Sul concorso colposo nel delitto doloso la Cassazione cambia di nuovo idea
12 Aprile 2019
Massima
Nell'ordinamento giuridico italiano non è configurabile l'ipotesi del concorso colposo nel delitto doloso, mancando una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell'art. 113 c.p. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo. Ne deriva che la condotta colposa che accede ad un fatto principale doloso è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall'ordinamento, secondo lo schema del concorso di cause indipendenti previsto dall'art. 41 c.p. Il caso
Tizio faceva ingresso negli uffici della Regione Umbria con una valigetta e, dopo essere stato accreditato come visitatore esterno, si dirigeva al quarto piano dello stabile ove esplodeva numerosi colpi di arma da fuoco con una pistola semiautomatica, cagionando la morte di due dipendenti regionali, per poi recarsi in un'altra stanza ove si suicidava con la stessa arma. Dalla lettura di un memoriale rinvenuto sul posto emergeva che Tizio aveva covato un forte risentimento nei confronti di alcuni impiegati dell'Ufficio Sovvenzioni della Regione Umbria ai quali imputava il fallimento dei suoi progetti professionali per avergli revocato un finanziamento. Rievocava, in particolare, un colloquio avuto con una delle vittime da lui vissuto in modo drammatico in quanto le negative risposte di quest'ultima rispetto alle sue aspettative venivano interpretate come segno di irremovibile ed ingiustificata intransigenza e ritenute la principale fonte di origine dei suoi malesseri psichici. Da tali fatti traeva origine l'imputazione a carico di Caio, Sempronio, Mevio e Filano per concorso colposo nell'omicidio doloso commesso da Tizio. Caio, in qualità di medico di fiducia di Tizio, per aver rilasciato a quest'ultimo un certificato anamnestico circa l'assenza di malattie del sistema nervoso, di disturbi mentali, di personalità o comportamentali e il mancato uso di sostanze psicotrope, nonostante fosse consapevole del fatto che Tizio era seguito dalle strutture specialistiche per i disturbi mentali a lui diagnosticati (disturbo bipolare e sindrome maniacale), tanto che aveva provveduto a prescrivere, in più occasioni, al predetto paziente, uno psicofarmaco rientrante nel piano terapeutico predisposto dal Centro di Sanità Mentale di Perugia, specificamente indicato nel trattamento e nella prevenzione della mania correlata ai disturbi bipolari, oltre che nei casi di epilessia. Sempronio, Mevio e Filano, funzionari dei ruoli civili della Questura di Perugia, per non essersi avveduti della segnalazione del decreto emesso dalla Prefettura di Perugia di divieto per Tizio di detenere armi e munizioni. All'esito di giudizi separati il solo Caio riportava condanna sia in primo che secondo grado. Egli ricorreva per cassazione articolando plurimi motivi, tra cui l'assenza, nell'ambito delle fattispecie plurisoggettive, di una disposizione ad hoc che sia idonea a conferire legittimità alla responsabilità penale, a titolo di colpa, in relazione ad eventi cagionati da terzi con dolo, costruzione ipotizzabile solo in via teorica, tenuto conto dei principi di tipicità e tassatività che caratterizzano la materia penale e, nella specie, quella del concorso di persone nel reato. La Suprema Corte, con importante revirement, afferma che non è configurabile, nell'ordinamento giuridico italiano, il concorso colposo nel delitto doloso, mancando una norma che lo preveda espressamente. Ne deriva, conseguentemente, la configurazione, ove ne ricorrano i presupposti, di due fattispecie monosoggettive, l'una colposa e l'altra dolosa, dato l'intersecarsi di condotte causali indipendenti disciplinate ai sensi dell'art. 41 c.p. Ne consegue che la verifica circa la legittimità o meno del giudizio di condanna pronunciato nei confronti del Caio implica, anche alla stregua degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sin qui richiamati, una verifica della sussistenza dei requisiti del reato monosoggettivo colposo e di quello doloso, secondo lo schema del concorso di cause indipendenti. La questione
La questione in esame è la seguente: nell'ordinamento giuridico italiano è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso? Le soluzioni giuridiche
