Il diritto di controllo dei soci di s.r.l.: una panoramica giurisprudenziale

09 Aprile 2019

Uno dei problemi che si pongono con maggior frequenza nella concreta operatività delle società a responsabilità limitata - come testimonia l'elevato numero di pronunce giurisprudenziali rese (per lo più in sede cautelare) sull'argomento - è senza dubbio quello dell'individuazione di presupposti, limiti e modalità di esercizio del diritto di controllo sulla gestione riconosciuto a ciascun socio non amministratore dall'art. 2476, comma 2, c.c.
Premessa

Uno dei problemi che si pongono con maggior frequenza nella concreta operatività delle società a responsabilità limitata - come testimonia l'elevato numero di pronunce giurisprudenziali rese (per lo più in sede cautelare) sull'argomento - è senza dubbio quello dell'individuazione di presupposti, limiti e modalità di esercizio del diritto di controllo sulla gestione riconosciuto a ciascun socio non amministratore dall'art. 2476, comma 2, c.c.

Come è noto, tale norma attribuisce ai soci non partecipanti all'amministrazione della s.r.l. il “diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione”: l'ampia casistica concernente l'interpretazione e l'applicazione di tale norma evidenzia il non semplice compito cui sono chiamati i Tribunali che vengono regolarmente investiti della questione, ossia quello di trovare, di volta in volta, il più corretto bilanciamento tra interessi diversi (spesso contrapposti) nonché di declinare nelle più svariate fattispecie concrete princìpi pur generalmente affermati e condivisi in via generale.

I numerosi provvedimenti che si sono susseguiti anche soltanto negli ultimi anni, infatti, fanno emergere il consolidamento di determinati risultati interpretativi, da una parte, ma anche, per altro verso, residue oscillazioni che lasciano spazio sufficiente per qualche riflessione e inducono a chiedersi, al contempo, se l'assetto complessivo dell'istituto in esame, come delineatosi sino ad oggi soprattutto grazie al diritto vivente, potrà subire qualche revisione o ripensamento alla luce delle nuove norme introdotte dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d. lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019), che hanno fra l'altro esteso alla s.r.l. l'applicazione dell'art. 2409 c.c.

Nel presente contributo si cercherà pertanto di mettere in luce gli attuali orientamenti giurisprudenziali con riguardo ai principali aspetti problematici dell'istituto stesso.

La legittimazione all'esercizio del diritto e gli interessi tutelati

Il profilo della legittimazione all'esercizio del diritto sancito dall'art. 2476, comma 2, c.c., è probabilmente quello che presenta il minor tasso di problematicità: come la giurisprudenza ha più volte affermato, infatti, la facoltà dell'accesso alle notizie ed ai documenti attinenti all'amministrazione della società compete a ciascun socio in quanto tale, a prescindere dalla sua quota di partecipazione al capitale ed anche dalla circostanza che egli abbia ricoperto, in passato, la carica di amministratore (su quest'ultimo punto, cfr. ad esempio, per tutte, Trib. Roma, 20 luglio 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it, pronuncia nella quale si è precisato che è parimenti irrilevante il fatto che il socio non abbia precedentemente avanzato riserve o contestazioni sulla gestione della società o sui bilanci di esercizio; è stata però esclusa la legittimazione del procuratore generale della s.r.l., proprio in quanto ritenuto non estraneo all'amministrazione sociale: Trib. Milano, 15 giugno 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it). Non solo: con un recente arresto, la Suprema Corte ha rimosso ogni possibile dubbio circa il fatto che analoga prerogativa spetti al socio che sia al contempo amministratore, ritenendo in particolare “evidente che il diritto amministrativo, in tal modo concesso al socio di società a responsabilità limitata, dà per scontata l'appartenenza in iure a chi amministra la società di simili, ed ancor più intensi, diritti, in quanto diretti artefici di quegli affari, nonché redattori e custodi di quei libri e documenti”, l'accesso ai quali è consentito ad ogni socio” (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2038, in questo portale, con nota di Caruso, La responsabilità omissiva dei soci amministratori di s.r.l.).

In particolare, costituisce principio ricevuto che la prerogativa in esame si configuri quale diritto potestativo (Trib. Milano, 13 dicembre 2017; Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit.), per il cui esercizio non occorre una specifica motivazione da parte del socio o la dimostrazione della sussistenza di un suo particolare interesse concreto all'acquisizione di notizie e/o all'esame della documentazione sociale (fra le tante, Trib. Milano, 13 aprile 2018; Trib. Milano, 27 febbraio 2017).

Coerentemente a tali premesse, è altresì ormai pacifico che il rifiuto della società a consentire al socio l'accesso alle informazioni e ai documenti da lui richiesti possa dare luogo all'instaurazione di un procedimento cautelare in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c.., da parte del socio intenzionato ad ottenere la tutela in via giudiziale delle proprie prerogative (al riguardo, si è anche chiarito che, in considerazione della natura dell'istituto di cui all'art. 700 c.p.c., non occorre la successiva promozione di una causa di merito): è proprio all'esito di procedimenti cautelari di tal genere che si è originata la vasta casistica cui si è già fatto cenno, nell'ambito della quale sono state affrontate le problematiche di cui subito si dirà.

Va anche segnalato che, sempre nell'ambito e ai fini della tutela cautelare, le pronunce sin qui susseguitesi si sono espresse pressoché unanimemente nel senso che, a fronte di un rifiuto della società a mostrare al socio i documenti inerenti all'amministrazione, il debba considerarsi in re ipsa, in quanto il differimento all'esito del giudizio di merito della verifica della gestione sociale, da parte del socio, “verrebbe irreparabilmente a frustrare l'attualità del controllo medio tempore” (Trib. Milano, 13 aprile 2018; Trib. Milano, 25 settembre 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 27 febbraio 2017); del resto, il deficit di informazioni porrebbe per ciò stesso il socio nella condizione di non sapere quali ulteriori pericoli di danno potrebbero profilarsi per la propria posizione e/o per la società (sul punto, Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit.).

Un'ipotesi peculiare potrebbe essere, tuttavia, quella del socio in procinto di alienare la propria quota di partecipazione nella società: se la semplice “volontà di cessione della partecipazione” potrebbe non essere idonea ad escludere la possibilità di esercizio del diritto di controllo (come ritenuto da Trib. Roma, 20 luglio 2017), in quanto il socio conserverebbe interesse a verificare il valore della propria quota in rapporto all'intero patrimonio sociale, a diversa conclusione potrebbe giungersi nel caso di opzione (put o call) già esercitata o di contratto preliminare di cessione di quote già stipulato (eventi, questi, che ovviamente manifestano il raggiungimento di uno stadio più avanzato nell'ambito del procedimento di dismissione della partecipazione). Altra ipotesi di recente presa in esame dalla giurisprudenza di merito è quella del socio che abbia esercitato il diritto di recesso, il quale perde anche la legittimazione ad azionare lo strumento di cui all'art. 2476, comma 2, a partire dal momento in cui la manifestazione della sua volontà di recedere (avente carattere recettizio) sia portata a conoscenza della società (Trib. Roma, 3 agosto 2016).

I limiti all'esercizio del diritto di controllo

Nel quadro descritto, la giurisprudenza ha avuto cura di individuare i limiti dell'esercizio del diritto di controllo: lo ha fatto, tuttavia, in termini alquanto ampi, affermando cioè che la richiesta di notizie e l'accesso alla documentazione sociale debbano ritenersi illegittimi (soltanto) se animati da uno scopo abusivo, ossia dall'intento del socio di arrecare danno alla società e all'interesse sociale o comunque di determinare un ostacolo all'operatività sociale (Trib. Roma, 20 luglio 2017; Trib. Torino, 11 maggio 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino, 3 luglio 2015, ove si è altresì chiarito che la natura abusiva della richiesta - in quanto oggetto di una eccezione di dolo - debba essere dimostrata dalla società tramite i propri amministratori); in qualche caso, peraltro, si è precisato che solo la contrarietà all'interesse dell'ente (e non anche, in ipotesi, degli altri soci) “potrebbe giustificare la pretesa della società di imporre limiti al socio richiedente” (così Trib. Milano, 14 marzo 2018).

In senso forse un po' più restrittivo, è stato a volte affermato che il diritto di informazione e consultazione non debba essere “preordinato a soddisfare finalità extrasociali” (Trib. Venezia, 20 giugno 2018): da questo angolo visuale, per escludere la legittimità della pretesa del socio non sarebbe quindi necessaria la dimostrazione del suo intento emulativo, bastando viceversa che egli abbia obiettivi differenti da quello del semplice controllo dell'andamento dell'attività sociale e della gestione.

Evidente è, nell'approccio generalmente adottato in giurisprudenza, la preoccupazione di evitare che l'individuazione di confini più stringenti possa - in contrasto con la voluntas legis e con la ratio della norma - offrire il destro agli amministratori delle s.r.l. per opporsi troppo agevolmente all'utilizzo di uno strumento la cui finalità precipua è proprio quella di consentire (ai soci estranei alla gestione) un controllo dell'operato di quegli stessi amministratori: tanto, anche in considerazione del fatto che non era sino ad oggi prevista (ma sul punto si tornerà infra) l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l. In altri termini, può scorgersi nell'applicazione giurisprudenziale dell'art. 2476, comma 2, c.c. l'idea - talvolta, anzi, esplicitata (cfr. Trib. Torino, 21 maggio 2015: “Tale diritto svolge nel sistema normativo delle società a responsabilità limitata derivante dalla riforma del 2003 una precisa funzione compensativa dell'eliminazione del controllo pubblico, precedentemente previsto attraverso l'istituto di cui all'art. 2409 c.c.”) - che un'estensione decisamente ampia (con il solo limite dell'abuso del diritto, appunto) del campo di applicazione della norma sul diritto di controllo dei soci di s.r.l. si giustifichi proprio in ragione dell'impossibilità per costoro di rivolgersi al tribunale per denunciare le gravi irregolarità della gestione ai sensi dell'art. 2409 c.c.

D'altro canto, è agevole osservare che l'atto emulativo del socio (unico caso che, nella prospettiva delineata, legittimerebbe la società a rifiutare al socio le notizie o i documenti richiesti) costituisce un caso estremamente raro, se non addirittura di scuola: se non altro, il socio intenzionato a danneggiare la società finirebbe per danneggiare (sia pure indirettamente) anche se stesso; forse, una simile preoccupazione non viene nutrita dal socio titolare di una partecipazione sociale particolarmente esigua, il che però potrebbe suggerire - soprattutto in una prospettiva de iure condendo - l'introduzione di una soglia minima di partecipazione al capitale per l'esercizio del diritto di controllo (analogamente a quanto accade - ora anche nella s.r.l., come si dirà - per l'istituto di cui all'art. 2409 c.c.).

È stato anzi chiarito che in simili frangenti – qualora, cioè, si riscontri l'animus nocendi del socio - vi sarebbe un obbligo (e non soltanto un diritto) degli amministratori della società di rifiutare al socio l'accesso alle informazioni e ai documenti sociali, atteso che, altrimenti, essi andrebbero incontro a responsabilità nei confronti della società stessa (Trib. Roma, 20 luglio 2017).

Salva dunque l'“ipotesi limite” (assai difficilmente riscontrabile in concreto) del socio che abbia l'obiettivo di arrecare un pregiudizio alla società, è soprattutto con riferimento a due diversi profili che la giurisprudenza si è posta ed ha affrontato il tema dei possibili confini del diritto di controllo del socio (e, correlativamente, delle condizioni di legittimità dell'eventuale rifiuto da parte della società): si tratta dell'esigenza di riservatezza della società, anche in relazione all'attività concorrenziale potenzialmente esercitabile dal socio, nonché (sebbene con minor frequenza) dell'eventuale obiettivo del socio di promuovere iniziative giudiziarie nei confronti della stessa società o dei suoi amministratori.

L'esigenza di riservatezza della società e l'attività potenzialmente concorrenziale esercitata dal socio

In molti casi, i tribunali hanno dovuto dirimere la questione concernente la necessità, fatta valere dalla società resistente nel procedimento cautelare promosso dal socio, di mantenere riservati determinati dati o informazioni, in particolare a fronte del pericolo di esercizio, da parte del socio stesso, di un'attività d'impresa avente carattere concorrenziale con quella svolta dalla società.

