La finanza esterna nel concordato liquidatorio: incentivi e istruzioni per l’uso

01 Aprile 2019

Le modifiche normative del Codice della crisi riguardo ai concordati liquidatori richiedono l'immissione di risorse esterne al patrimonio del debitore, in misura sostanziale: si pongono questioni interpretative sulle modalità di calcolo, e rilevanti dubbi sull'efficacia del sostegno dei terzi ovvero sulla convenienza per gli amministratori di un intervento a propria tutela.
Premessa

Le modifiche normative del Codice della crisi riguardo ai concordati liquidatori richiedono l'immissione di risorse esterne al patrimonio del debitore, in misura sostanziale: si pongono questioni interpretative sulle modalità di calcolo, e rilevanti dubbi sull'efficacia del sostegno dei terzi ovvero sulla convenienza per gli amministratori di un intervento a propria tutela.

Concordato liquidatorio: esito infelice dell'insufficiente continuità aziendale

Molto si è scritto sul favore del legislatore delegato per il concordato in continuità aziendale: sia la relazione di accompagnamento del decreto legislativo, sia il dettato testuale del Codice della crisi e dell'insolvenza lasciano poco spazio all'immaginazione.

Vi è tuttavia un tema di concreta attuabilità di questo scenario preferibile: l'asticella dei livelli occupazionali necessari affinché si possa prefigurare una continuità indiretta ovvero la prevalenza dei ricavi è stata senza dubbio posizionata molto in alto, e non v'è dubbio alcuno che - salvo concrete iniziative di modifica del tenore dell'art. 84 CCI – un rilevante numero di concordati preventivi all'interno dei quali possa prefigurarsi una continuità aziendale sia però declinato secondo i paradigmi della liquidazione per mancanza di un adeguato livello occupazionale per il periodo successivo alla omologazione.

Può quindi accadere che la continuità aziendale sia gestita con strumenti tipici della liquidazione, in funzione della applicabilità delle norme previste al riguardo dal Codice della Crisi; quali le conseguenze sulla continuità derivanti da questo framework normativo? La presenza dei requisiti di ammissibilità tipici del concordato liquidatorio di cui si discuterà nel prosieguo (art. 84 ultimo comma CCI), ma anche la nomina dei liquidatori giudiziali e del comitato dei creditori previsti (art. 114 CCI, ivi incluse le disposizioni relative alle vendite, cessioni e trasferimenti di cui al quarto comma), nonché le azioni del liquidatore giudiziale (art. 115 CCI) che invece sono escluse dalla continuità aziendale.

Scopo del presente elaborato è concentrarsi su taluni aspetti della norma destinata alla liquidazione che destano più di una preoccupazione riguardo alla loro concreta attuazione.

Requisiti di ammissibilità

L'ultimo comma dell'art. 84 definisce infatti i requisiti fondamentali del concordato liquidatorio, prevedendo che – contemporaneamente – il soddisfacimento dei creditori chirografari non possa essere inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario (limite, questo, presente anche nell'art. 160, ultimo comma, l.fall.), e che l'apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci per cento, rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari.

Entrambi i requisiti dovranno dunque essere presenti nel piano e nella proposta, debitamente documentati nell'attestazione e costituiranno oggetto di specifica verifica ai fini della ammissibilità da parte del Tribunale.

Mentre la misurazione del limite del venti per cento di soddisfazione dei creditori chirografari è assolutamente semplice, e peraltro essendo presente nell'impianto normativo attuale è già stata abbondantemente approfondita dalla dottrina, dalla prassi e dalla giurisprudenza, vale la pena concentrarci maggiormente sul secondo requisito, quello dell'apporto di risorse esterne – la c.d. “nuova finanza”.

A questo riguardo, ci occuperemo di due aspetti rilevanti: uno oggettivo, legato alla misurazione della entità del nuovo apporto, e uno soggettivo, rappresentato dal soggetto che possa avere un interesse a tale contribuzione esterna.

Quantificazione della finanza esterna

Il legislatore ipotizza la necessità che oltre alle risorse intrinsecamente presenti all'interno dell'economia del debitore (rappresentate sia dagli attivi alla data del deposito della domanda, sia da quelli che eventualmente – anche per effetto della prosecuzione dell'attività da parte del debitore – potranno prodursi nel corso del Piano), debba essere effettuato un apporto di risorse ulteriori – appunto, esterne al bilancio dell'impresa in concordato.

