Decadenza e impugnazione del trasferimento d'azienda

15 Aprile 2019

I termini di decadenza per l'impugnazione del trasferimento di azienda di cui all'art. 32 comma 3 lett. c), l. n. 183 del 2010, si applicano anche all'ipotesi in cui il lavoratore pretenda di passare alle dipendenze del nuovo appaltatore avente l'obbligo di assumere i dipendenti del precedente in forza di una clausola del contratto collettivo.
Massima

I termini di decadenza per l'impugnazione del trasferimento di azienda di cui all'art. 32 comma 3 lett. c), l. n. 183 del 2010, si applicano anche all'ipotesi in cui il lavoratore pretenda di passare alle dipendenze del nuovo appaltatore avente l'obbligo di assumere i dipendenti del precedente in forza di una clausola del contratto collettivo

Il caso

Alcuni prestatori hanno lavorato alle dipendenze di una società cooperativa appaltatrice, addetta alla movimentazione delle merci e dei bagagli in un noto aeroporto del nord Italia. In seguito allo spacchettamento di dette attività, la società aveva avviato, previo avviso alle Oo.Ss. di categoria e alla RSU, una procedura di riduzione del personale ai sensi della l. n. 223 del 1991, dichiarando l'intenzione di risolvere il rapporto di lavoro con 26 dipendenti per cessazione dell'appalto. L'appaltante si era dichiarata disponibile ad impiegare i dipendenti licenziandi, già addetti all'appalto, ma in regime di somministrazione fino alla nuova gara di appalto, ciò che è accaduto per alcuni lavoratori i quali si erano dimessi per essere assunti dall'agenzia con contratto di lavoro a termine di 5 ore giornaliere. Al termine della procedura venivano comunicati licenziamenti poi revocati per la proroga dell'appalto relativo al servizio di movimentazione bagagli e merci. Alla cessazione della proroga la procedura di riduzione del personale veniva riavviata e portata a termine con licenziamenti successivamente impugnati. Nel frattempo, l'appaltante indiceva una nuova gara vinta da un'altra società.

Nei confronti di tali soggetti i lavoratori contestavano in giudizio la violazione dell'art. 2112, c.c., al fine di ottenere la prosecuzione del rapporto con le società convenute, nonché la mancata attivazione della procedura di cambio appalto ex art. 4 CCNL di settore, offrendo le proprie prestazioni. E in via di ulteriore subordine, chiedevano che l'appaltatrice fosse condannata al risarcimento del danno subito in conseguenza delle condotte poste in essere in frode alle norme di cui all'art. 2112, c.c.

Si costituivano in giudizio le società convenute, eccependo preliminarmente la decadenza dall'impugnazione della mancata prosecuzione del rapporto alle dipendenze delle società convenute, ai sensi dell'art. 32, comma 4, lett. c), l. n. 183 del 2010; ed eccependo altresì la carenza di interesse ad agire dei ricorrenti e il possibile contrasto di giudicati, avendo i ricorrenti medesimi impugnato il licenziamento intimato dall'originario appaltatore «circostanza incompatibile con la richiesta di essere dichiarati contemporaneamente dipendenti delle società convenute». Le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del licenziamento venivano successivamente transatte e i relativi verbali venivano acquisiti nel giudizio di cui si discorre. Nel merito, chiedevano comunque il rigetto del ricorso, non sussistendo alcun trasferimento di ramo d'azienda.

Il Tribunale di Torino ha accolto l'eccezione di decadenza rilevando l'applicabilità diretta al caso in esame dell'art. 32, comma 4, lett c), l. n. 183 del 2010, che include tra le fattispecie soggette a decadenza proprio la «cessione del contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'art. 2112, c.c., con termine decorrente dalla data del trasferimento.

La questione

La questione oggetto della sentenza in esame è se il termine di decadenza dell'art. 32, comma 4, lett. d), l. n. 183 del 2010, si applichi non solo al caso del lavoratore trasferito e interessato a rimanere presso il cedente, ma anche all'ipotesi in cui il lavoratore non trasferito rivendichi il trasferimento presso l'impresa cessionaria, ad esempio in applicazione di una clausola del contratto collettivo o perché il prestatore in questione è integrato nell'organizzazione dell'articolazione trasferita. In questo caso la pretesa del lavoratore assume contorni diversi poiché è rivolta a un datore con cui il soggetto onerato dell'impugnazione non ha mai avuto alcun rapporto, né formalmente né sostanzialmente.

Le soluzioni giuridiche

A favore della inclusione del caso descritto all'interno delle ipotesi normative della lettera c), si rileva che la norma prevede la decorrenza dalla data del trasferimento senza distinzioni di sorta (App. Palermo 28 dicembre 2016, n. 993. Analog. Trib. Napoli 20 febbraio 2014, est. Lombardi). La stessa sentenza in esame sottolinea come il richiamo alla cessione del contratto sia “improprio”. Pertanto «deve certamente riferirsi al trasferimento d'azienda» come proverebbe anche l'individuazione di una decorrenza dalla data del trasferimento, che sarebbe altrimenti irragionevole.

Si afferma poi che non imporre un termine a pena di decadenza comporterebbe una disparità di trattamento ingiustificata tra lavoratori interessati a rimanere presso il cedente, e lavoratori interessati al passaggio, tenuti solamente al rispetto del termine lungo di prescrizione.

Inoltre, come sottolinea anche la pronuncia in esame, avvalorare una tendenza espansiva del regime della decadenza sarebbe in linea con il progetto del legislatore di conferire certezza ai rapporti tra le parti e di ridurre o far emergere il contenzioso, caratteristiche che sono, come noto, nel corredo genetico dell'istituto disciplinato dagli art. 2964 ss., c.c. (App. Palermo 3 novembre 2016).