È un aspetto, questo, con riguardo al quale la giurisprudenza, pur continuando ad assumere una posizione rigorosa, ha mostrato qualche apertura nella direzione delle esigenze di tutela della società: lo ha fatto, tuttavia, con accenti e sfumature non sempre coincidenti, il che induce, anche per la rilevanza pratica del problema, ad un approfondimento degli orientamenti che attualmente si registrano e, al contempo, a chiedersi se qualche ripensamento possa ritenersi possibile.

In linea generale, il problema della riservatezza può porsi e si è posto anche a prescindere dal rischio di attività concorrenti da parte del socio, ed al riguardo si è affermato che “debba essere risolto alla luce del principio di buona fede” (da ultimo, Trib. Milano, 13 aprile 2018).

A questo proposito, però, le concessioni che i giudici si sono mostrati disposti a fare alle società sono - in linea generale - certamente minime: innanzitutto, si è escluso che possa ritenersi valido un patto di riservatezza che limiti preventivamente le possibilità del socio di ispezionare i documenti sociali (Trib. Milano, 14 marzo 2018, pronuncia che si è espressa nel senso della contrarietà a norma imperativa di un simile patto); inoltre, a fronte dell'effettiva necessità - debitamente comprovata dalla società, sia pure nei limiti dell'istruttoria condotta in sede cautelare - di occultare determinati dati ritenuti “sensibili”, è stata ammessa (semplicemente) la possibilità di operare un mascheramento degli stessi sui documenti che comunque debbono essere esibiti al socio, senza che possa venire escluso tout court il potere di controllo in capo a quest'ultimo (Trib. Milano, 13 aprile 2018, cit.).

Poco significativo dal punto di vista pratico sembra presentarsi, poi, uno specifico accordo di riservatezza che venga sottoscritto dal socio all'atto della consultazione dei documenti sociali: l'obbligo di non divulgare in ambito extra-societario il contenuto di tali documenti e le notizie apprese in occasione dell'accesso, invero, dovrebbe ritenersi già ricompreso nello spettro degli obblighi discendenti dal rapporto sociale (così Trib. Milano, 29 settembre 2015; più di recente, Trib. Roma, 20 luglio 2017, con la precisazione che sia il socio sia l'eventuale professionista delegato andrebbero incontro a sanzioni civili e penali in caso di violazione di tale obbligo).

Una particolare declinazione del problema della riservatezza, come si è accennato, è quella attinente all'interesse della società ad impedire che il socio possa giovarsi delle informazioni - raccolte in sede di ispezione - nell'ambito ed ai fini di un'attività imprenditoriale da lui esercitata, che presenti profili di concorrenzialità con quella della società.

In tal caso, le aperture giurisprudenziali - in direzione, naturalmente, di una maggior tutela della società - sono effettivamente risultate maggiori.

In linea di principio, si è affermato infatti che la società abbia l'onere di indicare (e naturalmente dimostrare) la sussistenza di concreti elementi indiziari dai quali si possa inferire quantomeno la potenzialità (e quindi anche solo il rischio o pericolo) che il socio istante utilizzi le informazioni richieste nell'ambito ed ai fini di un'attività concorrenziale, suscettibile di arrecare danno alla società stessa (in termini di semplice pericolo di pregiudizio per la società, purché concreto e non meramente astratto, si è espresso anche il Tribunale di Milano nella recente pronuncia del 14 marzo 2018): secondo un'impostazione che appare condivisibile, dunque, i tribunali non richiedono, in termini generali, che il socio stia già esercitando un'attività idonea a porsi in rapporto di concorrenza con quella della società, sufficiente essendo, viceversa, la semplice possibilità (per quanto concreta) che ciò accada (una posizione più rigida era stata assunta, sulla scorta di un orientamento che oggi risulta tuttavia minoritario, da Trib. Milano, 9 febbraio 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it, dove era stato espresso il convincimento che solo la “attualità di condotte illecitamente concorrenziali” legittimerebbe una temporanea limitazione del diritto di ispezione, in quanto un mero timore - anche giustificato - o pericolo di uso scorretto di informazioni da parte del socio dovrebbe reputarsi “intrinsecamente correlato” all'esercizio del diritto stesso).

