Presupposti e confini della c.d. codatorialità
25 Marzo 2019
Massima
Si ha unicità del rapporto di lavoro qualora uno stesso lavoratore presti contemporaneamente servizio per due datori di lavoro e la sua opera sia tale che in essa non possa distinguersi quale parte sia svolta nell'interesse di un datore di lavoro e quale nell'interesse dell'altro, con la conseguenza che entrambi i fruitori di siffatta attività devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell'art. 1294, c.c., che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente. Il caso
Una lavoratrice veniva licenziata sulla scorta della cessazione dell'attività del datore di lavoro. L'efficacia del recesso veniva differita nel tempo e, nelle more, la prestatrice di lavoro comunicava all'impresa di essere in stato di gravidanza. Il licenziamento diveniva efficace alla scadenza del termine indicato dall'azienda e la lavoratrice si rivolgeva alla magistratura del lavoro evocando in giudizio la datrice di lavoro ed altre tre società. Le allegazioni della dipendente, rivolte al perseguimento della tutela reintegratoria, insistevano sull'istituto della cd. codatorialità. La questione
Le argomentazioni della ricorrente mettevano in luce come la prestazione lavorativa fosse stata rivolta non già nei soli confronti della formale datrice di lavoro (soggetto che successivamente si era intestato il provvedimento di recesso), bensì anche in favore delle altre società resistenti. Nel corso del rapporto laburistico, si sosteneva, le direttive erano giunte da più soggetti e, allo stesso modo, le prestazioni erano andate a vantaggio di più d'una controparte. Secondo la lavoratrice, tanto era sufficiente per ritenere configurata l'ipotesi della codatorialità, fattispecie da tenere distinta da quella dell'unicità della struttura organizzativa e produttiva, aspetti dei quali, in effetti, neppure veniva offerta prova. Corollario della ritenuta codatorialità era l'esposizione di tutti i soggetti coinvolti alle conseguenze del recesso operato dalla formale datrice di lavoro: anche sulle ulteriori società resistenti veniva dunque addossato, in via fra loro solidale, l'onere di provvedere alla reintegrazione del posto di lavoro.
Dopo la soccombenza in primo grado, la dipendente vedeva il proprio reclamo accolto dalla Corte di appello di Roma. I Giudici di secondo grado ritenevano accertata la situazione di codatorialità e discendevano da tale circostanza l'illegittimità del licenziamento. Il recesso, contrastante con il corpus normativo volto alla tutela dei diritti delle lavoratrici madri, avrebbe infatti potuto ritenersi giustificato solamente ove il datore di lavoro avesse cessato l'attività aziendale. Ma l'emersione del contesto di codatorialità escludeva la ricorrenza di una siffatta situazione eccezionale, esaltando, al contrario, la ricorrenza di altri soggetti chiamati a rispondere in solido delle obbligazioni scaturenti dal rapporto laburistico.
Le società codatrici di lavoro ricorrevano per cassazione denunziando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 54, d.lgs. n. 151 del 2001, in tema di tutela della maternità. Era altresì lamentata la scorretta interpretazione del concetto di unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro. Secondo la visione delle aziende, la lavoratrice avrebbe potuto accedere alla tutela reintegratoria solamente ove si fosse provata: l'esistenza di una sola struttura organizzativa e produttiva, l'integrazione tra le attività delle varie imprese coinvolte, la ricorrenza di un interesse comune, l'esistenza di un coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario. Tanto, si sosteneva, avrebbe potuto consentire di rilevare la contemporanea ed indifferenziata utilizzazione da parte di più soggetti della prestazione lavorativa. Viceversa, nel caso di specie, non era stata allegata l'esistenza di un gruppo societario e neppure era stato domandato l'accertamento ab origine di un rapporto laburistico con i soggetti percettori della prestazione lavorativa. Ciò, secondo le società ricorrenti, avrebbe dovuto precludere la pronunzia di condanna verso soggetti diversi dal formale datore di lavoro. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione rigetta il ricorso.
Le argomentazioni dei Giudici di legittimità prendono le mosse dalla considerazione per cui la lavoratrice aveva fornito le proprie prestazioni in favore (oltre che della formale datrice di lavoro anche) di tutte le società coinvolte nel giudizio. In particolare, si era accertato che le direttive provenivano invariabilmente da due persone, socie e titolari di posizioni apicali tanto nella formale datrice di lavoro quanto nelle altre imprese.
