Processo di prevenzione: le comunicazioni al P.M. possono essere effettuate mediante Pec?
26 Marzo 2019
Massima
In tema di procedimento di prevenzione, non è consentito l'utilizzo della Pec per la comunicazione di atti e di provvedimenti del giudice al pubblico ministero. Il caso
Il Procuratore Generale di Firenze ha impugnato il decreto della Corte di Appello con il quale è stata revocata una misura di prevenzione patrimoniale. Secondo il ricorrente, la Corte di appello ha erroneamente svalutato il rilievo della sentenza con la quale al destinatario della misura era stata applicata la pena per il reato di partecipazione all'associazione criminale di stampo mafioso denominata “Sacra Corona Unita”, indice della sua persistente pericolosità, da ritenersi, peraltro, “qualificata” ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. 159/2011. Il difensore dei terzi contro-interessati, con memoria, ha eccepito la tardività del ricorso per cassazione del Procuratore Generale. Il decreto impugnato, infatti, era stato comunicato all'ufficio della Procura per mezzo di posta elettronica certificata in data 11 aprile 2018. Il ricorso era stato presentato in data 23 aprile 2018 e, dunque, oltre il termine di dieci giorni dalla comunicazione previsto dall'art. 10, comma 3, del d.lgs. 159 del 2011. La questione
La questione posta al vaglio della Suprema Corte può essere sintetizzata nel modo seguente: in tema di procedimento di prevenzione, è legittimo l'utilizzo della posta elettronica per effettuare le comunicazioni o le notificazioni dirette al pubblico ministero? Le soluzioni giuridiche
1. La Corte ha osservato che l'art. 10, comma 3, d.lgs. 159 del 2011 prevede che «Avverso il decreto della corte di appello, è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato e del suo difensore, entro dieci giorni». L'art. 16, comma 9, lett. c-bis) del d.l. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, poi, stabilisce che, a decorrere dal 15 dicembre 2014, nei procedimenti "dinanzi ai tribunali e alle corti di appello", possano essere operate con la PEC le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p. Sulla base di quest'ultima disposizione, in tema di utilizzo del mezzo della posta elettronica certificata per le comunicazioni endo-procedimentali, la giurisprudenza di legittimità è allo stato orientata per un riconoscimento della possibilità di ricorrere a questo mezzo solo in ipotesi ben definite. Tale forma di notifica, infatti, è derogatoria rispetto all'ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata soltanto in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari (Cass. pen., Sez. III, n. 6883/2016; Cass. pen., Sez. III, n. 48584/2016; Cass. pen., Sez. V, n. 24332/2015; Cass. pen., Sez. I, n. 18235/2015; Cass., Sez. 3, n. 7058/2014). Ne consegue che, anche in tema di procedimento di prevenzione, è stato ritenuto legittimo l'utilizzo della Pec soltanto per le notificazioni e le comunicazioni a persona diversa dall'imputato, ai sensi degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p., eseguite sia da parte della cancelleria, sia dell'ufficio della Procura della Repubblica o della Procura Generale presso la Corte di appello (Cass. pen., Sez. VI, n. 21740/2018). Tra le ipotesi per le quali è legittimo l'uso della Pec, invece, non può essere collocata quella relativa alla comunicazione dei provvedimenti agli uffici giudiziari, che è oggetto della sentenza, come risulta dal mancato richiamo nella disposizione menzionata - ma anche in quella di cui all'art. 16, comma 4, stesso decreto - dell'art. 153, comma 2, c.p.p. secondo il quale «Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al pubblico ministero sono eseguite a cura della cancelleria mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta». Si deve concludere, pertanto, che le disposizioni appena rammentate consentono l'utilizzo della PEC da parte della cancelleria del giudice o della segreteria del pubblico ministero per le comunicazioni e le notificazioni dirette alle parti private diverse dal destinatario della misura, ma non anche per quelle dirette al pubblico ministero.