Naturalmente, gli indizi al riguardo possono essere molteplici: dall'aver il socio già esercitato in passato una siffatta attività, al fatto che egli possieda le competenze tecnico-professionali per poterlo fare in futuro.

Interessante è altresì notare che la giurisprudenza, secondo un'impostazione che può ritenersi condivisibile, ha mostrato di ritenere sufficiente l'operatività del socio (attuale o anche solo potenziale, appunto) nel medesimo segmento di mercato, e dunque in settori merceologici anche soltanto affinia quello della società e non necessariamente coincidenti con esso: ad esempio, è stata ritenuta rilevante, “in ordine ad un uso potenzialmente pregiudizievole da parte del socio ricorrente di dati ricavabili dalla documentazione sociale”, la “peculiare posizione” del socio, in un caso “amministratore unico e socio della […], operante nello stesso segmento di mercato della resistente quale affittuaria di ramo d'azienda” (Trib. Milano, 13 aprile 2018), e in un altro caso “già operante quale agente della s.r.l. e anche oggi potenzialmente interessato ad assumere analogo incarico per altri operatori dello stesso settore” (così Trib. Milano, 27 febbraio 2017); ancora, si è ritenuto in altra occasione che l'“uso potenzialmente pregiudizievole da parte del socio ricorrente di dati ricavabili dalla documentazione sociale” fosse da considerare “confermato dalla particolare posizione del ricorrente, già presidente del c.d.a. della SRL e già svolgente funzioni operative rispetto all'oggetto sociale rappresentato dalla fornitura di servizi informatici […] e oggi da considerare potenzialmente interessato allo svolgimento in proprio di attività comunque interferente con quella tipica della società” (Trib. Milano, 10 maggio 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it). Proprio in quest'ultimo caso il Tribunale ha evidenziato che il bilanciamento tra gli interessi del socio e quelli della società non potesse ottenersi mediante la sottoscrizione di un accordo di riservatezza da parte del socio, in quanto si trattava “di dati strettamente attinenti al know how aziendale, la cui mera conoscenza in capo a soggetto potenzialmente operante nello stesso settore rappresenta comunque una situazione pregiudizievole per la società”.

Sempre in relazione a tale profilo, si è ritenuta rilevante la “contiguità del ricorrente […] rispetto ad altra impresa operante nello stesso settore e riferibile al suo ambito familiare” (Trib. Milano, 15 giugno 2015); ancora, la “specifica esigenza di non diffondere al di fuori dello stretto ambito gestorio dati potenzialmente utili a imprese operanti nello stesso settore, al quale il ricorrente è pure interessato, e ciò a prescindere dalla configurabilità o meno di rapporto di concorrenza specifico tra il ricorrente e la resistente” (Trib. Milano, 28 novembre 2016): in tal caso, il ricorrente era progettista nello stesso settore dell'industrial design e non vincolato da rapporti di esclusiva con la s.r.l.

Qualora la società sia in grado di indicare tali elementi, spetta a quel punto al socio (in virtù di una sorta di inversione degli oneri probatori) fornire “convincente giustificazione del proprio interesse […] alla specifica conoscenza dei dati che la resistente chiede vengano mascherati” (ancora Trib. Milano, 27 febbraio 2017).

L'accesso alla documentazione sociale quale strumento per il promovimento di iniziative giudiziarie da parte del socio

Un atteggiamento di (forse ancor più ampio) favor per il socio è stato assunto dalla giurisprudenza anche con riguardo ad un particolare aspetto che in più occasioni ha rappresentato la specifica motivazione addotta dal socio per giustificare il suo interesse all'esame della documentazione sociale: ci si riferisce all'esigenza di verificare l'operato degli amministratori al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l'instaurazione di iniziative giudiziarie nei loro confronti (tipicamente, l'azione di responsabilità, che infatti, come è noto, nella s.r.l. può essere promossa da ciascun socio).

In questa prospettiva, molto rari sono stati i riferimenti a particolari limitazioni al diritto di controllo del socio: anzi, è stato più volte ribadito che proprio l'interesse a monitorare l'andamento della gestione è immanente alla qualità di socio e può essere concepito come lo scopo primario dell'istituto che si sta esaminando (Trib. Venezia, 20 giugno 2018; Trib. Roma, 20 luglio 2017).

