Sul licenziamento a seguito di astensione dal lavoro qualificata dal dipendente come eccezione d'inadempimento datoriale agli obblighi di sicurezza

La Redazione
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08 Aprile 2019

Ove accertato l'inadempimento da parte del datore di lavoro con riferimento all'inosservanza delle misure di sicurezza, una giustificazione del comportamento inadempiente del lavoratore, deve necessariamente passare...

Il caso. Con ricorso al Tribunale di Genova un dipendente di Trenitalia S.p.A. con mansioni di macchinista, aveva impugnato i licenziamenti disciplinari - il primo, con preavviso, e il secondo, senza preavviso - intimatigli dalla società a fronte del suo rifiuto di condurre il treno senza la presenza in cabina di un secondo agente abilitato alla condotta.

Il Tribunale aveva annullato i licenziamenti ritenendo che il rifiuto della prestazione fosse giustificato dal dedotto inadempimento da parte di Trenitalia S.p.A. rispetto alle obbligazioni di sicurezza (art. 2087, c.c.) e riteneva fondata la prospettazione del ricorrente secondo cui il suddetto rifiuto di rendere la prestazione configurasse una legittima eccezione di inadempimento (art. 1460, c.c.).

La decisione era stata confermata in sede di opposizione.

Il reclamo proposto dalla società era stato respinto dalla Corte d'appello di Genova.

La Corte territoriale aveva escluso che il giudice dell'opposizione, esorbitando dalle prerogative della funzione giurisdizionale, avesse imposto alla società l'adozione di una determinata posizione di lavoro.

Aveva inoltre condiviso l'assunto circa la configurabilità del rifiuto alla stregua di un'eccezione d'inadempimento ex art. 1460, c.c., e richiamato la sentenza della Corte di cassazione n. 11427 del 2000 sulla peculiare funzione dinamica dell'art. 2087, c.c.

Il giudice aveva inoltre richiamato, quanto alla possibilità per il lavoratore di avvalersi dell'eccezione d'inadempimento nei confronti del datore di lavoro che non rispetti le prescrizioni di cui all'art. 2087, c.c., Cass. n. 11664 del 2006 e Cass. n. 14375 del 2012, rilevando che il giudice del lavoro, ai fini della decisione sulla legittimità di un licenziamento, ben può valutare la salubrità dell'ambiente lavorativo e l'idoneità delle misure antinfortunistiche apprestate dal lavoratore senza che ciò configuri una illecita intromissione nei poteri organizzativi spettanti al medesimo.

Quanto alle conseguenze della declaratoria d'illegittimità dell'adottato provvedimento espulsivo, aveva ritenuto che la sussistenza di una esimente, neutralizzando l'illiceità dell'addebito disciplinare, integrasse l'insussistenza del fatto e quindi comportasse la reintegra nel posto di lavoro.

Avverso la sentenza della Corte territoriale Trenitalia S.p.A. aveva proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.

Sull'obbligo di sicurezza e le misure cd. “innominate”. In tema di obbligo di sicurezza nel luogo di lavoro, le misure innominate continuano a dover essere ricavate dai riferimenti di massima di cui all'art. 2087, c.c., in relazione alla tutela della salute dei lavoratori genericamente intesa che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro in base alla particolarità dell'attività lavorativa, all'esperienza ed alla tecnica.

Poiché, come più volte affermato da questa Corte di legittimità, “da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno”, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro tutte le volte che il danno si sia comunque verificato (o possa verificarsi), occorre pur sempre che l'evento (o il pericolo di verificarsi dell'evento) sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento.

In sostanza, il datore di lavoro non è tenuto ad adottare ogni precauzione astrattamente possibile ma quelle che in concreto, in relazione alle caratteristiche dell'attività, alle mansioni del lavoratore, alle condizioni dell'ambiente esterno e di quello di lavoro, appaiano idonee ad evitare eventi prevedibili.

Sul licenziamento a seguito di astensione dal lavoro qualificata dal dipendente come eccezione d'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza. Ove accertato l'inadempimento da parte del datore di lavoro con riferimento all'inosservanza delle misure di sicurezza, una giustificazione del comportamento inadempiente del lavoratore, deve necessariamente passare attraverso una comparazione tra il comportamento datoriale, cronologicamente anteriore, ed il successivo rifiuto della prestazione da rendersi in un contesto di pericolosità ambientale.

Gli ermellini ricordano l'insegnamento giurisprudenziale della Corte Suprema secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra il contratto di lavoro, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375, c.c., e ai sensi dello stesso cpv. dell'art. 1460, c.c., affinché l'eccezione di inadempimento sia conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all'intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali (v. Cass. 4 novembre 2003, n. 16530; Cass. 7 novembre 2005, n. 21479; Cass. 16 maggio 2006, n. 11430; Cass. 4 febbraio 2009, n. 2729).

Tale principio è stato ritenuto applicabile anche nell'ipotesi che l'inadempimento del lavoratore trovi giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell'integrità psicofisica del prestatore (v. Cass. n. 21479 del 2005, cit.; Cass. 7 maggio 2013, n. 10553; Cass. 1 marzo 2012, n. 3187; Cass. 7 maggio 2013, n. 10553; Cass. 26 agosto 2013, n. 19573; Cass. 1 aprile 2015, n. 6631).

Per i Giudici di legittimità, anche in tale ipotesi il requisito della buona fede previsto dall'art. 1460, c.c., per la proposizione dell'eccezione inadempimenti non est adimplendum sussiste quando nella comparazione tra inadempimento e prestazione rifiutata, il rifiuto sia stato determinato non solo da un inadempimento grave, ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l'art. 1175, c.c., impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite.