Le Sezioni Unite intervengono sulle modalità per la riproposizione in appello delle domande e delle eccezioni non accolte
08 Aprile 2019
Massima
Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353/1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione – che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae – nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale; art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado. Il caso
In un giudizio di risarcimento danni instaurato a seguito di un incidente sciistico, i convenuti spiegavano diverse chiamate in causa di terzo al fine di essere manlevati in caso di condanna. Rigettata la domanda dell'attore, quest'ultimo interponeva appello avverso la sentenza. Gli appellati, originari convenuti nel giudizio di primo grado, riproponevano in sede di costituzione in appello le domande di manleva rimaste assorbite. La Corte di appello, in accoglimento del gravame, riformava la decisione di primo grado e per lo effetto condannava gli originari attori al risarcimento danni, contestualmente dichiarando inammissibile l'impugnazione incidentale proposta dagli appellati perché proposta con comparsa di costituzione depositata oltre il termine di cui all'art. 343 c.p.c.. Proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, la Terza Sezione della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria n. 29499 del 7 dicembre 2017, rimetteva gli atti al Primo Presidente affinché la questione fosse sottoposta alle Sezioni Unite. La questione
La Terza Sezione, con la citata ordinanza, ha posto alle Sezioni Unite la seguente questione: se, relativamente al rito operante dopo le modifiche apportate dalla riforma del 1995, la riproposizione delle domande non accolte da parte dell'appellato vittorioso ai sensi dell'art. 346 c.p.c. possa essere svolta sino all'udienza di precisazione delle conclusioni o se invece debba essere effettuata in sede di costituzione in giudizio, almeno 20 giorni prima dell'udienza di trattazione. Le soluzioni giuridiche
Di fronte alla questione sollevata dalla Terza Sezione, le Sezioni Unite, ribadito che la controversia oggetto del ricorso è regolata ratione temporis dalle norme introdotte con la riforma del d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito dalla l. 20 dicembre 1995 n. 534, afferma che, a causa del rinvio che l'art. 359 c.p.c. opera alla disciplina del giudizio di primo grado per quanto non espressamente regolato in appello, la riproposizione da parte dell'appellato totalmente vittorioso delle domande e delle eccezioni non accolte deve essere effettuata nel primo atto difensivo. Viene perciò superato il precedente orientamento secondo cui la riproposizione ex art. 346 c.p.c. poteva essere effettuata dall'appellato in ogni momento del giudizio di secondo grado: secondo la Corte, infatti, quest'indirizzo non può essere seguito, in quanto non in linea con la successiva evoluzione legislativa in tema di irrigidimento delle barriere preclusive nell'ambito del giudizio di primo grado che, per effetto dell'art. 359 c.p.c., non può non riflettersi anche nell'ambito del giudizio di appello. Peraltro, a favore della tesi più restrittiva, vi è anche la considerazione che ammettere la facoltà di riproposizione anche in sede di precisazione delle conclusioni dà luogo ad una disparità di trattamento tra appellato impugnante incidentale e appellato totalmente vittorioso, oltre che un vulnus al diritto di difesa dello stesso appellante, il quale vedrebbe impedita - a causa dello stato avanzato del processo - la possibilità di replicare alle difese svolte dall'appellato. Ferma la necessità che la riproposizione da parte dell'appellato totalmente vittorioso debba avvenire all'atto della costituzione in giudizio, le Sezioni Unite prendono posizione sull'eventualità che la riproposizione delle domande non accolta sia stata effettuata alla prima udienza dall'appellato che in quella sede si sia costituito (ipotesi alla quale può equipararsi anche quella di costituzione oltre il termine di cui all'art. 347). Il Supremo Collegio, premesso che la mancata riproposizione di una domanda non esaminata in primo grado non dà luogo a giudicato ma ad una preclusione processuale, osserva come manchi una previsione espressa che correli al mancato deposito in cancelleria della comparsa di risposta la decadenza dalla possibilità di riproporre le domande e le eccezioni rimaste assorbite, così come previsto dall'art. 343 c.p.c. per l'appello incidentale; inoltre, non è possibile assimilare l'attività di riproposizione a quella di formulazione di domande ed eccezioni nuove di cui all'art. 345 c.p.c., consistendo la prima, a differenza della seconda, in una mera difesa. Partendo da queste premesse, la decisione in commento esclude che la riproposizione debba avvenire nei venti giorni antecedenti l'udienza fissata nell'atto introduttivo dell'appello; né a tal fine, può invocarsi l'interesse pubblico al corretto e celere svolgimento del processo (il c.d. principio del giusto processo), «in quanto la parte destinataria della riproposizione di domande e di eccezioni assorbite in primo grado avrà la possibilità di argomentare l'infondatezza delle domande o delle eccezioni - peraltro sulla base di fatti già ritualmente allegati in causa - fino alla comparsa conclusionale».