Tuttavia, in qualche caso i giudici si sono correttamente posti il problema di quale sia in concreto lo scopo ultimo che il socio ricorrente si proponga di raggiungere (lo scopo-fine, si potrebbe dire, cui risulti concretamente rivolto lo scopo-mezzo consistente nella verifica dell'esistenza di presupposti per l'esperimento di azioni nei confronti degli amministratori o anche della società): interessante, a tal proposito, è il passaggio contenuto nella già richiamata pronuncia del Tribunale di Milano del 14 marzo 2018, dove si legge che “questione diversa sarebbe evidentemente la prospettazione di un pericolo, conseguente all'accesso ai documenti, di manovre propriamente ‘ricattatorie' da parte dell'odierno ricorrente, tali da esporre la s.r.l. a possibili azioni risarcitorie”, e che tale questione è suscettibile di essere presa in considerazione qualora la società formuli specifiche deduzioni in tal senso “naturalmente fornendo al riguardo dovuti riscontri probatori”.

Da quanto si è appena riportato già emerge, in realtà, che proprio tale questione può porsi in termini non sempre coincidenti: il socio, cioè, potrebbe avere l'obiettivo di promuovere un'azione risarcitoria nei confronti degli amministratori o anche solo una qualche diversa iniziativa nei confronti della società. Mentre nel primo caso è effettivamente difficile immaginare che possano essere fondatamente opposti limiti (o persino un rifiuto) al diritto di controllo del socio (se non altro perché gli amministratori, ostacolando la verifica del loro stesso operato, agirebbero in danno del socio e contemporaneamentedella società), nel secondo caso - come accennato nella pronuncia del Tribunale di Milano poc'anzi richiamata - si dovrebbe riconoscere alla società (tramite i propri amministratori, evidentemente) la possibilità di dimostrare che la pretesa del socio presenta i connotati dell'abuso.

Più precisamente, appare corretto ammettere - sempre sulla scia di quanto statuito dal Tribunale di Milano - che la società possa limitarsi a fornire elementi dai quali sia possibile desumere l'intento del socio di dare luogo a manovre ricattatorie, del tutto a prescindere dalla questione dell'eventuale fumus di fondatezza dell'azione che il socio avrebbe in animo di intraprendere nei confronti della società. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi (tutt'altro che infrequente) dell'esistenza di numerosi contenziosi aperti tra socio e società e/o altri soci: in un simile contesto, potrebbe non essere così infrequente che il socio (generalmente di minoranza) voglia prendere visione dei documenti sociali al solo fine di rintracciare qualche elemento purchessia che gli consenta di intraprendere un'azione (magari infondata) nei confronti della società, all'unico scopo di acquisire un maggior potere negoziale nell'ambito di una trattativa volta alla definizione transattiva dell'intero contenzioso in essere: tali situazioni – non particolarmente rare - non dovrebbero essere ritenute meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 2476, comma 2, c.c.. e, come si accennava, suggerirebbero l'introduzione di una soglia minima di partecipazione al capitale per l'esercizio del diritto di controllo.

Profilo diverso, ma in qualche modo speculare, è quello riguardante la posizione del socio che sia stato in precedenza amministratore e nei confronti del quale la società abbia già promosso un'azione di responsabilità: in una simile ipotesi, si è in un'occasione ritenuto che “bisogna vedere caso per caso se […] vi possa essere in concreto un pregiudizio per la società”, e in quello lo si era escluso proprio sulla base del fatto che l'azione fosse già stata esercitata e, pertanto, l'accesso del socio non avrebbe potuto incidere su un quadro probatorio già definito (Trib. Roma, 27 gennaio 2017).

Le modalità esecutive dell'esercizio del diritto di controllo

Minori criticità emergono generalmente sul piano dell'oggetto e delle modalità di esercizio del diritto di controllo (specialmente sub specie di accesso presso la sede sociale per l'esame di documentazione).