Questa circostanza viene valorizzata onde ritenere concretizzata, nella specie, una situazione di codatorialità, superando in tal modo ogni problematica in tema di configurabilità o non di un gruppo societario. La codatorialità – spiega la Cassazione – consiste nell'unicità di un medesimo rapporto di lavoro che lega un lavoratore a più datori di lavoro, ciò che si verifica quando il dipendente presti servizio contemporaneamente per più soggetti e non sia possibile distinguere quale parte della prestazione tipica sia svolta nell'interesse di una determinata controparte datoriale. La conseguenza è che i fruitori della prestazione laburistica debbono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni scaturenti dal rapporto, in armonia con quanto disposto dall'art. 1294, c.c., in tema di obbligazioni con pluralità di debitori nei casi in cui la legge od il titolo non dispongono in senso diverso.
La Suprema Corte ribadisce poi che il tema della ricorrenza di sinergie tra le imprese coinvolte non ha rilevanza. Al contrario, si sottolinea come davanti ai Giudici di merito si fosse accertato che l'attività della lavoratrice avvantaggiasse contemporaneamente ed indifferentemente più controparti, un aspetto fondamentale per giungere all'affermazione della codatorialità. Ciò del resto ben si accorda con la concezione realistica del concetto di impresa e di datore di lavoro accolta da vari precedenti di legittimità, secondo cui tali soggetti vanno individuati verificando chi, nella pratica, utilizza la prestazione tipica del contratto di lavoro e chi, sempre nella concretezza del singolo caso, è titolare dell'organizzazione produttiva nella quale la prestazione suddetta va a collocarsi. I giudici della nomofilachia richiamano inoltre numerosi arresti che già avevano riconosciuto la configurabilità di un rapporto laburistico contraddistinto dalla presenza di più parti datoriali, chiamate in tal modo a solidalmente sostenere le proprie obbligazioni.
La Cassazione, sulla base dell'accertata codatorialità, perviene così a confermare la conformità a diritto della decisione della Corte di appello di Roma. La cessazione dell'attività da parte di solo uno dei più datori di lavoro aveva infatti quale unica ricaduta la conclusione del rapporto laburistico con tale, specifica, controparte, non potendo al contrario essere sfruttata dai rimanenti condebitori per invocare la clausola eccezionale prevista dall d.lgs. n. 151 del 2001. Osservazioni
Come si evince dalla motivazione medesima, ove è riscontrabile la citazione di numerosi precedenti, la decisione in commento giunge a conferire ulteriore solidità ad un indirizzo intepretativo già consolidato. Il confronto delle argomentazioni contenute nella sentenza in esame con quelle del più risalente degli arresti richiamati (Cass., sez. lav., 10 giugno 1986, n. 3844) mette in luce come già più di un trentennio fa fossero compiutamente definiti i tratti fondamentali dell'istituto della cd. codatorialità. Già nella pronunzia del 1986, infatti, appare centrale il riferimento alla contemporaneità dell'espletamento della prestazione verso più datori di lavoro e alla indistinguibilità, nell'utilità fornita dal dipendente, di una porzione della medesima sicuramente riferibile ad una determinata controparte.
Il raffronto delle sentenze appare interessante anche al fine di constatare la progressiva espansione del campo di applicazione dell'istituto. Esso infatti, all'epoca della decisione n. 3844 del 1986, risultava piuttosto circoscritto, date le indubbie peculiarità del contesto fattuale alla base del pronunciamento della Suprema Corte. Nella specie, si verteva di un dipendente, con funzioni di guardiania di cantiere di una impresa edile. Quest'ultima, accordatasi con altra azienda titolare di altro cantiere finitimo, aveva richiesto al proprio dipendente di estendere l'attività di vigilanza anche al cantiere vicino. Dalle testimonianze escusse si era giunti alla conclusione dell'impossibilità di differenziare in concreto le attività svolte per l'uno o per l'altro imprenditore: orario di lavoro e modalità di esecuzione erano in tutto coincidenti. Come si vede, in una fattispecie siffatta la solidarietà dal lato datoriale del rapporto laburistico si presentava quanto mai marcata: non soltanto il lavoratore era chiamato a fornire la propria opera in favore di più soggetti, ma addirittura tale opera veniva prestata con una singola azione della quale si avvantaggiavano nel medesimo momento entrambi i codatori.
Nelle pronunzie più recenti, come quella in commento, l'interpretazione del concetto di indistinguibilità delle prestazioni del dipendente risulta meno stringente. Si ricorderà come alla base del procedimento giudiziario esitato nella sentenza in esame vi fosse il caso di una lavoratrice che svolgeva mansioni amministrative e contabili per più società, ovvero operazioni che, con tutta evidenza, sia pure inscrivibili in un contesto unitario, non potevano essere svolte con la medesima azione in favore, contemporaneamente, di tutte le controparti. Va rilevato come questo adeguamento della sfera applicativa della codatorialità si sia affacciato nella giurisprudenza di legittimità ormai da tempo, a far data almeno dalla sentenza 20 ottobre 2000, n. 13904, un arresto interessante in quanto afferma la configurabilità dell'istituto anche nel contesto del lavoro dirigenziale.