A favore della opposta e più convincente ricostruzione, si afferma che la legge pone quale presupposto del regime caducatorio la “cessione del contratto di lavoro” che, per quanto si tratti di espressione non tecnica, presuppone pur sempre un effettivo passaggio. Tale interpretazione è anche conforme al carattere eccezionale della disciplina della decadenza, istituto eccezionale quindi di stretta interpretazione e non estensibile in via analogica ex art. 14, disp. prel. c.c. (Trib. Torino 1° agosto 2014, n. 2375).

Nel caso del lavoratore non trasferito, il passaggio individuale non è mai avvenuto e quindi non è intervenuta alcuna modificazione sul piano della titolarità del contratto individuale di lavoro. Ne segue non può parlarsi, neppure in modo improprio, di “cessione del contratto” (App. Roma 16 gennaio 2015, n. 259; Trib. Roma 24 maggio 2016; Trib. Venezia 5 giugno 2017, n. 177; similmente cfr. Trib. Busto Arsizio 12 luglio 2016, in Lav. giur., 2017, 1, 102). E tuttavia questo indirizzo conferma che, al contrario di quanto ritiene la sentenza in commento, l'improprietà di linguaggio del legislatore non può essere “sfruttata” per ignorare la lettera della legge.

Inoltre, in mancanza di un passaggio individuale, il singolo lavoratore potrebbe non avere alcuna conoscenza del trasferimento di talché il termine per impugnare comincerebbe a decorrere senza che il lavoratore non solo non sia stato destinatario di alcun atto datoriale, ma neppure sia – o debba essere – consapevole del fatto del trasferimento (Trib. Busto Arsizio 12 luglio 2016). Ciò implica che la decorrenza del termine dalla data del trasferimento non opera qualora la cessione non si sia ancora verificata in quanto nel caso descritto la fattispecie si è perfezionata solo in parte.

Con riferimento a tale profilo, la sentenza in esame ha ritenuto comunque provata, pur in assenza di un passaggio individuale, la conoscenza del trasferimento da parte dei lavoratori interessati alla prosecuzione del rapporto con il nuovo appaltatore. Ciò in quanto i lavoratori in questione, avendo rifiutato la proposta di assunzione presso l'agenzia di somministrazione – o al più tardi dalla data del successivo licenziamento – avevano avuto piena contezza del primo trasferimento. Perciò ha ritenuto, in assenza di impugnazione nei termini di legge, che fosse intervenuta la decadenza nei confronti delle appaltatrici subentranti.

Osservazioni

In estrema sintesi, la sentenza in esame sembra adottare una interpretazione analogica di una norma eccezionale dato che applica la disciplina della lett. c) del comma quarto dell'art. 32, l. n. 183del 2010, a una fattispecie che non presuppone un trasferimento effettivamente realizzatosi anche sul piano individuale. Viceversa, per usare le parole di una attenta dottrina, la norma citata contempla esclusivamente la «pretesa di proseguire il rapporto presso il cedente” (In tal senso A. Preteroti, Il principio di continuità dei rapporti di lavoro nella disciplina del trasferimento d'azienda in crisi, RIDL, 2018, 437 ss., ivi, 468, in linea con E. Boghetich, Tutele dei diritti cit., 81-82).

I lavoratori del caso in esame non pongono in discussione la “genuinità” del pregresso rapporto con il cedente e pertanto ben potevano contestare il mancato passaggio anche oltre i termini brevi dell'art. 6, l. n. 604 del 1966.

Peraltro, resta oscura l'argomentazione adottata in ordine alla conoscenza del trasferimento quale presupposto per la decorrenza del termine decadenziale. E non si può non sottolineare che la sentenza di Cassazione richiamata a sostegno in uno snodo fondamentale del discorso (Cass. 25 maggio 2017, n. 13179), ritiene invero inapplicabile sia la lettera c) sia la lettera d) ai casi come quello oggetto della pronuncia in esame.

A fronte del permanere di incertezze interpretative in giurisprudenza, è consigliabile per prudenza contestare anche il mancato passaggio nei termini di decadenza dettati dalla legge.

Una volta esclusa la riconducibilità del caso in esame all'ipotesi prevista dalla lettera c), resta da domandarsi se, per il caso del lavoratore che pretenda il passaggio alle dipendenze del cessionario (o comunque del nuovo appaltatore), possa ricorrere la diversa ipotesi della lett. d), ai sensi della quale si applicano i termini di decadenza dell'art. 6, l. n. 604 del 1966 a “ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'art. 27, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”. La pronuncia non affronta tale questione, probabilmente perché non era stata formulata anche una eccezione ai sensi della lettera d) citata ovvero semplicemente perché la decisione su tale eccezione è rimasta assorbita nella valutazione di applicabilità della lett. c). Tuttavia, si può rilevare che, nonostante l'ampia formulazione e il carattere “residuale”, questa disposizione sembra presupporre che la relazione lavorativa tra lavoratore del cedente e cessionario sia stata già instaurata in via di fatto. Inoltre, difetterebbe l'“evento negoziale” tipico anche delle altre ipotesi di decadenza che segna il momento a partire dal quale il lavoratore muove una specifica contestazione.

Minimi riferimenti bibliografici

Preteroti A., Il principio di continuità dei rapporti di lavoro nella disciplina del trasferimento d'azienda in crisi, in Riv. it. dir. lav., 2018, 437 ss.;

Potatuto Donati M., Decadenza e posizione del lavoratore, ESI, 2018, 248;

Garzia M.A., Tutela del lavoratore escluso nel trasferimento di ramo d'azienda, in Lav. giur., 2016, 11, 1005.

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