L'apporto può consistere in denaro, ma il legislatore – riferendosi a “risorse” – non ha inteso escludere l'apporto di beni o complessi di beni, rappresentati da crediti, immobili, partecipazioni, aziende, beni, servizi, diritti e quant'altro possa rappresentare comunque una risorsa per i creditori.

Deve tuttavia trattarsi di una risorsa valorizzabile, e questa valorizzazione – da eseguirsi alla data di riferimento, ovverosia quella di deposito del Piano e della attestazione - deve consentire di apprezzare un miglioramento sensibile delle prospettive di soddisfazione dei creditori chirografari rispetto a quanto consentirebbe il piano liquidatorio stand-alone.

E' chiaro che l'intento del legislatore è quello di evitare di camuffare da concordato liquidatorio situazioni che non hanno pregio alcuno rispetto a quella della liquidazione giudiziale: anche la richiesta di una percentuale minima del venti per cento discende da questa impostazione. Il concordato preventivo liquidatorio deve dunque soddisfare almeno sulla carta molto di più della liquidazione giudiziale, la quale può ben consentire un incasso pari a zero per i creditori chirografari.

Purtroppo la presenza di liquidazioni di attivi basate non su effettive offerte di acquisto ma solamente su un apparato peritale ha condotto a volte a concordati preventivi che sulla carta offrivano prospettive di incasso buone, ma nel concreto hanno esitato invece tempi e percentuali ben distanti.

A fronte di queste esperienze concrete, non è incomprensibile che il legislatore abbia comunque ritenuto di volere ulteriormente sottolineare che il concordato preventivo liquidatorio deve essere visibilmente conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale. Non sufficiente il voto espresso e non tacito, e una percentuale minima, si è ora introdotta anche la necessità di finanza esterna.

Questa finanza esterna è sempre obbligatoria? E in quale misura? Partendo dalla sua quantificazione si può verificare se il legislatore ha concretamente raggiunto il suo obiettivo.

La relazione ministeriale precisa che, essendo più costoso della liquidazione giudiziale, il concordato preventivo liquidatorio può sopravvivere nel sistema solo nel caso in cui ai creditori vengano messe a disposizione risorse ulteriori rispetto a quelle rappresentate dal patrimonio del debitore.

La norma, nel determinare la quantificazione di queste risorse esterne, fa riferimento a un incremento di almeno il dieci per cento del soddisfacimento dei creditori chirografari rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale.

Dubbi applicativi

La norma richiede che preventivamente rispetto alla proposta finale, il debitore operi una ricostruzione alternativa della soddisfazione dei propri creditori tramite l'alternativa della liquidazione giudiziale, tale da evidenziare quale potrebbe essere la soddisfazione dei propri creditori chirografari. Sulla base di tale prima ricostruzione dovrà poi essere verificata la capacità della finanza esterna di migliorare la soddisfazione dei creditori chirografari in tale scenario.

Nell'esempio che segue si prescindere dal raggiungimento del secondo parametro fissato dall'ultimo comma dell'art. 84 CCI, rappresentato dalla percentuale minima del venti per cento per i creditori chirografari.

Attivo complessivo da liquidazione giudiziale

Euro 5.000.000

Meno creditori prededucibili

Euro 1.000.000

Meno creditori privilegiati

Euro 2.500.000

Attivo residuo per i creditori chirografari

Euro 1.500.000

Passivo chirografario

Euro 10.000.000

Percentuale soddisfazione chirografari nella liquidazione giudiziale

15%

A fronte di questa formulazione, si apre un dubbio interpretativo molto serio: il legislatore ha inteso che vi fosse, rispetto alla liquidazione giudiziale, un incremento del dieci per cento nelle risorse disponibili per i creditori chirografari (risorse che sono la base del loro soddisfacimento) o ha invece richiesto che la loro soddisfazione minima, rispetto alla liquidazione giudiziale, fosse assicurata in ragione del dieci per cento tramite finanza esterna?

