvio del periodo di affittanza.

D'altra parte, nel caso in cui, al termine del contratto di affitto, sull'azienda gravino dei debiti, anche fiscali che scaturiscono dalla gestione dell'affittuario, non si avrà una responsabilità del locatore (v. Cass. 3027/1981).

D - La responsabilità per i debiti previdenziali

In caso di trasferimento di azienda, i debiti contratti dall'alienante nei confronti degli istituti previdenziali per l'omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall'art. 2560 codice civile.

Ne consegue che per i debiti previdenziali esistenti al momento del trasferimento, non può operare l'automatica estensione di responsabilità all'acquirente prevista dall'art. 2112, secondo comma, prima parte (v. Cass. 8179/2001).

E - Rapporti tra l'affitto d'azienda ed il reato di bancarotta fraudolente per distrazione

Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è previsto dall'art. 216 comma 1 n. 1 del R.D. n. 267/1942 (Legge Fallimentare), a mente del quale è prevista la reclusione da tre a dieci anni per l'imprenditore fallito che abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, esposto o riconosciuto passività inesistenti.

Richiamando tale norma, l'art. 223 del medesimo decreto, essa estende tale responsabilità anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite.

Tanto premesso, nel corso di una procedura concorsuale, al ricorrere di alcune condizioni, determinate operazioni contrattuali, anche astrattamente riconducibili ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento (ad esempio il leasing, la locazione, la vendita con riserva di proprietà, la costituzione di un'ipoteca, v. Cass. Civ., n. 5245/2016 e Cass. Civ., n. 44549/2015) se realizzate con particolari modalità, potrebbero cagionare immediati e voluti effetti depauperativi sul patrimonio e recare effetti pregiudizievoli in capo ai creditori (v. Cass. 20370/2015).

Allo stesso modo possono rilevare anche operazioni societarie tra cui, ad esempio la stipula di un contratto di affitto di un ramo di azienda, se realizzato a condizioni di grande svantaggio per la società poi fallita (v. Cass. 18092/2018).

Difatti, integra il delitto di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale il contratto di affitto di azienda in cui, senza alcuna giustificazione, la fallita società non consegua l'incasso dei canoni pattuiti (v. Cass. Civ., n. 16989/2014) o l'ipotesi in cui, con fine prettamente distrattivo, venga concesso il godimento dell'azienda in assenza di effettiva contropartita, avvantaggiando i soci a scapito dei creditori (v. Cass. Civ., n. 10742/2008).

È del pari distrattiva la locazione di azienda tra società realizzata per una somma insignificante, specie quando la beneficiaria persona giuridica risulti riferibile ai congiunti o fiduciari dell'amministratore della società poi fallita (v. Cass. Civ., n. 20370/2015 e Cass. 44891/2008).

Ciò premesso, è sovente il ricorso al contratto di affitto d'azienda nel corso di procedure concorsuali e ciò, per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, tramite l'affitto è possibile trasferire rapidamente la gestione dell'azienda in capo ad un soggetto diverso, evitando così che l'insieme di beni e rapporti giuridico/aziendali si disgreghi irreparabilmente; in secondo luogo il contratto oggi in esame consente di arrestare le perdite di gestione e di consolidare il passivo, evitando l'ampliamento del dissesto o la formulazione di una proposta che assicuri ai creditori un'utilità individuata ed economicamente valutabile.

In nessun caso, però, l'affitto dovrebbe depauperare il patrimonio del debitore o recare danno ai creditori quale, invece, potrebbe essere un contratto concluso in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico (Cass. Civ., n. 46508/2008, Cass. Civ., n. 7201/2006).

Invero, come di recente affermato dalla Suprema Corte, un contratto di affitto di azienda concluso tra società satelliti in prossimità del fallimento e quando era già manifesto lo stato di insolvenza è da considerarsi una fattispecie che integra gli estremi del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione(v. Cass. Civ., n. 9768/2018).

Ciò esposto, in situazioni di dissesto societario come in precedenza narrate, i caratteri di adeguatezza e congruità della controprestazione pattuita (ovverosia del canone di locazione), escludono la portata distrattiva (per depauperamento) del contratto oggi in disamina.

Per meglio dire, la sola concessione in affitto dell'azienda non può costituire di per sé un fatto distrattivo, anche laddove sia destinata ad assorbire l'intera capacità produttiva della società cedente.

Quel che occorre dimostrare, invece, è che tale cessione sia avvenuta a fronte di un corrispettivo economico inadeguato, o che il corrispettivo non sia stato versato, o che sia stato corrisposto con una compensazione (totale o parziale) con debiti della società artatamente costruiti.

In altri termini, se, a fronte dell'affitto dell'azienda, è stato concretamente versato il giusto corrispettivo alla fallita concedente, non si può ritenere che tale negozio abbia economicamente depauperato la locatrice.

In breve, come di recente affermato dalla Suprema Corte, in costanza di un contratto di affitto d'azienda, la congruità e l'adeguatezza del canone pattuito, escludono la censura in sede penale per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (v. Cass. Civ., n. 32049/2018).

Di guisa, in situazioni d'insolvenza, ove tra le parti sia convenuto un giusto corrispettivo, l'affitto di azienda non può mai integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

F - In conclusione

In conclusione, come appena emerso, la duttilità dello strumento contrattuale dell'affitto di azienda, consente alle parti il raggiungimento di diverse finalità.

Difatti, accanto alla funzione tipica che consiste nel consentire al proprietario di un'azienda di mettere “il bene a reddito”, ovverosia di ricavare un corrispettivo per l'esercizio dell'impresa da parte del soggetto affittuario, il contratto in parola può essere inteso, anche, come una sorta di risposta ad eventuali scenari di squilibrio economico/finanziario.

A maggior ragione che il contratto in parola risulta ulteriormente appetibile, ove si considera che la locazione può riguardare non l'intera azienda, ma un ramo di essa, ossia una singola “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata” (v. art. 2112, comma 5, c.c.) o, addirittura, una quota indivisa d'azienda (ad esempio, azienda trasferita tramite successione mortis causa a coeredi, in cui solo uno svolge attività imprenditoriale).

Ciò posto, a fronte di una rilevante potenzialità d'impiego dell'istituto (v. paragrafo A1), l'insieme delle norme specificatamente dettata dal legislatore in tema, si presenta assai scarno: è sovente l'utilizzo del richiamo ad altri istituti o norme dettate per negozi affini.

Quanto detto, comporta che a fronte di lacune legislative (ad esempio, eccessiva sinteticità in tema di ammortamenti) e, quindi, d'incertezze esistenti in tema di affitto d'azienda, sovente le parti ricorrono a clausole negoziali, tali da rimuovere o attenuare, le predette incertezze.

L'autonomia negoziale, pertanto, diviene soggetto protagonista nella regolarizzazione del contratto in parola.

In ultimo, si evidenzia che l'istituto in disamina potrà essere un utile strumento al fine di fronteggiare uno stato di crisi, realizzando eventuale processo di aggregazione aziendale che, rispetto alle altre operazioni straordinarie (fusione, scissione, conferimento e cessione d'azienda), risulta temporaneo anche se potrà, successivamente, sfociare in un'aggregazione definitiva.

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