Mediazione obbligatoria e questioni pratiche (controversie ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010)
16 Aprile 2019
Controversie assoggettate alla mediazione obbligatoria
Le ipotesi di mediazione obbligatoria sono, attualmente, identificate, dall'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 e riguardano le controversie vertenti in materia di:
Per queste controversie (salvo le esclusioni di cui si dirà) l'esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità dell'eventuale successiva domanda giudiziale. Tuttavia, ai sensi del terzo comma del medesimo art. 5, lo svolgimento della mediazione non può precludere la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari(né la trascrizione della domanda giudiziale). Inoltre, la condizione di procedibilità connessa all'esperimento obbligatorio del procedimento di mediazione è soddisfatta anche quando, per le materie ivi regolate, si esperisca, al posto della mediazione, il procedimento di conciliazione previsto dal d.lgs. n. 179/2007 (recante “Istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell'articolo 27, commi 1 e 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 262”), ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al d.lgs. n. 385/1993. Tali procedimenti di risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, previsti innanzi all'Arbitro Bancario Finanziario (ABF) ed alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la Consob, vanno, infatti, considerati come pienamente alternativi al procedimento di mediazione. Infine, si osserva che la riforma del 2013 ha escluso dall'elenco delle controversie assoggettate alla disciplina della mediazione obbligatoria quelle in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (originariamente previste nella disciplina del 2010) e ha esplicitamente aggiunto, accanto alle controversie in materia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica (assoggettate all'obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), anche quelle derivanti dalla responsabilità sanitaria. Esclusioni
Lo stesso art. 5, comma 1-bis elenca i casi in cui la disciplina della mediazione obbligatoria non trova applicazione. In particolare, non è prevista la necessità di tentare la mediazione:
Inoltre, non è necessario ricorrere alla mediazione obbligatoria nel caso di azione inibitoria prevista dall'art. 37 del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo), in base al quale le associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti, nonché le camere del commercio, dell'industria, dell'artigianato e dell'agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzano o che raccomandano l'utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l'uso delle condizioni di cui sia accertata la natura abusiva, nonché nel caso di azione prevista sempre dal codice del consumo agli artt. 140 e 140-bis, così come modificato dal d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221, relativa alla possibilità per associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale di agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo, in sede giurisdizionale, di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti, di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, nonché di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. In tali ipotesi, pertanto, seppur non trova applicazione la disciplina della mediazione obbligatoria, sembra, tuttavia, salva la possibilità di ricorrere ugualmente al procedimento di mediazione (facoltativa o volontaria), senza, però, che il mancato esperimento di detto procedimento precluda l'introduzione della causa ordinaria. D'altronde, lo stesso art. 140 del codice del consumo, al comma 2, prevede la possibilità di attivare, prima del ricorso al giudice, una procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio o agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo previsti dall'art. 141 dello stesso d.lgs. del 2005, n. 206. Condominio
Con il cd. “decreto del fare” è entrato definitivamente in vigore l'art. 71-quaterdisp. att. c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220, disciplinante il procedimento di mediazione per le controversie in materia di condominio. Ai sensi del suddetto articolo, «per controversie in materia di condominio, ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice (artt. 1117-1139 c.c.) e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l'attuazione del codice». Rientrano, pertanto, oltre alle questioni riguardanti strettamente il condominio inteso come vicende relative alle parti comuni, anche questioni relative alla nomina, revoca ed obblighi dell'amministratore (art. 1129 c.c.); alle attribuzioni dell'amministratore (art. 1130 c.c.); al rendiconto condominiale (art. 1130-bis c.c.); o, ancora, alle attribuzioni dell'assemblea dei condomini (art. 1135 c.c.), alla validità delle deliberazioni (art. 1136 c.c.), all'impugnazione delle delibere assembleari (art. 1137 c.c.), al regolamento