In particolare, può dirsi che l'elaborazione giurisprudenziale dell'istituto ha condotto ai seguenti risultati interpretativi:

i) il diritto di controllo può esplicarsi soltanto su documenti strettamente attinenti all'esercizio della funzione gestoria da parte degli amministratori: non vi sono comprese, ad esempio, elaborazioni interne aziendali attinenti alla cosiddetta contabilità industriale, che è distinta dalla contabilità generale (Trib. Milano, 13 maggio 2017);

ii) è senza dubbio consentita anche l'estrazione di copia dei documenti oggetto di esame (Trib. Milano, 13 aprile 2018; Trib. Milano, 13 dicembre 2017; Trib. Milano, 8 ottobre 2015);

iii) lo statuto della società può disciplinare più analiticamente le modalità esecutive secondo le quali l'esercizio del diritto può esplicarsi, ma esse non possono renderlo oltremodo gravoso, neppure a livello logistico (Trib. Roma, 20 luglio 2017; Trib. Roma, 27 aprile 2017);

iv) l'accesso ai documenti deve essere consentito con la massima completezza ed organicità, e non è ammessa una selezione discrezionale, da parte dell'organo amministrativo, dei documenti da esibire (di nuovo Trib. Roma, 20 luglio 2017);

v) è necessario che la documentazione sociale venga messa a disposizione in locali adeguati, all'occorrenza previo recupero della stessa, da parte della società, presso chi materialmente la detenga (Trib. Milano, 13 dicembre 2017). D'altro canto, all'organo amministrativo non può essere imposta un'attività ulteriore alla semplice ostensione dei documenti (quale ad esempio la redazione di un rendiconto: Trib. Roma, 27 gennaio 2017), e l'eventuale accesso al sistema informatico non può avvenire direttamente da parte del socio ma solo attraverso personale della società stessa (Trib. Roma, 27 gennaio 2017).

Un'ulteriore questione affrontata dai tribunali (in particolare, per quanto consta, da quello milanese), tanto interessante sotto il profilo teorico quanto rilevante dal punto di vista pratico, è quella concernente la possibile estensione dell'oggetto dell'esame da parte del socio anche a documentazione attinente alle società - soprattutto se aventi la forma di s.p.a. - controllate dalla s.r.l. di cui il richiedente è appunto socio. Ad una risposta di segno negativo (cfr. Trib. Milano, 7 giugno 2017 e 19 gennaio 2017) ha poi fatto seguito un parziale ripensamento, quantomeno con riferimento al caso in cui la s.r.l. limiti la propria attività alla gestione di partecipazioni (così Trib. Milano, 27 settembre 2017, caso nel quale era stata però attribuita rilevanza anche alla “gravissima situazione di crisi” in cui versava la s.p.a. controllata dalla s.r.l.). Quest'ultima soluzione desta qualche perplessità, in quanto appare quantomeno opinabile che la documentazione inerente alla società che sia controllata da una s.r.l. possa effettivamente dirsi ricompresa in (o anche solo assimilata a) quella riguardante la gestione della stessa s.r.l.: in tal modo, del resto, si finirebbero probabilmente per introdurre delle distinzioni (quanto all'oggetto del diritto di ispezione) in dipendenza dello specifico oggetto sociale della s.r.l., il che risulta peraltro in contrasto con quell'orientamento (di cui si è dato conto poc'anzi) che nega la possibilità del socio di esaminare anche documentazione afferente alla concreta ed ordinaria operatività della società e riguardante la sua attività caratteristica (come la contabilità o i modelli industriali). Una soluzione intermedia e in linea generale equilibrata potrebbe essere quella di selezionare, caso per caso, la documentazione che possa considerarsi anche attinente alla gestione della s.r.l. controllante (ad esempio, i verbali delle riunioni delle assemblee della società partecipata cui abbiano preso parte - in qualità di rappresentanti della s.r.l. socia - gli amministratori della s.r.l., così come la corrispondenza intercorsa tra s.r.l. socia e società partecipata) da quella che invece dovrebbe esulare da tale ambito (tipicamente, le scritture contabili della società partecipata cui abbiano avuto accesso gli amministratori della s.r.l. socia): da questo punto di vista, la soluzione non dovrebbe cambiare in relazione alla forma giuridica della stessa società partecipata.

Prospettive evolutive dell'istituto anche alla luce delle ultime novità normative

Da ultimo, non si può fare a meno di domandarsi se le recenti modifiche alla struttura organizzativa della s.r.l., introdotte dal d. lgs. n. 14/2019, influiranno sull'applicazione dell'art. 2476, comma 2, c.c., e quindi sulla concreta operatività dell'istituto del diritto di controllo del socio di s.r.l.: ci si riferisce tanto al principio secondo cui la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori - caratterizzante, sino all'entrata in vigore della nuova normativa, soltanto la società per azioni - quanto all'estensione alla s.r.l. dell'art. 2409 c.c.

Con riguardo a quest'ultima disposizione, si è già fatto cenno alla circostanza che la sua pregressa inapplicabilità alla s.r.l. abbia in molti casi orientato le decisioni dei Tribunali nel senso di una interpretazione della norma sul diritto di controllo in senso estensivo e di chiaro favor per il socio; svariate volte, infatti, è stato affermato che la funzione dell'art. 2476, comma 2, c.c. fosse anche quella di sopperire all'impossibilità di invocare l'intervento del tribunale in caso di gravi irregolarità nella gestione della società. Vi è quindi da attendersi che l'implementazione della tutela dei soci di s.r.l. mediante lo strumento contemplato dall'art. 2409 c.c. riduca l'esigenza di rendere l'istituto del diritto di controllo massimamente efficace in senso favorevole ai soci stessi, sebbene l'attivazione del procedimento di cui all'art. 2409 c.c. rimanga condizionato (anche nella s.r.l.) alla titolarità di una determinata quota di partecipazione al capitale (non è del tutto chiaro, peraltro, se il 5% o il 10%, soglie che nella s.p.a. sono ricollegate al fatto che questa faccia o meno ricorso al capitale di rischio): certamente, i due istituti possono coesistere e non si escludono a vicenda (sul punto PRESTI, Il diritto di controllo dei soci non amministratori, in S.r.l. Commentario, a cura di A. A. Dolmetta e G. Presti, Milano, 2011, 651).

Al contempo, per quanto il dirompente (per la s.r.l.) principio di esclusività del potere gestorio in capo agli amministratori sia destinato a rivoluzionare la struttura organizzativa della s.r.l. e in particolare la dialettica soci-amministratori (nonché l'applicazione di specifiche norme: si pensi all'art. 2368, comma 3 e all'art. 2479, comma 1, ma anche all'art. 2476, comma 7, c.c.), il suo impatto sulla individuazione di presupposti e limiti per l'esercizio del diritto di controllo dei soci di s.r.l. potrebbe risultare più contenuto, anche alla luce del fatto che il singolo socio (a prescindere dall'entità della sua partecipazione) conserva il potere di impugnare le decisioni sociali e di promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori: prerogative, queste, cui lo strumento approntato dall'art. 2476, comma 2, c.c., potrebbe continuare a ritenersi funzionale.

Ma non c'è dubbio che la possibilità - sancita oggi dall'ordinamento - di sottoporre anche l'amministrazione (e gli amministratori) della s.r.l. al più penetrante controllo e potere di intervento del tribunale (a fronte del fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione potenzialmente dannose per la società o le sue controllate), induca quantomeno a chiedersi se non sia preferibile orientare in senso maggiormente rigoroso l'interpretazione dell'art. 2476, comma, c.c., se non altro nei casi maggiormente dubbi e problematici: il risultato potrebbe allora essere quello di una maggiore e più accurata considerazione delle esigenze di riservatezza della società, e di una più stringente valutazione delle effettive esigenze di tutela del socio qualora affiori anche soltanto il sospetto che egli stia abusando del proprio diritto a fini lato sensu ricattatori.

Certo, si potrebbe obiettare che rendendo (ma solo un po') più difficile per il socio l'esame della documentazione sociale si finirebbe per ostacolare anche l'accesso a quelle informazioni che dovrebbero consentire di comprendere se possa ritenersi sussistente il fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione; ma è indubitabile che, con la recente novella, il legislatore abbia inteso imprimere al tipo s.r.l. una chiara svolta nella direzione del suo netto avvicinamento al modello della s.p.a., circostanza cui l'interprete non può rimanere indifferente nell'interpretazione anche delle norme già esistenti.

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