Trattamento dati personali e diritto di accesso a dati valutativi
25 Marzo 2019
Massima
Il diritto di accesso ai dati personali del dipendente è completo e deve considerarsi esteso anche alle valutazioni che il datore di lavoro opera sui detti dati personali. Il caso
Un dipendente di un istituto bancario, a seguito di un procedimento disciplinare a suo carico, conclusosi con una sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno, proponeva ricorso al Garante per la protezione dei dati personali chiedendo di ottenere la comunicazione in forma intellegibile dei dati personali che lo riguardavano.
L'istante, infatti, chiedeva di avere accesso a documenti interni previsti da una circolare dell'istituto bancario ed attinenti al processo di corretta istruzione del procedimento disciplinare all'interno della società datrice di lavoro e, segnatamente, ad una serie di valutazioni che il Responsabile Risorse Umane Centrale e territoriale competente formulavano in merito all'operato del dipendente, nonché il parere motivato degli stessi in ordine al provvedimento disciplinare da applicarsi.
A motivo e giustificazione della propria istanza, il ricorrente sosteneva che l'accesso ai dati personali contenuti nei detti documenti era necessario per esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa e di impugnazione giudiziale avverso la sanzione comminatagli.
Il Garante per la protezione dei dati personali sollecitava la Banca a fornire tempestivo riscontro alle richieste avanzate dal dipendente, riconoscendo il carattere di dato personale anche ai così detti dati valutativi (giudizi, opinioni o ad altri apprezzamenti di tipo soggettivo), ricevendo però solo una parziale ottemperanza.
Ed infatti la Banca, nel riscontrare la decisione del Garante, confermava di aver fornito al dipendente tutte le informazioni necessitate nella lettera di contestazione dell'addebito e nei fascicoli dei clienti verso i quali si erano riscontrate irregolarità, al contempo negando l'accesso agli specifici documenti richiesti dal dipendente, senza asserito pregiudizio del diritto di difesa, assumendo che gli stessi contenevano dati di uso meramente interno e protetti dalla normativa sulla privacy in quanto espressione del diritto di organizzare e gestire la propria attività, così come costituzionalmente garantito dall'art. 41 Cost., nonchè aventi rilevanza meramente endoprocedimentale nella formazione della volontà datoriale.
Contro il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali la Banca proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Roma che, con sentenza, veniva respinta.
La Banca, preso atto delle motivazioni della sentenza resa dal giudice di prime cure, proponeva pertanto ricorso in cassazione per cinque motivi, resistiti dal Garante della protezione dei dati personali. Le questioni
Le questioni in esame sono dunque le seguenti: a) le valutazioni, le elaborazioni, giudizi ed opinioni di carattere soggettivo che si riferiscono all'interessato possono considerarsi dati personali? b) sussiste il diritto di accesso ai dati valutativi da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 7, d.lgs. n. 196 del 2003? Le soluzioni giuridiche
Gli Ermellini, con motivazione puntuale e condivisibile nella ordinanza in commento, affrontano il tema in esame condividendo l'approccio del Garante per la protezione dei dati personali e del giudice di prime cure, sentenziando che il diritto di accesso ex art. 7, d.lgs. n. 196 del 2003 (quindi nella versione ante Regolamento UE n. 679/2016) non può intendersi restrittivamente come mero diritto alla conoscenza di eventuali dati nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già noti all'interessato, atteso che la ratio della disposizione normativa risiede nella possibilità della verifica ratione temporis dell'inserimento, permanenza e rimozione di dati, indipendentemente dal fatto che tali dati fossero già stati portati per altra via a conoscenza dell'interessato.
E ciò a tutela della dignità e riservatezza di quest'ultimo.
La posizione della Suprema Corte peraltro appare in linea con l'orientamento consolidato della giurisprudenza della stessa che già in passato ha avuto modo di precisare che la documentazione relativa alle vicende del rapporto di lavoro imposta dalla legge (libri paga e matricola) o prevista dall'organizzazione aziendale (tramite circolari interne) dà luogo alla formazione di documenti in relazione ai quali è possibile esercitare il diritto d'accesso di cui all'art. 7, d.lgs. n. 196 del 2003.
Vieppiù convincente appare il decisum della Corte laddove respinge le doglianze dell'Istituto bancario in merito ad un abuso del diritto e ad una presunta lesione della privacy di altri soggetti, ritenendo che la Banca ben avrebbe potuto operare un bilanciamento di interessi contrapposti, coniugando la possibilità di difesa del lavoratore sanzionato che voglia impugnare il provvedimento disciplinare, per l'effetto consentendo l'accesso ai documenti desiderati ed al contempo oscurando unicamente le informazioni dei terzi che si intendono tutelare. Osservazioni
La sentenza in commento appare di notevole interesse in quanto affronta un tema assai dibattuto e non banale.
E' diritto del lavoratore avere accesso completo e non ristretto ai documenti che lo riguardano nel caso in cui questi contengano anche valutazioni ed opinioni di natura soggettiva?
Val bene evidenziare che la precedente stesura dell'arti. 8, comma 4, d.lgs. n. 196 del 2003, testualmente prevedeva che: ”L'esercizio dei diritti di cui all'articolo 7, quando non riguarda dati di carattere oggettivo, può avere luogo salvo che concerna la rettificazione o l'integrazione di dati personali di tipo valutativo, relativi a giudizi, opinioni o ad altri apprezzamenti di tipo soggettivo, nonchè l'indicazione di condotte da tenersi o di decisioni in via di assunzione da parte del titolare del trattamento.”
La formulazione della norma appare inequivoca e tale da non consentire incertezze interpretative tant'è che la stessa è stata costantemente tenuta in conto quale pietra miliare dal Garante per la protezione dei dati personali.
Tuttavia, merita evidenziare che l'introduzione del Regolamento UE n. 679/2016 ed il successivo d.lgs. n. 101 del 2018 hanno profondamente innovato il testo del d.lgs. n.196 del 2003, abrogando anche l'articolo 8 del detto testo normativo, per l'effetto, non fornendo allo stato un addentellato giuridico tale da garantire il diritto di accesso ai dati valutativi così come previsto esplicitamente dalla previgente disciplina.
Ad opinione di chi scrive sebbene non sia prevista una norma di contenuto analogo all'abrogato art. 8, d lgs. n. 196 del 2003, il Regolamento UE n. 679/2016 potrà comunque supplire come idonea base giuriudica.
Va infatti ricordato che ai sensi dell'art. 4, Regolamento UE n.679/2016 le valutazioni ed i giudizi espressi in relazione ad una persona fisica ben individuata debbono considerarsi dato personale in quanto si rende identificata o identificabile la persona fisica cui le valutazioni pertengono.
A ciò deve aggiungersi che l'art. 15, Regolamneto UE n. 679/2016, al primo ed al quarto comma prevede che l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali e che lo riguardano, di ottenerne l'accesso ed anche una copia degli stessi, purchè non si ledano i diritti e le libertà altrui.
In altri termini, anche con la novellata normativa, il titolare del trattamento nel garantire il diritto di accesso ex art. 15, Regolamneto UE n. 679/2016, sarà comunque tenuto ad effettuare un attento bilanciamento di interessi tra i diritti dell'interessato ed i possibili pregiudizi che si possano produrre nell'altrui sfera giuridica con specifico riferimento alla compressione dei diritti e delle libertà altrui. |