2. La Corte, poi, ha aggiunto che l'art. 2, comma 6, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongano che sia operante il processo telematico. Ove questo non sia instaurato, come accade nel processo penale, è erroneo ipotizzare l'applicazione di talune norme (quella di cui all'art. 7, comma 10, d.lgs. 159/2011), che, nella volontà del legislatore, si inscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali. Preso atto dell'inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, «che costituisce il necessario approdo dell'architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti», coerentemente, l'uso del mezzo informatico in argomento per la trasmissione di atti endoprocessuali è consentito nei soli casi espressamente previsti dalla legge (Cass. pen., Sez. IV, n. 21056/2018).
3. Nel caso di specie, nondimeno, la Corte ha ritenuto che debba farsi applicazione del principio di diritto, affermato in tema di riesame di misure cautelari, secondo il quale la trasmissione degli atti al collegio da parte dell'autorità giudiziaria procedente mediante l'uso della posta elettronica certificata (c.d. Pec), non è idonea a far decorrere il termine perentorio di dieci giorni, stabilito per la decisione da parte del tribunale del riesame, a pena di inefficacia della misura, dall'art. 309,, comma 9, c.p.p., occorrendo, a tal fine, il materiale inoltro degli atti stessi (Cass. pen., Sez. III, n. 51087/2017). Sussiste, infatti, l'identità di ratio, che consiste nella necessità di assicurare l'effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento da impugnare ed avuto riguardo alla natura dei relativi termini, stabiliti a pena di decadenza, solo dalla data della materiale consegna dell'avviso di deposito del provvedimento del giudice o del provvedimento stesso, eseguita nelle forme di cui all'art. 153, comma 2, c.p.p., prescindendo, dunque, da incerte operazioni di stampa da parte della segreteria del pubblico ministero, ad oggi, peraltro, neppure disciplinate nelle forme e nei tempi - decorrono i termini previsti per l'impugnazione del pubblico ministero. Ne consegue che, ove tale consegna non abbia avuto luogo, essendosi proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata, i termini per impugnare decorrono dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento stesso.
4. Nel caso al vaglio della Corte di legittimità, in assenza di comunicazione dell'avviso di deposito del decreto della Corte di appello nelle forme codificate, poiché il Procuratore Generale di Firenze ha attestato l'avvenuta conoscenza del provvedimento impugnato da parte del suo ufficio in data 12 aprile 2018, da tale momento sono decorsi i termini per impugnarlo; con la conseguenza che, venendo questi a scadere nella giornata festiva del 22 aprile 2018, la presentazione del ricorso per cassazione nella successiva giornata del 23 aprile 2018, deve essere reputata tempestiva.
5. Nel merito, la Corte ha annullato il provvedimento impugnato, rinviando gli atti alla Corte di appello per un nuovo giudizio. Osservazioni
1. La sentenza si segnala perché definisce l'ambito entro il quale è ammissibile l'uso della posta elettronica certificata nel procedimento penale di prevenzione. Al riguardo, l'art. 7, comma 10, del decreto legislativo n. 159 del 2011 dispone che «Le comunicazioni di cui al presente titolo possono essere effettuate con le modalità previste dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82». Il rinvio alle disposizioni del “Codice dell'amministrazione digitale” permette di ipotizzare la possibilità di un impiego più ampio in questo giudizio del mezzo elettronico per le comunicazioni o le notificazioni. La Corte di legittimità, invece, ha ritenuto che, sulla base dell'art. 16, comma 9, lett. c-bis) del d.l. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, il ricorso alla Pec sia consentito per le sole notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p. La posta elettronica certificata, secondo la decisione in commento, allo stato, rappresenta una forma di notificazione derogatoria rispetto all'ordinario regime, che si pone come alternativa privilegiata soltanto nei casi determinati dalla legge e nei confronti di specifiche categorie di destinatari (Cass. pen., Sez. III, n. 6883/2016; Cass. pen., Sez. III, n. 48584/2016; Cass. pen., Sez. V, n. 24332/2015). Anche in tema di procedimento di prevenzione, pertanto, è ritenuto legittimo l'utilizzo della PEC per le notificazioni e le comunicazioni a persona diversa dall'imputato, ai sensi degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p., eseguite sia da parte della cancelleria, sia ad opera dell'ufficio della Procura della Repubblica o della Procura Generale presso la Corte di Appello (Cass. pen., Sez. VI, n. 21740/2018). Il medesimo strumento, invece, non può essere utilizzato per la comunicazione dei provvedimenti del giudice agli uffici di Procura.
