Gli effetti dell’acquisto a titolo gratuito tra una newco e una società fallita aventi la stessa compagine sociale

02 Aprile 2019

La costituzione di una nuova società ad opera degli stessi soci che costituiscono la compagine sociale di una società preesistente, in profondo stato di crisi finanziaria, ed il successivo trasferimento a titolo gratuito verso la newco di una parte del patrimonio, e quindi anche di un ramo di azienda della società in crisi, poi dichiarata fallita, rientra nel novero del contratto di cessione tacita di azienda e quindi censurabile con l'azione revocatoria. Da ciò, derivando un grave pregiudizio per i creditori, sorge la necessità di un'immediata restituzione di quanto assegnato e di quanto era già posseduto dalla società fallita, al fine di reintegrare il patrimonio della massa fallimentare.
Massima

La costituzione di una nuova società ad opera degli stessi soci che costituiscono la compagine sociale di una società preesistente, in profondo stato di crisi finanziaria, ed il successivo trasferimento a titolo gratuito verso la newco di una parte del patrimonio, e quindi anche di un ramo di azienda della società in crisi, poi dichiarata fallita, rientra nel novero del contratto di cessione tacita di azienda e quindi censurabile con l'azione revocatoria. Da ciò, derivando un grave pregiudizio per i creditori, sorge la necessità di un'immediata restituzione di quanto assegnato e di quanto era già posseduto dalla società fallita, al fine di reintegrare il patrimonio della massa fallimentare.

Il caso

Con il provvedimento in oggetto il Tribunale di Napoli torna ad affrontare il tema della legittimità della costituzione di una new-co ad opera degli stessi soci di una società che versa in profondo stato di crisi finanziaria, e quindi in procinto di fallire, al fine di far acquistare a titolo gratuito ed in favore della società di nuova costituzione parte del patrimonio della società in crisi prima che intervenga la pronuncia di fallimento per quest'ultima.

La questione scaturisce da un'articolata strutturazione civilistica e societaria, che torna utile ripercorrere.

Il Tribunale di Napoli accoglie il ricorso depositato ex art. 700 c.p.c. proposto dal curatore di una società fallita, il quale, nel rispetto delle finalità del proprio ruolo, chiedeva che venisse annullato un tacito acquisto a titolo gratuito avente ad oggetto un ramo d'azienda, che sarebbe passato dalla titolarità di una società in evidente stato di crisi - difatti in seguito fallita - in favore di una società di nuova costituzione composta dagli stessi soci che componevano la compagine sociale della società cedente, nelle medesime proporzioni. La cui cessione sarebbe stata posta in essere al fine di diminuire il valore del compendio patrimoniale della società fallita, così comportando un grave pregiudizio in danno dei creditori con un'evidente frustrazione della normativa fallimentare.

Con il provvedimento in esame, il Tribunale di Napoli ordina l'immediato rilascio e la restituzione dell'azienda già posseduta dalla società fallita ed acquisita al patrimonio della new-co cessionaria, ritenendo che la fattispecie in oggetto sia riconducibile al dettato di cui agli artt. 64 e 66 l.fall., così garantendo l'integrità patrimoniale della massa fallimentare e la possibilità di rifarsi sulla stessa da parte dei creditori insinuati al passivo.

Cessione d'azienda: il dibattito dottrinale e giurisprudenziale

La pronuncia in commento, come detto, si inserisce nel contesto del dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo al contratto di cessione di azienda scaturente dalla cessione a titolo - di fatto gratuito – intercorrente tra una società cedente, in procinto di essere dichiarata fallita, e una cessionaria di nuova costituzione, nelle quali società risultano esservi i medesimi soci nelle medesime proporzioni.

Sul tema si è in precedenza pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 21481 del 2009, sancendo il principio di diritto secondo il quale: ”…il trasferimento di un'entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo, richiede la valutazione di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell'eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell'avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell'eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione…”.

In estrema sintesi, alla luce della richiamata definizione di cessione di azienda, pare utile coordinare tale assunto con la disciplina della revocatoria fallimentare ex art. 67 l.fall. ed il recente perimetro normativo delineato dal dettato dell'art. 2929-bis c.c. a norma del quale viene concessa la possibilità al creditore procedente far dichiarare l'inefficacia di qualsiasi atto posto in essere a titolo gratuito dal debitore, in un lasso temporale antecedente alla dichiarazione di fallimento. Motivo per il quale, nel caso di specie, l'acquisto di un'azienda senza che possa esserne comprovato in alcun modo il pagamento del corrispettivo è da intendersi effettuato a titolo gratuito, e pertanto, sul pacifico presupposto dell'insussistenza di un rapporto sinallagmatico nel caso concreto, il negozio posto in essere rientra nella previsione di cui all'art. 64 l.fall., che sancisce l'inopponibilità ai creditori di qualsiasi atto a titolo gratuito compiuto dal fallito nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento.

I Giudici di prime cure hanno dichiarato il principio di diritto secondo il quale un contratto con cui, in forma tacita ed a titolo gratuito, la società fallita cede un ramo della propria azienda, è censurabile a norma dell'art. 66 l.fall.; ciò sull'ulteriore principio di diritto di cui all'art. 2901 c.c. secondo il quale sono fatti salvi i diritti dei terzi acquistati a titolo oneroso e secondo buona fede e non anche quelli che si provi essere stati acquisiti a titolo gratuito.