Dottrina e giurisprudenza ammettono, pacificamente, le ipotesi di concorso di persone caratterizzate da atteggiamenti soggettivi omogenei; in particolare, il concorso doloso nei delitti e nelle contravvenzioni dolose, per i quali è sufficiente quanto disposto dall'art. 110 c.p., e il concorso colposo nei delitti e nelle contravvenzioni colpose, rispettivamente disciplinati dagli artt. 113 e 110 c.p. Posizioni discordanti, invece, emergono – tanto in dottrina quanto all'interno della giurisprudenza di legittimità – con riguardo alle fattispecie di concorso di persone con coefficiente psicologico eterogeneo. Il dibattito che anima gli autori è determinato dall'adesione a due differenti impostazioni. Da un lato, la concezione monista, per la quale l'art. 110 c.p., parlando di concorso di persone nel medesimo reato, legittima una concezione unitaria della partecipazione criminosa. Pertanto, integrando il concorso eventuale di persone un reato unico e indivisibile con una pluralità di agenti, risulta impossibile operare una diversificazione dell'elemento soggettivo. Dall'altro lato, invece, secondo la concezione pluralista, nel concorso eventuale è possibile discernere l'atteggiamento psicologico di ciascun concorrente, stante la presenza di una pluralità di reati quanti sono i soggetti concorrenti. Secondo tale teoria, infatti, questa operazione è consentita in quanto si è di fronte a fattispecie che condividono il fatto materiale ma non anche l'atteggiamento psicologico. Quest'ultima soluzione – avvalorata dalle disposizioni di cui agli artt. 48, 111, 112 e 116 c.p., che prevedono l'incriminazione di fattispecie concorsuali eterogenee sotto il profilo soggettivo, e condivisa dalla dottrina maggioritaria – è da preferire. Analizzando le singole fattispecie controverse, data la prevalenza della concezione pluralista, è generalmente ammessa sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza la fattispecie del concorso doloso nel delitto colposo, configurabile nel caso di condotta atipica dolosa posta in essere da un soggetto che strumentalizza l'altrui condotta colposa. Discussa, invece, è l'ipotesi del concorso colposo nel delitto doloso, tanto che recentemente la Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha mutato orientamento dopo molti anni. Prima di esporre la soluzione da ultimo adottata dalla Suprema Corte, è necessario ripercorrere le posizioni dottrinarie e giurisprudenziali espresse in materia. Per la dottrina maggioritaria, il concorso colposo nel delitto doloso non sembra trovare cittadinanza nel nostro ordinamento, dal momento che l'art. 42, comma 2, c.p. richiede un'espressa previsione della punibilità colposa nei delitti, evenienza che non si riscontra nel caso in esame. L'art. 113 c.p., infatti, disciplina espressamente la sola cooperazione colposa nel delitto colposo, non riferendosi, invece, alla cooperazione colposa nel delitto tout court (sia esso colposo o doloso). Per quanto concerne le contravvenzioni, è necessaria una breve distinzione tra quelle colpose e quelle dolose. Il dubbio avanzato da parte della dottrina riguarda le fattispecie dolo-se ed è generato dalla lettera dell'art. 113 c.p., il quale fa riferimento esclusivamente ai “delitti”. Tuttavia, secondo la dottrina maggioritaria, nulla osta alla configurabilità di un concorso colposo nelle contravvenzioni, siano esse dolose o colpose, proprio perché l'art. 113 c.p. si limita a soddisfare la richiesta di espressa punibilità enunciata dall'art. 42, comma 2, c.p. con riferimento ai delitti colposi, non necessaria per le contravvenzioni, secondo quanto disposto dall'art. 42, comma 4, c.p., per le quali risulta sufficiente l'art. 110 c.p. che parla genericamente di concorso nel “reato”. Limitandosi, con la presente trattazione, all'analisi delle fattispecie delittuose, stando alle conclusioni rese dalla dottrina, il soggetto che, con la propria condotta colposa, permetta ad altri di realizzare un delitto doloso, dovrebbe essere punito alla stregua della fattispecie monosoggettiva colposa e non anche a titolo di concorso colposo nel delitto doloso altrui. In caso contrario, fra l'altro, si porrebbe il problema di quale pena applicare, qualora la stessa fosse prevista solo per la forma dolosa. Più articolate sono le soluzioni offerte dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha assunto, nel tempo, un atteggiamento altalenante. Negli anni 2000, infatti, dopo una serie di pronunce negative in materia (cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 1991, n. 5017, Rv. 187331; Cass. pen., Sez.IV, 11 ottobre 1996, n. 9542, Rv. 206798), i giudici di legittimità, con un orientamento costante, hanno risolto positivamente la questione sulla configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso nel nostro ordinamento, purché il reato del partecipe fosse previsto anche nella forma colposa e la regola cautelare violata dall'agente fosse diretta ad evitare anche il rischio dell'atto doloso del terzo, risultando dunque quest'ultimo prevedibile dall'agente (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 39680, Rv. 223214; Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795, Rv. 238957; Cass. pen., Sez. IV, 12 novembre 2008, n. 4107, Rv. 242830; Cass. pen., Sez. IV, 14 luglio 2011, n. 34385, Rv. 251511; Cass. pen., Sez. IV, 27 aprile2015 2015, n. 22042, Rv. 263499). Del tema la Suprema Corte si è occupata soprattutto sindacando la responsabilità colpo-sa del medico psichiatra in caso di omicidio doloso commesso