Nel primo caso, sulla base dell'esempio proposto, occorrerebbe che la finanza esterna garantisse un incremento delle risorse disponibili per i creditori chirografari del 10% ovverosia che esse incrementassero da Euro 1.500.000 a Euro 1.650.000 – quindi con un incremento di Euro 150.000 pari al 10%.

Nel secondo caso, sulla base dell'esempio proposto, occorrerebbe che la finanza esterna garantisse un incremento della percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari del 10% e dunque che quest'ultima salisse dal 15% al 25%: le risorse disponibili passerebbero da Euro 1.500.000 a Euro 2.500.000, con un incremento delle medesime del 66,67% (la nuova finanza incide oltre il 50% della soddisfazione dei creditori chirografari).

Evidenze empiriche

Per esaminare le conseguenze delle due ricostruzioni, è opportuno concentrarsi anche sugli esiti delle ricerche empiriche riguardo ai concordati preventivi; di esse, la più recente e strutturata è rappresentata dal lavoro svolto da OCRI in collaborazione con Banca d'Italia (la ricerca è pubblicata in Banca d'Italia - Questioni di Economia e Finanza n. 430 di marzo 2018: “Strumenti negoziali per la risoluzione delle crisi di impresa: il concordato preventivo” di Alessandro Danovi, Silvia Giacomelli, Patrizia Riva e Angelo Rodano).

Sulla base dei riscontri disponibili, la composizione del passivo è rappresentata mediamente per ill 10% di spese prededucibili (professionisti e spese di procedura), per il 30% da crediti privilegiati e per il 60% da crediti chirografari. La percentuale di soddisfazione complessivamente proposta in media ai creditori chirografari liquidatori è del 30%, mentre il sostegno della finanza esterna è pari al 2,7% - appunto, un 10% circa di miglioramento – ma che viene apportato solamente nel 22% dei casi, mentre nel 78% non vi è sostegno esterno.

La prima ricostruzione proposta, che pare anche la più prudente e razionale, consente che il piano concordatario sia sostenuto con liquidità esterna di entità sufficientemente contenuta, in linea peraltro con le evidenze empiriche fornite dalla ricerca, e cercando di fare aumentare i casi in cui quel sostegno viene apportato (passando dall'attuale 22% ad una percentuale maggiore).

Se la finanza esterna dovesse invece essere tale da assicurare almeno un dieci per cento minimo di soddisfazione per i creditori chirografari, si tratterebbe di un incremento drastico, almeno tre o quattro volte superiore a quello che si può attualmente riscontrare e assolutamente non in linea con le evidenze empiriche, tale per cui, di quel venti per cento di soddisfazione minima dei creditori chirografari previsto dall'art. 84, ultimo comma, CCI, la metà potrebbe dover provenire da finanza esterna.

Anche più della metà, in realtà, considerando che nel passaggio da concordato liquidatorio a liquidazione giudiziale non è infrequente una ulteriore flessione dei valori degli attivi (anch'essa storicamente dimostrata) e dunque la conseguente incapienza di parte dei privilegi speciali potrebbe portare ad un incremento del passivo chirografario da soddisfare.

La prima tesi ha peraltro un piccolo punto debole, rappresentato dalla circostanza in cui nella liquidazione giudiziale non sia ipotizzabile alcun soddisfacimento per i creditori chirografari, e dunque non esista una base di applicazione della percentuale minima di incremento sopra evidenziata: il dieci per cento di zero è ancora zero, e dunque non sarebbe richiesta finanza esterna. Questa conclusione è tuttavia irrobustita ed in linea con lo spirito della norma riformata, la quale - tramite il vaglio di fattibilità economica a cura del tribunale in sede di ammissione ma anche fino all'omologa – garantirebbe comunque ai creditori che quel venti per cento minimo richiesto dall'art. 84, ultimo comma, CCI sia doppiamente fattibile (relazione di attestazione e vaglio del tribunale), e che dunque vi sia notevole convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale, che per il creditore chirografario non ha soddisfazione in quel caso specifico.