Osservazioni
Secondo l'orientamento tradizionalmente invalso presso la giurisprudenza di legittimità, l'attività di riproposizione delle domande e delle eccezioni era permessa fino all'udienza di precisazione delle conclusioni (Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1991, n. 9231; Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9080; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15427). Detto indirizzo, nato sotto il vigore del codice del 1940-1950 e legittimato dalla morfologia di un giudizio d'appello sostanzialmente privo di preclusioni, era stato tralaticiamente ripetuto in numerose decisioni di legittimità, nonostante il sistema preclusivo introdotto con la riforma del 1990-1995 per il giudizio di primo grado, per cui l'udienza di precisazione delle conclusioni rimaneva il termine ultimo per riproporre in modo chiaro e preciso le domande e le eccezioni ritenute assorbite. A base di quest'indirizzo, militavano una serie di argomentazioni. In primo luogo, il rinvio contenuto nell'art. 347 c.p.c. si riferiva solo alle forme e ai termini della costituzione, quindi solo all'art. 166 c.p.c. e non anche alle decadenze imposte dall'art. 167 e dall'allora vigente art. 180 c.p.c. In secondo luogo, si faceva leva sull'intentio del legislatore della riforma del 1995: costui, avendo previsto un sistema preclusivo rigoroso per il giudizio di primo grado, implicitamente aveva voluto evitare una modifica anche del secondo. Tale intenzione, peraltro, veniva considerata atta a giustificare la disparità di trattamento tra l'appellante, tenuto a sottostare al termine di presentazione dell'atto introduttivo per l'esposizione delle sue difese e l'appellato, abilitato a sollevare questioni fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. La dottrina (Chiarloni, Appello, in EGT, Roma, 1995, pp. 14 e ss.; Bianchi, I limiti oggettivi dell'appello civile, Padova, 2000, pp. 216 e ss.) aveva aspramente criticato quest'orientamento, affermando al contrario la necessità di includere la riproposizione di domande ex art. 346 c.p.c. nelle attività difensive chieste a pena di decadenza nella comparsa di risposta. Per questi Autori, forte è la disparità di trattamento a sfavore dell'appellante, al quale, infatti, per questa via viene inibito di proporre nuove censure, diverse da quelle specificate nell'atto di appello, stante il divieto di motivi aggiunti. Secondo questo indirizzo, in particolare, sarebbe necessario adottare uniforme rigore nei riguardi di entrambe le parti, facendo cadere l'onere della riproposizione ex art. 346 c.p.c. in coincidenza con il deposito della comparsa di risposta in appello o eventualmente anche all'udienza, secondo quanto prevede l'art. 171, comma 2, c.p.c., applicabile anche in appello mercé il generale rinvio alle norme vigenti per il tribunale in prime cure, quale operato dall'art. 359 c.p.c.. Queste considerazioni, invero assai persuasive, hanno spinto parte della giurisprudenza a mutare orientamento sul punto e a richiedere l'intervento delle Sezioni Unite: a mente del più recente orientamento, portato aventi da Cass. n. 29499/2017, l'indirizzo più liberale poteva giustificarsi sotto la vigenza di un modello processuale in cui non esistevano preclusioni, con la conseguenza che non può più valere in relazione ad un sistema processuale, qual è quello attualmente vigente rigorosamente imperniato su rigide barriere preclusive. L'ordinanza di rimessione, invero, distingue tra domande ed eccezioni non accolte; in particolare, riconosce che il revirement in senso restrittivo ha senso solo con riferimento alle domande, ma non anche alle eccezioni non accolte. Rileva la Corte che riscontrare per esse «una preclusione alla loro riproposizione in appello al momento scandito per la costituzione tempestiva dell'appellato avrebbe significato ravvisare per il secondo grado un regime ancor più rigoroso che per il primo». Invece per quanto riguarda le domande, sia riconvenzionali che nei confronti di terzi, il discorso