Mancata partecipazione del convenuto all'arbitrato e conseguenze sull'impugnazione per nullità del lodo per incompetenza

15 Aprile 2019

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione ha esaminato l'applicabilità del meccanismo preclusivo stabilito dall'art. 817, comma 2, c.p.c. al convenuto rimasto assente nel procedimento arbitrale.
Massima

La preclusione stabilita dall'art. 817, comma 2, c.p.c. non si applica al convenuto rimasto assente nell'ambito del procedimento arbitrale.

Il caso

Con atto notificato in data 27 settembre 2010, L.R. impugnava per nullità un lodo rituale pronunciato nei suoi confronti all'esito di un procedimento in cui essa era rimasta assente, denunciandone l'inesistenza o nullità, ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c. per carenza di competenza in capo all'arbitro unico.

La Corte d'appello di Genova, con sentenza del 24 novembre 2016, n. 1225, respingeva l'impugnazione promossa da L.R. sull'assunto per cui, a mente dell'art. 817, comma 2, c.p.c., la parte avrebbe dovuto eccepire, a pena di decadenza, nel giudizio arbitrale, quale prima difesa, la carenza di competenza dell'arbitro nominato.

Avverso la suddetta sentenza L.R. proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione ha esaminato l'applicabilità del meccanismo preclusivo stabilito dall'art. 817, comma 2, c.p.c. – secondo cui la parte che non ha eccepito nella prima difesa successiva all'accettazione degli arbitri l'incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile – al convenuto rimasto assente nel procedimento arbitrale.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha risolto negativamente la suesposta questione, enucleando il principio di diritto riportato nella massima.

Secondo il giudice della nomofilachia, l'effetto preclusivo regolato dall'art. 817, comma 2, c.p.c. vale soltanto con riferimento alla parte che ha partecipato al giudizio arbitrale, ma non per la parte rimasta assente, in attesa di conoscerne l'esito. L'art. 817, comma 2, c.p.c. trova, infatti, il proprio fondamento nell'operato processuale delle parti che, tramite il loro comportamento di sostanziale acquiescenza, determinano il radicamento della competenza degli arbitri, la quale, in tale modo, non potrebbe più essere messa in discussione dalle parti in sede di impugnazione del lodo. Al contrario, secondo la Corte, l'effetto preclusivo della mancata proposizione dell'eccezione di cui all'art. 817, comma 2, c.p.c., non può desumersi dall'assenza della parte nel giudizio arbitrale, i cui effetti non sono espressamente disciplinati dalla legge.

Osservazioni

La soluzione fornita dalla Cassazione con l'ordinanza n. 5824/2019 alla questione dell'applicabilità del meccanismo preclusivo di cui all'art. 817, comma 2, c.p.c. al convenuto rimasto assente nell'ambito del procedimento arbitrale, si pone in linea con la precedente pronuncia resa da Cass. civ., 24 febbraio 2006, n. 4156, in tema, peraltro, di arbitrato irrituale, in cui opera l'art. 808-ter, comma 2, n. 1, c.p.c., secondo cui «[i]l lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I (…) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale».

Nel medesimo senso, si è espressa anche una parte della dottrina, la quale muove dalla considerazione per cui l'art. 817, comma 2, c.p.c. opera sul piano sostanziale, producendo l'effetto della formazione della convenzione di arbitrato mancante attraverso il comportamento concludente di chi inizia l'arbitrato e di chi non eccepisce la carenza di potere decisorio degli arbitri. Allo stesso modo, secondo tale orientamento, la mancata eccezione produce la convalida di una convenzione di arbitrato invalida o inefficace. Conseguenza di questa impostazione è, quindi, che il convenuto che non ha partecipato al procedimento arbitrale si sottrae al meccanismo di cui all'art. 817, comma 2, c.p.c., non avendo posto in essere alcun comportamento concludente capace di formare la convenzione inesistente o di convalidare quella invalida. Sostenere il contrario, peraltro, significa costringere la parte, che si vede raggiunta da una domanda di arbitrato rispetto alla quale manca il potere decisorio degli arbitri, ad attivarsi per sollevare tale contestazione all'interno del processo arbitrale e, quindi, a sopportare le spese del processo arbitrale (in tal senso, Luiso, Marinucci, D'Alessandro).

La posizione appena esposta non convince. Infatti, il convenuto che viene evocato nell'ambito di un giudizio arbitrale, quando ritiene insussistente il potere degli arbitri, si trova in una posizione analoga a quella in cui versa il convenuto nel processo ordinario di cognizione a fronte di un'eccezione in senso stretto, che solo lui può far valere: ad esempio, si consideri l'ipotesi in cui il convenuto ritiene prescritto il diritto fatto valere nei propri confronti e deve quindi costituirsi in giudizio per rilevare in modo tempestivo la prescrizione stessa, anticipando i costi della difesa; stesso discorso vale, peraltro, per il convenuto che, nell'ipotesi speculare disciplinata dall'art. 819-ter c.p.c., voglia far valere l'esistenza di un patto compromissorio dinanzi al giudice ordinario adito (Salvaneschi).

Nello stesso senso milita poi l'ulteriore considerazione per cui l'art. 817 c.p.c. non contempla un potere di rilievo officioso del vizio di inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione di arbitrato: pertanto, se si dovesse ritenere che, in caso di mancata presenza del convenuto in arbitrato, il meccanismo preclusivo di cui si discute non operi e il vizio resti, quindi, deducibile da parte del convenuto inerte per la prima volta con il giudizio di impugnazione per nullità del lodo, si dovrebbe pervenire alla conclusione del tutto illogica per cui gli arbitri, a fronte del comportamento del convenuto rimasto estraneo, siano costretti a svolgere l'intero giudizio, pur nella consapevolezza del vizio del loro potere di decidere, con conseguente probabilità di una successiva impugnazione per mancanza di potestas iudicandi (Bove).

Approfondimenti
  • M. Bove, Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice, in Riv. arb., 2007, 367;
  • E. D'Alessandro, Sui rapporti tra la sentenza Mostaza Claro e gli art. 817, 2° comma, e 829, n. 1, cod. proc. civ., in Riv. arb., 2006, 691 ss.;
  • F.P. Luiso, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv. arb., 2005, 773 ss., spec. 779;
  • E. Marinucci, L'impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma, Milano, 2009, 77 ss.;
  • L. Salvaneschi, Arbitrato, in Commentario del Codice di Procedura Civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2014, 562 ss.

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