Qualora si ritenga che, comunque, debba dotarsi di finanza esterna anche un concordato liquidatorio che si raffronti ad una liquidazione giudiziale priva di attivo per i creditori chirografari, una soluzione pratica alternativa (coerente con la richiesta di un sostegno esterno esposta nella relazione governativa) potrebbe essere individuata nell'incrementare del dieci per cento la soddisfazione dei creditori chirografari prevista nel Piano concordatario (e non nella liquidazione giudiziale, ove è assente). In questo caso, sarebbe sempre presente la finanza esterna, ma in misura percentuale incrementale del dieci per cento rispetto alle risorse disponibili per i creditori chirografari a Piano.

Soggetti interessati

Una volta esaminate le problematiche di tipo oggettivo, pertinenti alle modalità di quantificazione della finanza esterna, restano da affrontare quelle soggettive: chi sono gli interessati ad arricchire il patrimonio del debitore?

Difficilmente dei generici terzi possono avere un interesse a perdere ricchezza personale a vantaggio di un soggetto esterno, mentre può accadere che vi siano soggetti i quali hanno interesse a che la procedura venga ammessa, votata ed omologata e che non si addivenga ad una liquidazione giudiziale.

Tali soggetti possono avere questo interesse o per ragioni oggettive, legate al perseguimento di un interesse imprenditoriale proprio, o per ragioni soggettive.

I primi potrebbero essere teoricamente rappresentati da potenziali acquirenti di elementi attivi (primariamente l'azienda, ma non solo) che sarebbero gravemente lesi dalla liquidazione giudiziale, e che dunque possono ritenere di voler contribuire una-tantum al patrimonio del debitore al fine esclusivo di consentire l'accesso alla procedura concordataria.

Una più attenta riflessione sulle dinamiche in oggetto induce tuttavia ad una notevole prudenza riguardo alla concreta possibilità che ciò accada: in un contesto di tipo liquidatorio, la procedura di vendita competitiva degli attivi non consente di legare la definitività dell'apporto patrimoniale al debitore tipica della finanza esterna all'esito della procedura competitiva. Non sarebbe cioè facile che un potenziale acquirente che ancora non si è aggiudicato l'azienda possa apportare in sede di ammissione della proposta la liquidità necessaria a rappresentare finanza esterna.

Forse maggiormente probabile potrebbe essere una finanza esterna a titolo di aumento di capitale sociale o di versamento a tale titolo, ma certamente ipotizzabile più in un contesto di continuità aziendale (diretta o indiretta) che non riesca a qualificarsi tale sotto il profilo giuridico. Uno dei concordati con continuità indiretta senza sufficienti lavoratori ovvero continuità diretta in cui non vi sia prevalenza di flussi.

Anche in questo (residuale) caso di intervento di terzi, l'utilità per i creditori della finanza esterna sarebbe comunque modesta, in quanto il terzo soggetto quando valuta l'investimento complessivo nell'azienda da acquisirsi mediante lo strumento concordatario non farà altro che sottrarre l'entità dell'incremento di patrimonio del debitore da apportarsi per consentire l'ammissione della proposta da quello che sarà il prezzo o la valorizzazione residua che intenderà mettere a disposizione dei creditori (chirografari), i quali dunque non riceveranno vantaggio alcuno, a conti fatti. I vantaggi oggettivi dei terzi, dunque, vengono preservati a danno dei creditori, utilitaristicamente e dunque comprensibilmente.

Finanza esterna ed azione di responsabilità

A livello probabilistico, resta dunque in gran parte prevalente la ragione legata ai vantaggi soggettivi degli apportanti: si tratta, cioè, della finanza esterna immessa a cura degli amministratori e/o sindaci uscenti, i quali intendono garantirsi con il successo della procedura concordataria anche la propria protezione dagli esiti molto peggiori derivanti dalla procedura di liquidazione giudiziale.

In base all'ordinamento attuale, la procedura di liquidazione giudiziale mette a disposizione del curatore fallimentare le azioni sociali di responsabilità che può fare valere ai danni di amministratori e sindaci uscenti. Queste azioni, di tipo risarcitorio, vanno poi a sovrapporsi a quelle di carattere penale che vengono solitamente innescate dai rilievi di tale natura contenuti nella relazione ex art. 33 l.fall. predisposta dal curatore, e che viene consegnata alla procura della Repubblica. Non è dunque raro che nei fallimenti si assista a transazioni poste in essere tra i precedenti organi societari e la curatela, volte a recuperare rapidamente attivi a favore dei creditori, e che portano l'indiretto risultato di tacitare la parte civile nei procedimenti penali eventualmente aperti.

La procedura di concordato preventivo, invece, prevede che le azioni risarcitoria (insieme a quelle revocatorie e recuperatorie) emergano dalla relazione ex art. 172 del commissario giudiziale, il quale tuttavia non ha alcun potere di esperirle – e, anzi, possa ben accadere che i soci di maggioranza, spesso anche amministratori o comunque vicini ad essi, deliberino la rinuncia all'azione sociale di responsabilità.

In presenza di rilevanti responsabilità, non è stato infrequente assistere a casi in cui i soci e/o amministratori e/o sindaci abbiano proposto immissione di finanza esterna ad integrazione del patrimonio sociale, in presenza di un piano in cui tale azione di responsabilità veniva sottoposta a transazione (ovvero transigevano in precedenza) sotto la condizione sospensiva dell'omologa. Vi è dunque talvolta una sorta di do ut des tra organi sociali e creditori: i primi “acquistano” le azioni di responsabilità tramite l'approvazione del concordato preventivo, ed i secondi vedono immessa una buona dose di liquidità che nel fallimento potrebbero incassare solo dopo una lunga azione legale.

La norma riformata del codice della crisi innova però decisamente riguardo alla gestione delle azioni di responsabilità nel concordato preventivo liquidatorio.

Da un lato, a livello soggettivo, in base al disposto dell'art. 114 CCI, il liquidatore giudiziale potrà essere nominato solamente dal tribunale, mentre l'attuale art. 182 l.fall. dispone che ciò accada solamente se il debitore tramite il concordato non ne abbia già disposto la nomina. Con la riforma, dunque, il tribunale assume il controllo assoluto della liquidazione nel concordato, e con essa anche delle azioni di responsabilità.

L'art. 115 CCI, infatti, dispone che il liquidatore giudiziale (nominato dal Tribunale) esercita oppure, se pendente, prosegue l'azione sociale di responsabilità, e che ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano sono inopponibili al liquidatore ed ai creditori sociali.

La gestione dell'azione di responsabilità risulta, dunque, completamente espropriata rispetto alle prerogative dell'assemblea dei soci (riguardo alla delibera ovvero alla rinuncia o alla transazione) e dell'organo amministrativo, ed entra a far parte a pieno titolo degli attivi della procedura, indipendentemente dal fatto che il debitore ne abbia tenuto conto a Piano e nella proposta.

Ne consegue che se l'azione di responsabilità da un lato è indisponibile e dall'altro fa già parte degli attivi, non si vede come e per quale ragione gli amministratori e/o i soci possano o vogliano integrare tali attivi rispetto alla liquidazione giudiziale, tramite un apporto di finanza esterna.

La piena sovrapponibilità sotto il profilo della responsabilità per gli organi sociali del concordato liquidatorio (e non di quello in continuità aziendale) e della liquidazione giudiziale rende a questo punto non più conveniente sostenere finanziariamente una procedura – il concordato – la quale non ha più alcuna capacità protettiva dei soggetti che apportano la finanza esterna.

Conclusioni

Se i soci/amministratori non avranno più una convenienza personale ad apportare finanza esterna per ragioni protettive, e se l'azienda è comunque destinata a cessare per effetto di una procedura di concordato liquidatorio, non si intravvedono reali ragioni per attendersi un contributo esterno da parte loro.

Questi soggetti potrebbero essere maggiormente propensi a sostenere finanziariamente uno scenario di concordato in continuità, sia essa diretta (anche con un partner esterno), sia essa indiretta (e dunque con un intervento di terzi acquirenti); in entrambi i casi i soci/amministratori potrebbero farsi direttamente carico di costi del personale eccedenti le logiche economiche per consentire che siano superate le soglie occupazionali minime previste dall'art. 84 CCI.

Il problema per i concordati liquidatori potrebbe essere, quindi, non tanto la quantificazione della finanza esterna – che pare risolvibile – quanto la stessa esistenza di uno stimolo a fornirla, che viene a mancare a causa della introduzione dell'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del liquidatore giudiziale.

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