2. A tale ultimo riguardo, in particolare, la Corte rileva che non solo l'art. 16 dapprima citato fa esplicito riferimento alle sole notificazioni a persona diversa dall'imputato, ma soprattutto che questa norma non richiama l'art. 153 cod. proc. pen. Quest'ultima disposizione regola la comunicazione di atti e di provvedimenti del giudice al pubblico ministero, stabilendo che debba essere eseguita a cura della cancelleria mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. La norma non contiene alcun riferimento alla PEC.
3. La sentenza, peraltro, si segnala anche per l'utilizzo di un altro argomento di notevole rilievo. La Corte, infatti, ha osservato che l'art. 2, comma 6, d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 82 - secondo cui le disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale si applicano al processo penale, “in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico” - presuppone l'operatività del processo telematico. In tanto può trovare applicazione la disciplina del Codice dell'amministrazione digitale, in quanto sia stato instaurato il processo telematico, con la costituzione di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell'architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti. Nel processo penale, ciò non è avvenuto; mancando un fascicolo telematico nel quale possano trovare posto gli atti trasmessi in modo digitale, non è possibile ipotizzare un uso della PEC che vada oltre le specifiche ipotesi disciplinate dalla legge. Secondo la sentenza in esame, in altri termini, è erroneo supporre l'applicazione di talune norme, come quella di cui all'art. 7, comma 10, d.lgs. 159/2011, che nella volontà del legislatore si inscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali, allo stato non ancora attuato.
4. Il caso di specie, nondimeno, attiene alla proposizione di una impugnazione. La Corte, allora, ravvisando l'identità della ratio, ha ritenuto di fare applicazione di un principio elaborato in tema di riesame avverso provvedimenti cautelari. In tale ultimo caso, è stato affermato che la trasmissione degli atti al collegio da parte dell'autorità giudiziaria procedente mediante l'uso della posta elettronica certificata (c.d. Pec), non è idonea a far decorrere il termine perentorio di dieci giorni, stabilito per la decisione da parte del tribunale del riesame, a pena di inefficacia della misura, dall'art. 309, comma 9, c.p.p., occorrendo, a tal fine, il materiale inoltro degli atti stessi (Cass. pen., Sez. III, n. 51087/2017). Parimenti, ad avviso del collegio, non essendo state utilizzate le modalità di comunicazioni formali previste dall'art. 153, comma 2, cod. proc. pen., il termine per impugnare deve essere fatto decorrere dall'effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento da impugnare, prescindendo, dunque, da incerte operazioni di stampa della PEC da parte della segreteria del pubblico ministero. Del resto, uno dei limiti all'estensione della PEC deve essere ravvisato nella mancata disciplina proprio delle forme e dei tempi di stampa delle comunicazioni, ai fini della loro sottoposizione al destinatario, giudice o, come nella specie, pubblico ministero. Ne consegue che, nel caso in cui non abbia avuto luogo la consegna della comunicazione prevista dall'art. 153, comma 2, c.p.p., essendosi proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata, i termini per impugnare decorrono dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento stesso.
5. Il riferimento alla trasmissione degli atti tra uffici giudiziari, peraltro, si inserisce in un contesto normativo più ampio rispetto a quello della comunicazione degli atti del giudice al pubblico ministero disciplinato dall'art. 153 cod. proc. pen. Con riferimento alle impugnazioni de libertate, infatti, va rilevato che l'art. 100 disp. att. cod. proc. pen. consente la trasmissione da parte del Gip al Tribunale del riesame anche solo della copia degli atti posti a sostegno di una misura cautelare nonché di quelli sopravvenuti a favore dell'indagato, permettendo - o, quanto meno non vietando - che detta trasmissione possa essere effettuata per mezzo della trasposizione degli atti in formato digitale (cfr. Cass. pen., n. 48415/2014, relativa ad una fattispecie in cui gli atti erano stati trasmessi con un CD-Rom). In questi casi, secondo un indirizzo giurisprudenziale, dall'art. 64 disp. att. cod. proc. pen. si desume la regola generale secondo cui il cancelliere (o nel caso del Pubblico Ministero, il segretario) deve attestare la conformità all'originale degli atti trasmessi in copia telematica (Cass. pen., Sez. V, 28 febbraio 2018, n. 21710).
6. L'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen., invero, stabilisce che la comunicazione di atti tra uffici, in alternativa rispetto ai meccanismi previsti dai commi precedenti (lettera raccomandata, consegna al personale di cancelleria), può avvenire “con mezzi tecnici idonei”. In questo caso, il funzionario di cancelleria del giudice che ha emesso l'atto deve attestare, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale. Questa disposizione, allo stato, rappresenta un cardine su sui si fonda l'adozione del sistema di trasmissione degli atti tra uffici con mezzi telematici idonei (tra i quali l'applicativo Tiap, per il quale si rinvia ad altri contributi contenuti nel portale).
7. Quando la trasmissione degli atti avviene in forma telematica, peraltro, deve essere attestato che la trasposizione degli atti è stata integrale e che, nel corso dello svolgimento delle relative operazioni, non è insorto alcun problema tecnico. Nel caso in cui, poi, la trasmissione degli atti non avvenga mediante la consegna di un supporto fisico (come un CD), ma per mezzo della spedizione di una mail, si pone anche il problema della prova della data e dell'ora della ricezione. Quando si usa la Pec, il sistema tecnologico usato permette con certezza di individuare la data e l'ora di trasmissione e di ricezione. L'adozione della Pec, quindi, fa venire meno le problematiche relative all'attestazione di conformità dell'atto spedito rispetto all'originale e, soprattutto, alla data e all'ora di trasmissione. La PEC, infatti, offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all'identificazione del mittente e del documento inviato e all'avvenuta ricezione dell'atto e, dunque, è in grado di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa. Anche la documentazione dell'attività compiuta, che è necessaria nel corso dell'attività processuale, è agevole: è sufficiente la produzione del rapporto di consegna al destinatario e della ricevuta di accettazione. Anche l'indirizzo giurisprudenziale più aperto all'uso degli strumenti digitali per la trasmissione degli atti tra gli uffici, peraltro, individua due ulteriori presupposti perché possa dirsi realizzata la trasmissione al momento della ricezione della PEC (cfr. Cass. pen., Sez. V, sent. 28 febbraio 2018, n. 21710, cit.). Secondo la previsione dell'art. 64, comma 4, disp. att. cod. proc. pen., infatti, il funzionario di cancelleria deve attestare in calce all'atto trasmesso di aver inviato il testo originario o, meglio, un testo conforme all'originale, essendo stato utilizzato per l'adempimento “un mezzo tecnico idoneo” e non gli strumenti tradizionali. Il giudice, inoltre, con il decreto che consente l'adozione del mezzo tecnico in questione, ne deve stabilire le modalità d'uso. In mancanza di questi presupposti, la trasmissione degli atti, da cui decorre il termine per la successiva adozione del provvedimento sull'impugnazione, non va fissata nella data della ricezione della PEC, ma in quella della reale percezione dei documenti da parte dell'ufficio ricevente (cfr. Cass., sez. V, sent. 28 febbraio 2018, n. 21710, cit.). Occorre, in altri termini, che il messaggio PEC sia “aperto” dal destinatario, che gli atti siano scaricati e stampati e che ne sia stata accertata l'integralità (operazione, invero, assai difficile per l'Autorità ricevente che non conosce gli atti originali e che può solo verificare che l'attività di trasposizione telematica non abbia determinato errori o difetti). Guida all'approfondimento
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