dal paziente. In un caso, il medico, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunità, ne aveva determinato lo scompenso psichico, ritenuto la causa della crisi nel corso della quale lo stesso paziente, poi ritenuto non imputabile, aveva aggredito e ucciso uno degli operatori che lo accudiva. In particolare, al medico psichiatra è stato addebitato di aver omesso di valutare adeguatamente i sintomi di aggressività manifestati dal paziente in cura, di aver ridotto e poi sospeso la somministrazione di una terapia farmacologica di tipo neurolettico in modo tale da renderla inidonea a contenere la pericolosità del paziente e di aver omesso di richiedere il trattamento sanitario obbligatorio in presenza di sintomi che rendevano necessaria tale iniziativa. La Corte ha quindi ritenuto che queste condotte colpose si ponessero in rapporto di causalità con l'evento verificatosi: in particolare, la modifica del trattamento farmacologico aveva comportato un aggravamento della patologia e una recrudescenza dell'aggressività del paziente (Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795). Tali affermazioni venivano giustificate alla luce di particolari letture degli artt. 42, comma 2, e 113 c.p. L'enunciato dell'art. 42, comma 2, c.p. era ritenuto riferibile alla sola parte speciale del codice, quindi solo alle fattispecie incriminatrici di singoli fatti e non anche agli artt. 110 e 113 c.p. In particolare, secondo tale giurisprudenza la disposizione richiamata avrebbe la duplice funzione: da un lato, di norma chiarificatrice del titolo di responsabilità in ipotesi di cooperazione colposa omogenea; dall'altro, di norma di copertura del titolo di responsabilità colposa nelle ipotesi di cooperazione nelle quali convergono anche contributi dolosi. Con riferimento al disposto dell'art. 113 c.p., tale impostazione asseriva che lo stesso ruotasse intorno ad un evento cagionato dalla cooperazione di più persone, senza specificazione in merito all'elemento psicologico. Inoltre, tale conclusione risultava ancora più convincente data la presenza, nella norma in esame, dell'espressione “nel delitto colposo”, che aveva condotto a ritenere l'art. 113 c.p. comprensivo anche dell'ipotesi del delitto doloso, secondo un ragionamento logico che prendeva le mosse da un'autorevole affermazione dottrinale in materia di elemento soggettivo, compendiata nell'espressione “non c'è dolo senza colpa”. Alla luce di tale affermazione, dunque, la giurisprudenza in esame non concepiva il dolo quale elemento diverso rispetto alla colpa, condividendo con quest'ultima la violazione di un dovere oggettivo di diligenza; piuttosto, sottolineava esclusivamente come lo stesso presentasse un quid pluris rispetto alla colpa, rappresentato dalla coscienza e la volontà dell'evento. Tuttavia, con la pronuncia che si commenta la Suprema Corte ha statuito l'esclusione della fattispecie del concorso colposo nel delitto doloso dal nostro ordinamento, ponendosi così in aperto contrasto con l'orientamento consolidato, sia pure non ravvisando gli estremi per investire della questione le Sezioni unite. Il nuovo approdo ermeneutico è frutto di plurime argomentazioni che, in parte, concordano con quanto già affermato dalla dottrina maggioritaria. Innanzitutto, l'art. 42, comma 2, c.p. non concerne esclusivamente le norme di parte speciale, trovando applicazione anche con riferimento alla disciplina del concorso di persone, di cui rappresenta un limite di applicabilità. Si tratta di una conclusione imposta dal rispetto del principio di legalità della legge penale, costituzionalmente garantito, dal momento che il concorso colposo nel delitto doloso avrebbe proprio la funzione di rendere tipiche condotte altrimenti atipiche e, quindi, di espandere la punibilità. Già tale argomentazione è da sola sufficiente ad escludere la possibilità di ammettere tale fattispecie nel nostro sistema penale. A fortiori, la Suprema Corte evidenzia come le diverse fattispecie di reato di agevolazione colposa di delitto doloso presenti nel codice penale (si pensi, ad esempio, all'art. 254 c.p.) sarebbero inutili se fosse configurabile in termini generali il concorso colposo nel delitto doloso. Ma in questa direzione escludente milita, soprattutto, quanto sostenuto dagli Ermellini in ordine all'art. 113 c.p. Tale disposizione – afferma la sentenza in esame – limita esplicitamente il concorso colposo alla sola ipotesi di delitto colposo, come è facile apprendere tanto dalla rubrica della norma (Cooperazione colposa) quanto dall'incipit della disposizione (nel delitto colposo) e dal trattamento sanzionatorio dalla stessa previsto (ciascuno dei partecipi soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso, non essendo in dubbio che “stesso” stia ad indicare proprio il delitto colposo, perché altrimenti si giungerebbe al paradosso secondo cui, in base all'art. 113 