sarebbe diverso: l'esigenza di delimitare il thema decidendum prima dell'udienza di comparizione era già avvertita dal legislatore del 1995 e, pertanto, esse sarebbero riproponibili, a pena di presunzione di rinuncia, solo con la comparsa di risposta, depositata tempestivamente nei venti giorni anteriori alla prima udienza di comparizione. In altre parole, propone la Terza Sezione, per le eccezioni, che non determinano un ampliamento oggettivo e/o soggettivo del thema decidendum, il termine della mera riproposizione sarebbe da riscontrare nell'udienza di precisazione delle conclusioni, mentre per le domande andrebbe ravvisato nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. In questo quadro, è intervenuta la Seconda Sezione (Cass. civ., sez. II, ord., 16 febbraio 2018, n. 3843), la quale, in aperta controtendenza rispetto all'orientamento che poteva ormai dirsi consolidato, ha ritenuto sufficiente, ai fini della devoluzione innanzi al giudice superiore delle domande ed eccezioni non accolte, un generico richiamo a tutte le deduzioni, eccezioni e richieste spiegate nel corso del giudizio di primo grado (in tal modo, implicitamente consentendo lo svolgimento dell'attività di riproposizione fino alla udienza di precisazione delle conclusioni). Di fronte al quadro così delineato, le Sezioni Unite affermano, in chiaro contrasto con la decisione appena riportata, che se è vero che la riproposizione può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare in modo inequivoco la chiara e precisa volontà della parte di sottoporre, alla cognitio del giudice ad quem, la questione (assorbita), è del pari inconfutabile che la riproposizione venga effettuata in modo specifico, non ritenendo dunque sufficiente un generico richiamo alle deduzioni e conclusioni di primo grado (v. p. 12 della decisione). L'orientamento appena richiamato, ancorché più rigido, sembra tuttavia di gran lunga preferibile, poiché la precisa delimitazione dei materialia causae devoluti al giudice dell'impugnazione risponde all'esigenza di garantire la corretta instaurazione del contraddittorio in fase di gravame e di riflesso il diritto di difesa della parte appellante. Ora, affinché tali principi trovino effettiva realizzazione, sembra indispensabile propendere per un inevitabile collegamento, sul piano temporale, della facoltà di cui all'art. 346 c.p.c. alla costituzione in appello. In tal senso si è mossa la decisione in commento, con una soluzione tuttavia non perfettamente in linea con quella proposta dall'ordinanza di rimessione: infatti, senza distinguere tra domande ed eccezioni, le Sezioni Unite hanno sancito il principio secondo cui l'appellato, totalmente vittorioso, ha l'onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza. La soluzione proposta, se in linea generale, appare in linea con l'evoluzione normativa delle ultime riforme che hanno toccato il processo di primo grado, suscita qualche perplessità. Le Sezioni Unite, infatti, hanno peccato di eccessiva timidezza, scegliendo di circoscrivere espressamente la soluzione appena riportata solo agli gli appelli introdotti prima della novella del 2005 (l. n. 80/2005), senza prendere posizione sugli appelli proposti successivamente alla sua entrata in vigore; meglio invece sarebbe stato generalizzare il principio affermato ed estenderlo anche agli appelli soggetti al rito riformato nel 2005. Soprattutto, mi pare che la decisione in commento, pur partendo dal commendevole tentativo di semplificare e chiarire la controversa disciplina della riproposizione delle domande e delle eccezioni, abbia fornito una soluzione eccessivamente penalizzante per l'appellato vittorioso, mentre sarebbe stato preferibile, anche dal punto di vista sistematico, accogliere il suggerimento fornito dalla Terza Sezione, la quale, con il distinguere tra domande ed eccezioni, aveva offerto una soluzione maggiormente in linea con i principi in tema di giudicato e di preclusione.
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