Altra caratteristica che distingue i più recenti arresti in tema con il precedente del 1986 è costituita dai rapporti esistenti tra i codatori. Nella pronunzia più risalente, si trattava di società ben distinte, accomunate solamente dall'occasionale vicinanza di due cantieri edili ove peraltro le medesime aziende seguivano lavorazioni che non presentavano particolari interazioni. Nelle sentenze più recenti, invece, sono coinvolti soggetti societari fra loro già strettamente connessi in forza di rapporti di controllo oppure per effetto della ricorrenza delle stesse persone (fisicamente intese) nei ruoli apicali delle varie realtà.
Questa tendenza è suscettibile di rendere meno chiara la linea di confine tra la codatorialità e alcune altre forme del fenomeno del decentramento produttivo, nell'accezione lata del termine fornita da autorevole dottrina coincidente con lo scorporo o l'affidamento a terzi del processo produttivo. Non è un caso che la sentenza in esame non tralasci di accennare alla definizione del gruppo societario, uno dei più frequenti modi di manifestazione del decentramento; forse, però, la Corte di cassazione non ha colto l'occasione di rimarcare gli aspetti che differenziano le due fattispecie.
Secondo la corrente interpretativa ad oggi più affermata (espressa, ad esempio, dalla sentenza dei Giudici di legittimità 31 luglio 2017, n. 19023) tra le società dotate di personalità giuridica di un medesimo gruppo, pur se tra loro collegate da un punto di vista economico e funzionale, non si ravvisa un unico centro di imputazione del lavoro. Tuttavia, la conclusione è di segno opposto in presenza di una simulazione o di una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività tra più soggetti. In particolare, al Giudice è demandato di verificare la ricorrenza di una siffatta situazione abnorme esaminando le attività delle varie società coinvolte (formalmente gestite da soggetti differenti) verificando più requisiti. Essi sono: l'unicità della struttura organizzativa – produttiva; l'integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; il coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; l'utilizzazione temporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.
Nella presente sede, è l'ultimo dei requisiti appena elencati a catturare l'attenzione. Esso infatti coincide perfettamente con la definizione – fornita dalla medesima Suprema Corte – dei caratteri fondamentali della codatorialità: la prestazione contemporanea ed indistinguibile fornita dal dipendente in favore di più datori di lavoro.
Questo rilievo sembrerebbe tale da poter giustificare la ricostruzione delle interazioni tra l'istituto della codatorialità ed il fenomeno del gruppo di imprese nei termini di un rapporto da genere a specie: in presenza di una situazione in cui, in seno ad un gruppo di società, si ravvisa un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, allora a maggior ragione – si sarebbe tentati di affermare – può ravvisarsi una condizione di codatorialità. Ed a conforto di ciò potrebbe leggersi l'argomentazione contenuta nella sentenza di legittimità 24 marzo 2003, n. 4274 (in tema, non a caso, di gruppi di impresa), per cui “in presenza di determinate circostanze, è giuridicamente possibile concepire una impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi, il che, tra l'altro, non comporta sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica, né di negare la pluralità di quei soggetti, ben potendo esistere un rapporto di lavoro che vede nella posizione del lavoratore un'unica persona e nella posizione di datore di lavoro più persone rendendo così solidale l'obbligazione del datore di lavoro”.
Di certo, ben diverse appaiono le implicazioni delle due costruzioni giuridiche e dunque le rispettive ricadute nel campo della tutela dei diritti dei lavoratori.
La teorizzazione dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro ha valenza settoriale, finalizzata com'è alla neutralizzazione di macchinazioni elusive o frodative della legge. Così, tipicamente, la personalità giuridica delle componenti del gruppo viene “accantonata” al fine di applicare alla società apicale ed autentica titolare del rapporto laburistico una serie di norme, come quelle in tema di tutele statutarie a proposito dei licenziamenti, di accesso alla cassa integrazione guadagni, di disciplina della mobilità.
In modo diverso si atteggia la codatorialità, un istituto che, richiamandosi alle norme del codice civile sulla solidarietà delle obbligazioni, evidentemente postula che le parti datoriali mantengano una propria autonomia e che, proprio per questo, esercita la propria influenza sull'intero svolgimento di un dato rapporto di lavoro. Giurisprudenza di legittimità:
Contributi dottrinali:
|