c.p., il partecipe doloso sia assoggettato alle pene previste per il delitto colposo). Pertanto, non è condivisibile l'argomentazione posta a fondamento delle precedenti pronunce, per le quali l'esistenza del concorso colposo implica, necessariamente, quella del concorso doloso sulla base dell'assunto per cui non sussiste dolo senza colpa. Infatti, tale ragionamento, da un lato, comporta la violazione del divieto di analogia in malam partem (e, quindi, un ulteriore pregiudizio del principio di legalità); e, dall'altro lato, si fonda su un erroneo procedimento logico-giuridico. È ben noto come dolo e colpa siano coefficienti soggettivi di attribuzione della responsabilità che presentano una diversità strutturale tanto a livello ontologico quanto normativo, pertanto tale ragionamento, tenuto conto della prevalenza della concezione normativa della colpevolezza, è viziato da un salto logico. Dire che sussiste una base comune a dolo e colpa, costituita dalla violazione di un dovere oggettivo di diligenza, non significa equiparare il fatto doloso al fatto colposo; ed è proprio il dato testuale dell'art. 43 c.p. che sottolinea come dolo e colpa, dando luogo a fattispecie strutturalmente diverse (nel delitto doloso l'evento è voluto, mentre nel delitto colposo l'evento non è voluto), sono caratterizzate da un rapporto di reciproca incompatibilità. Infatti, una volta identificato l'elemento psicologico della cooperazione colposa con la rappresentazione dell'altrui comportamento, l'istituto del concorso colposo nel delitto doloso rischierebbe di caratterizzarsi per la compresenza di due requisiti – come appena detto – logicamente incompatibili. Ossia la colpa derivante dalla violazione di una regola cautelare costruita sulla prevedibilità di un fatto doloso di terzi e la contestuale rappresentazione della condotta del terzo con la erronea convinzione, al contempo, che quest'ultimo non versi in dolo. Dovrebbe essere accertata, sul piano oggettivo, la realizzazione, ad opera di un terzo, di un delitto doloso che costituisca la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata dall'agente mediato mira a prevenire e, contestualmente, sul piano soggettivo, la consapevolezza, da parte dell'agente che versa in colpa, di cooperare con il terzo, autore della condotta dolosa. Tale evenienza appare insuscettibile di ricevere concreta traduzione in termini realistico-fattuali in quanto la rappresentazione, da parte dell'agente mediato, dell'altrui contegno doloso comporterebbe, inevitabilmente, la configurabilità della fattispecie omogenea del concorso doloso nel de-itto doloso. Le conclusioni rassegante dalla Corte di Cassazione si dimostrano, pertanto, conformi ai principi generali del nostro ordinamento. Osservazioni
Negli anni ‘90 le Sezioni Unite, occupandosi dell'eventuale responsabilità colposa del notaio per il contributo dato, con il proprio ministero, alla lottizzazione abusiva negoziale, affermarono che il concorso colposo nel delitto doloso non è compatibile con il sistema positivo (Cass. Pen., Sez. un., 3 febbraio 1990-28 febbraio 1990, n. 2720, Rv. 183495). Tale soluzione aveva trovato immediato seguito da parte delle Sezioni semplici (cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 1991, n. 5017, Rv. 187331; Cass. pen., Sez. IV, 11 ottobre 1996, n. 9542, Rv. 206798), per poi essere abbandonata dalla giurisprudenza degli anni 2000. La sentenza in commento, seguita da una pronuncia coeva (Cass. pen., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 57006, Rv. 274626) meno ricca dal punto di vista dello sforzo ricostruttivo e motivazionale, recupera il primo orientamento. Si tratta di una soluzione che si lascia preferire già sulla scorta di una piana lettura della disciplina codicistica: l'art. 42, comma2, c.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto colposo (o preterintenzionale) previsti dalla legge; l'art. 113 c.p. riguarda la cooperazione colposa "nel delitto colposo" dunque non può estendersi fino ad abbracciare il concorso colposo nel delitto doloso, figura, quest'ultima, che rimane priva di copertura normativa. Ergo, per i delitti, la condotta colposa che accede al fatto principale doloso è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista nella parte speciale. Ai suddetti argomenti potrebbe aggiungersi il carattere eccezionale dell'altrui contributo doloso, capace di interrompere la sequenza causale ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p. Si consideri, infine, che appare problematico valutare come colpose condotte di per sé non pericolose, ma che semplicemente forniscono ad altri l'occasione per delinquere. In definitiva, i vari argomenti passati in rassegna dovrebbero portare ad un definitivo abbandono della configurabilità in termini concorsuale delle sequenze di apporti colposi e dolosi.
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