La premessa da cui muove il ragionamento dei Giudici di Napoli poggia sul principio giuridico secondo il quale, una volta dichiarato il fallimento, il curatore, in virtù della inefficacia dei negozi sopra citati di cessione, conserva il diritto alla restituzione dei beni ceduti, con il conseguente assoggettamento all'esecuzione concorsuale, mediante la gestione e l'amministrazione dello stesso a norma dell'art. 31, comma 1, l.fall. e la relativa e conseguente vendita forzata ex artt. 104-ter ss. l. fall., al pari di tutti gli altri beni acquisiti alla massa attiva fallimentare.

Nonostante l'apparente assenza di un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica, tra le due differenti operazioni in questione ( la costituzione di una nuova società e il successivo spostamento di parte del patrimonio verso da new-co da parte di una società in stato di crisi finanziaria), è stata dichiarata l'illegittimità di tale struttura contrattuale, poiché in conflitto con l'interesse della procedura fallimentare.

In effetti, nel caso di negozi traslativi direttamente o indirettamente effettuati a titolo gratuito, finalizzati al depauperamento del patrimonio del fallito è già la l. fall., con l'azione revocatoria, a predisporre dei meccanismi atti a favorire l'interesse creditorio nel lasso temporale successivo alla dichiarazione di fallimento (i.e. liquidazione giudiziale). Inoltre nel perimetro della fattispecie de qua anche il codice di procedura civile detta delle norme quali l'art. 700 e l'art. 670 c.p.c. atti a cristallizzare la situazione patrimoniale del fallito per il periodo temporale nel quale il medesimo potrebbe operare atti in frode ai propri creditori.

In ultimo, relativamente al caso in esame, secondo il ragionamento dell'organo giudicante, non può non tenersi conto della ragione che ha portato il legislatore a dettare l'art. 2929-bis c.c., in forza del quale il creditore munito di titolo esecutivo può procedere anche nel caso in cui non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto, relativamente a tutti gli atti di costituzioni di vincoli di indisponibilità o di alienazione aventi ad oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuti a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito.

Nel caso all'esame del Tribunale di Napoli, infatti, il coordinamento tra i due negozi, posti in essere dagli stessi soci a mezzo delle due diverse società, è stato rinvenuto in una valutazione operata ex-post, effettuata partendo dai risultati raggiunti con i negozi posti in essere; così potendosi agevolmente superare la non contestualità degli stessi, e potendone, allo stesso tempo, evidenziare il pregnante carattere della gratuità che riconduce ai c.d. atti revocabili.

Intervenuto l'accoglimento del ricorso avverso il trasferimento, il tribunale di Napoli è stato quindi chiamato a interrogarsi sull'ulteriore possibilità di ricondurre la fattispecie della cessione tacita di azienda a quella dei trasferimenti gratuiti, nel caso in cui il contratto di compravendita risulti eseguito a titolo oneroso ma senza che di tale onerosità vi sia tracciabilità.

Osservazioni

La sentenza in commento, prendendo in esame la struttura negoziale di due atti apparentemente indipendenti, ne mette in risalto l'indiretta sinallagmaticità, offrendo, in tal modo, una ipotesi di collegamento tra il trasferimento di beni verso una new-co e la successiva dichiarazione di fallimento della società cedente.

Come detto in precedenza, il Tribunale di Napoli ha espressamente sancito che non può non esservi mancanza di pregiudizio per i creditori qualora ad opera degli stessi soggetti vi sia la costituzione di una nuova società di fatto sovrapponibile e gemella di un'altra già preesistente e già in profondo stato di crisi ed in seguito tra le stesse si pongano in essere atti traslativi di uno o più rami d'azienda.

Sarebbe inammissibile, secondo quanto sancito dalla sentenza in commento, che il curatore non possa vantare un'apprensione materiale su un complesso aziendale ceduto prima della dichiarazione di fallimento, dovendosi assicurare allo stesso, in virtù del suo ruolo di garante, la possibilità di assoggettare all'esecuzione concorsuale il medesimo complesso alienato, mediante una gestione e un'amministrazione da eseguirsi a norma dell'art. 31, comma 1, l. fall. e una conseguente vendita forzata ex artt. 104-ter ss. l fall., al pari di tutti gli altri beni già acquisiti alla massa attiva fallimentare.

In effetti, quanto alla coerenza del ragionamento sistematico operato dal Tribunale di Napoli, occorre evidenziare che l'azione di inefficacia e l'azione revocatoria esperita in sede fallimentare hanno la medesima finalità di recuperare il bene alla garanzia patrimoniale dei creditori concorrenti, e detto recupero è realizzabile esclusivamente attraverso una vera e propria riacquisizione della disponibilità del bene stesso, mediante la custodia e l'amministrazione in capo all'ufficio fallimentare.

In conclusione

Come può osservarsi, anche alla luce della pronuncia in commento, è più che mai attuale la difficoltà di coordinare la disciplina fallimentare con quella regolatrice delle operazioni societarie. Difatti, sono ancora numerosi e assai rilevanti gli aspetti problematici legati alla possibilità di sancire con chiarezza l'illegittimità di talune operazioni eseguite con il solo fine di pregiudicare l'interesse dei creditori in un periodo precedente rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario