Cantieri navali ed esposizione all’amianto: la responsabilità è del Ministero della difesa
28 Marzo 2019
IL CASO Un uomo decede per mesotelioma pleurico dopo aver lavorato tutta la vita nei cantieri navali. Gli eredi chiedono al Tribunale di Genova il risarcimento iure proprio per la perdita del congiunto, ravvisando la responsabilità del Ministero della Difesa quale datore di lavoro per non aver attuato tutte misure di sicurezza necessarie a scongiurare il pericolo di contrarre il mesotelioma pleurico, patologia ad esito infausto, strettamente connessa all'esposizione ad amianto. Il Tribunale evidenzia la colpa del Ministero della Difesa che, pur avendo l'obbligo di tutelare l'integrità fisica e psichica del lavoratore adottando ogni cautela ed informandolo dei rischi alla salute connessi alla sua attività lavorativa, non aveva prestato la dovuta attenzione, imposta ex art. 2087 c.c.
UTILIZZO MASSICCIO DELL'AMIANTO Se è vero che l'amianto, per le sue proprietà ignifughe e termoacusticamente isolanti, è stato copiosamente utilizzato nei cantieri navali, altrettanto chiaro è il rischio connesso all'esposizione intensa e duratura allo stesso, culminato dapprima con il d.lgs. n. 277/1991, che dava attuazione alle normative comunitarie in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti pericolosi durante lo svolgimento delle proprie mansioni, e poi con la l. n. 257/1992 che ha vietato l'utilizzo dell'amianto.
CAUSALITÀ OMISSIVA Nel caso di specie si configura in capo al Ministero un'ipotesi di causalità omissiva: l'esposizione ad amianto del lavoratore è stata accertata per la sua intera vita lavorativa, avendo ricoperto mansioni prima presso ditte in appalto presso l'arsenale della Marina, poi alle dirette dipendenze del Ministero della Difesa, e la CTU aveva dimostrato che ciascuno dei due periodi lavorativi sarebbe stato da solo sufficiente a cagionare il mesotelioma pleurico nella misura richiesta, ossia del più probabile che non.
DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE Il Tribunale ricorda che il danno da perdita del rapporto parentale è complementare rispetto a quello indennizzato dall'INPS, e deve quindi essere integralmente risarcito, concretizzandosi nell'«irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità». Il Giudice, nell'accogliere la domanda, stabilisce un risarcimento di 270.000,00 € al coniuge e di 200.000,00€ per ciascuno dei due figli. |