Trasferimento d'azienda e divieto di licenziamento

Francesco Saverio Giordano
05 Aprile 2019

Il licenziamento causato dal trasferimento d'azienda di per sé non può qualificarsi come ipotesi di nullità ma, in conformità con la lettera della legge, da interpretarsi restrittivamente, una ipotesi di annullabilità per difetto di giustificato motivo.
Massima

Il licenziamento causato dal trasferimento d'azienda di per sé non può qualificarsi come ipotesi di nullità ma, in conformità con la lettera della legge, da interpretarsi restrittivamente, una ipotesi di annullabilità per difetto di giustificato motivo.

Il caso

Nel caso in questione la società ricorrente aveva richiesto la riforma della sentenza di secondo grado che aveva riconosciuto la nullità dell'atto di recesso per violazione del comma 4 dell'art. 2112, c.c., in cui la fusione aveva costituito di per sé motivo di licenziamento.

In riforma della pronuncia di Appello la Cassazione ha riconosciuto il licenziamento non come nullo ma annullabile per assenza di giustificato motivo, con applicazione del regime reintegratorio attenuato, previsto dal comma 7 dell'art. 18, stat. lav., per insussistenza del fatto posto a base del licenziamento.

Le questioni

La questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte concerne la qualificazione del licenziamento intimato a causa del trasferimento d'azienda. Secondo la Corte, differentemente da quanto statuito dalla Corte d'appello nel caso in questione, l'art. 2112, c.c., stabilisce soltanto che il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento non facendone in generale divieto tanto meno a pena di nullità.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in questione, La Corte di Cassazione chiarisce che il licenziamento intimato a causa del trasferimento d'azienda non possa essere tutelato dal comma 1 dell'art 18, stat. lav., non essendovi dubbio che l'art. 2112, c.c., non prevede affatto la nullità del recesso ma, in conformità con la lettera della legge, una ipotesi di annullabilità per difetto di giustificato motivo.

Osservazioni

La sentenza in commento offre importanti spunti di riflessione sulle possibili ricadute che le rilevanti modifiche della disciplina sanzionatoria del licenziamento possono avere in materia di trasferimento d'azienda e, segnatamente, sull'art. 2112, c.c., comma 4, e le conseguenze della sua violazione.

Come noto, difatti, l'intricato sistema sanzionatorio, previsto dal legislatore all'interno dell'art 18, l. n. 300 del 1970, ha comportato la coesistenza di diversi regimi che attualmente rendono complessa la fase applicativa della legge.

Appare opportuno sottolineare come, in precedenza, l'uniformità del regime sanzionatorio sotteso al vecchio art. 18, st. lav., rendeva sostanzialmente irrilevante quale vizio inficiasse l'atto di recesso, considerato l'automatismo che comportava in ogni caso di illegittimità del licenziamento la tutela reintegratoria.

Occorre evidenziare come l'art. 2112, c.c., comma 4, sembra discernere chiaramente due ipotesi di licenziamento: da una parte vieta laconicamente il caso di licenziamento basato sul solo trasferimento d'azienda; dall'altra sancisce la possibilità di un licenziamento per giustificato motivo, ma che sia giustificato con riferimento “esclusivo” alla struttura aziendale del cedente autonomamente considerata, in cui dunque l'evento trasferimento rimane estraneo al giudizio in ordine alla legittimità del recesso.

È pertanto necessario che il licenziamento, anche se in prossimità del trasferimento, trovi una propria giustificazione autonoma solamente nel “perimetro” aziendale del cedente.

Tale assunto emerge chiaramente dalla lettera della norma quando precisa che “Fermo restando la facoltà di recesso ai sensi della normativa del licenziamento, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento”.

Una violazione di tale disposto configura dunque una radicale disapplicazione di una norma ritenuta inderogabile dall'ordinamento volta a tutelare i lavoratori dalle conseguenze negative del trasferimento, come sancito dalla direttiva 2001/23/CE.

Sul punto appare opportuno sottolineare come non sia consentito agli Stati prevedere una disciplina che risulti sfavorevole ai lavoratori rispetto a quanto sancito dalla stessa direttiva che, come noto, impone il principio della continuità del rapporto nel caso del trasferimento d'azienda.

D'altronde la natura inderogabile della norma si evince chiaramente dalla stessa disciplina in deroga dettata dal legislatore per i casi di trasferimenti d'azienda in crisi, che notoriamente consente di inglobare all'interno della causale del licenziamento l'evento trasferimento.

Inoltre, qualora si ritenesse solamente ingiustificato il licenziamento causato dal trasferimento, come sembra adombrare la Corte di Cassazione nel caso in questione, si potrebbe assistere ad una sovrapposizione tra le due fattispecie contenute all'interno del comma 4 dell'art. 2112, c.c., con conseguente piena assimilazione sul piano sanzionatorio.

In altri termini, si finirebbe per confondere due tipologie di licenziamento che il legislatore sembra voler mantenere nettamente distinte.

D'altronde, come osservato, sul piano dei presupposti che consentono al datore di lavoro cedente di recedere dal rapporto di lavoro, possono assumere rilievo esclusivamente ragioni autonome e afferenti soltanto alla sua realtà aziendale.

Le due fattispecie di licenziamento sancite dal comma 4 dell'art. 2112, c.c., viaggiano dunque parallelamente e non si intersecano.

Non è quindi consentito alcuna connessione del licenziamento con il trasferimento d'azienda neanche al fine di agevolare lo stesso.

Giova evidenziare inoltre come la riconduzione del licenziamento intimato in ragione del trasferimento in sé nell'area della ingiustificatezza potrebbe determinare in alcuni casi l'effetto della mancata continuazione del rapporto, in aperto contrasto con il principio sancito dal comma 1 dell'art 2112, c.c., vanificando, come già osservato, le tutele approntate dalla direttiva 23/2000/CE nei confronti dei lavoratori.

Tale esito appare difatti evidente per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti di cui al d.lgs. n. 23 del 2015, in cui licenziamenti ingiustificati per motivo oggettivo comporterebbero sempre la cessazione del rapporto con conseguenze meramente indennitarie. Difatti il regime rentegratorio troverebbe applicazione esclusivamente nei casi di nullità espressa e sarebbe inoltre dubbio la riconducibilità dell'art. 2112, comma 4, a tale ipotesi.

Così facendo, la Corte di cassazione appiattisce le conseguenze sanzionatorie ed assimila forzatamente le due casistiche previste dal comma 4 dell'art. 2112, c.c.

In altri termini, il licenziamento causato dal trasferimento sarebbe ricondotto esclusivamente nell'alveo della ingiustificatezza e determinerebbe il rischio di mancata conservazione del posto per i lavoratori assunti successivamente al 7 marzo 2015.

Sarebbe forse opportuno un ripensamento sul punto in modo da considerare il licenziamento causato dal trasferimento in sé, prima ancora che ingiustificato, nullo per violazione di norma imperativa di derivazione unieuropea, così come sancito precedentemente dalla stessa Corte d'appello che, nel caso in oggetto, aveva fatto applicazione del comma 1 dell'art. 18, st. lav.

Minimi riferimenti bibliografici

  • G. Santoro-Passarelli, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d'impresa e di articolazione funzionalmente autonoma, Giappichelli, 2014;
  • A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all'art 18 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, 416;
  • G. Pacchiana Parravicini, Le complesse vicende del contratto di lavoro nel trasferimento d'azienda, in Dir. lav. merc., 2017, 429.

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