di condominio (art. 1138 c.c.); alla riscossione dei contributi condominiali (art. 63 disp. att. c.c.), alla modifica delle tabelle millesimali (art. 69 disp. att. c.c.) etc.. Inoltre, nella disciplina della mediazione rientrano anche le controversie in tema di riscossione dei contributi ma, poiché, a norma dell'art. 5, comma 4, del d.lgs.n. 28/2010, la mediazione non si applica «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione», la disciplina della mediazione obbligatoria si applica nei procedimenti di opposizione al decreto ingiuntivo, solo a seguito della pronuncia giudiziale sulla sospensione o sulla provvisoria esecuzione. Dalla mediazione sono esclusii procedimenti cautelari e di istruzione preventiva, i procedimenti di sfratto, i procedimenti possessori, i procedimenti incidentali in materia di esecuzione, i procedimenti in camera di consiglio così come disciplinato dall'art.5,comma 4, del d.lgs. n.28/2010 (anche se in quest'ultima ipotesi, come si vedrà più avanti vi sono novità in giurisprudenza). L'art. 71-quater disp. att. c.c. dispone al terzo comma che al procedimento «è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.». Pertanto, il quorum deliberativo deve essere costituito, sia in prima che in seconda convocazione, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell'edificio. Tuttavia, se i termini di comparizione davanti all'organismo di mediazione non consentono di ottenere la delibera di legittimazione in favore dell'amministratore, è possibile ottenere (previa apposita istanza) una “proroga” della data di prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza richiesta dall'art. 1136, comma 2, c.c., laddove non si raggiunge la predetta maggioranza, quest'ultima si deve intendere non accettata. Pertanto, il mediatore dovrebbe fissare il termine per l'accettazione o meno della proposta ai sensi dell'art.11 d.lgs. n.28/2010, tenendo conto della necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare. In ogni caso, il termine di tre mesi di durata massima della mediazione ex art. 6 del d.lgs. n. 28/2010, in mancanza di specifiche disposizioni, si ritiene applicabile anche alle controversie condominiali. L'art. 5, comma 4, lett. f) d.lgs. n. 28/2010 esclude dalla mediazione obbligatoria i procedimenti in camera di consiglio. Pertanto, l'esclusione dovrebbe riguardare anche l'azione per la revoca dell'amministratore di condominio, come espressamente previsto dall'art. 64 disp. att. c.c.. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di merito, poiché l'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 ha previsto il procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche per le azioni relative a controversie in materie di condominio e l'art. 71-quater, disp. att. c.c. elenca espressamente, tra le controversie condominiali, quella relativa alla revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 64 disp. att. c.c., non vi dovrebbero essere dubbi sull'applicabilità obbligatoria della mediazione al caso di specie, a nulla rilevando che la previsione contenuta dal d.lgs. n. 28/2010 esclude, in via generale, l'applicabilità dell'obbligatorietà della mediazione per i procedimenti in camera di consiglio di cui agli artt.737 e ss. c.p.c., essendo evidente che gli artt. 64 e 71-quater disp. att. c.c. rappresentino norme speciali. Pertanto, preliminarmente al deposito del ricorso per la revoca dell'amministratore condominiale ai sensi degli artt. 1129 comma 11 c.c. e 64 disp. att. c.c., occorre – a pena d'improcedibilità della domanda – esperire il tentativo obbligatorio di mediazione di cui all'art. 71-quater disp. att. c.c. introdotto dall'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Macerata, 10 gennaio 2018; Trib. Vasto, 4 maggio2017; Trib. Padova, 24 febbraio 2015). Sembrava che la medesima soluzione fosse stata adottata anche da una recentissima ordinanza della Suprema Corte (Cass. civ., ord., 18gennaio 2018 n. 1237). Ma, in realtà, in tale sede, la Cassazione si è occupata prevalentemente della possibilità di impugnare ex art.111 Cost. il decreto con cui la Corte d'appello aveva provveduto su un reclamo avverso il decreto emesso dal tribunale in materia di revoca dell'amministratore di condominio, ritendendolo inammissibile, in quanto provvedimento di volontaria giurisdizione, senza entrare nel merito della questione in esame. Secondo la giurisprudenza di merito, nell'ipotesi di mancato pagamento dei compensi professionali in favore dell'amministratore, quest'ultimo deve preliminarmente invitare il condominio presso un organismo di mediazione territorialmente competente, pena l'improcedibilità della domanda giudiziale (Trib. Bari, 26 maggio 2014). Infatti, avendo la domanda ad oggetto l'adempimento delle obbligazioni del condominio nei confronti amministratore ed essendo le norme che prevedono il compenso in favore dell'amministratore tra quelle indicate nell'ambito di applicabilità della mediazione obbligatoria (art. 71-quater, disp. att. c.c.; in particolare l'art.1135, comma 1, c.c. pone tra le attribuzioni dell'assemblea condominiale quella di determinare la retribuzione dell'amministratore; l'art.1129, comma 14, c.c. prevede che, all'atto della accettazione della nomina, l'amministratore debba specificare l'importo del compenso) l'esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità giudiziale. Segue. Mediazione e impugnazione della delibera assembleare
L'art.1137, comma 2, c.c., prevede che il termine per impugnare una delibera condominiale è di trenta giorni che decorre, rispettivamente, dalla data della deliberazione per i dissenzienti o gli astenuti, e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Tuttavia, poiché a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 71-quater delle disposizioni di attuazione del codice civile, il procedimento di mediazione è diventato obbligatorio anche per le controversie in materia di condominio, ci si è interrogati su quale fosse il momento che bisogna considerare per evitare che maturi la decadenza dall'impugnazione. A tal riguardo, il tribunale di Savona con sentenza 2 marzo 2017, ribadendo quanto era già stato affermato dal tribunale di Palermo con sentenza n. 4951/2015,ha ritenuto che gli effetti impeditivi della decadenza sono collegati alla comunicazione della domanda di mediazione alle parti, e non già al mero deposito della domanda di mediazione presso l'organismo prescelto. Pertanto, «il solo deposito dell'istanza di mediazione non produce effetti interruttivi della prescrizione o della decadenza della domanda giudiziale»,con la conseguenza che laddove un condomino impugni una delibera assembleare provvedendo a depositare l'istanza di mediazione presso l'organismo di mediazione, il trentesimo giorno dalla data di avvenuta comunicazione del verbale assembleare, e solo successivamente la comunichi, l'impugnazione sarà inammissibile. Inoltre, ci si chiede se la comunicazione dell'istanza di mediazione interrompe o sospende il termine di decadenza e se instaurato il giudizio, a seguito di un procedimento di mediazione terminato con esito negativo, il termine decorre nuovamente per intero (effetto interruttivo) ovvero riprende solo per gli ulteriori giorni mancanti fino al trentesimo (effetto sospensivo)? La questione era stata affrontata e risolta inizialmente dal tribunale di Palermo con sentenza 18 settembre 2015 n. 4951, il quale, sul presupposto che l'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 non richiamasse espressamente l'art.2943, comma 2, c.c., affermava che il procedimento di mediazione sospendeva e non interrompeva il termine decadenziale per l'impugnazione della delibera condominiale di cui all'art. 1137 c.c.. Tuttavia, tale pronuncia è stata, poi, contraddetta dalla successiva giurisprudenza di merito (Trib. Milano, n.13360/2016, Trib. Monza, 12 gennaio 2016, n.65), secondo la quale la domanda di mediazione non sospende, ma interrompei termini di cui all' art. 1137 c.c.. La differenziazione degli effetti è importante. Infatti, se la domanda di mediazione si limitasse solo a sospendere il termine di cui all' art. 1137 c.c., per impugnare in tribunale una delibera condominiale, dopo il fallimento della mediazione, si avrebbe un numero di giorni pari alla differenza tra i trenta giorni previsti dal codice civile e quelli intercorsi fino alla comunicazione dell'istanza di mediazione. Al contrario, se la domanda di mediazione interrompeil termine di cui all'art. 1137 c.c., dopo il deposito del verbale negativo della mediazione, si avrebbero, da capo, tutti i trenta giorni per depositare la domanda in tribunale (o dal giudice di Pace, a seconda della competenza). Pertanto, non appare conforme alla ratio e alla lettera dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28/2010, opinare che, ai fini dei 30 giorni di cui all'art. 1137 c.c., la mediazione operi come una causa di “sospensione”, nel senso che, alla cessazione del relativo procedimento, consacrata dal deposito del verbale negativo, il termine di decadenza, temporaneamente neutralizzato, “riprende a decorrere” dal punto di progressione che aveva raggiunto al momento della comunicazione della domanda di mediazione al condominio. Bensì, una volta comunicata al condominio la domanda di mediazione, la decadenza viene impedita “per una sola volta”. Se, poi, il tentativo fallisce, la domanda giudiziale di impugnazione della deliberazione assembleare deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza di trenta giorni di cui all'art. 1137, comma 2, c.c., decorrente ex novo e per intero dal deposito del verbale di mancata conciliazione presso la segreteria dell'organismo. Infine, sempre in tema di mediazione e impugnazione di delibera condominiale, è da segnalare la sentenza del Trib. Pistoia 25 febbraio 2017 che si pone nella scia di una certa giurisprudenza che tende ad imporre oltremodo il procedimento di mediazione già reso per legge obbligatorio, mediante un'eccessiva formalizzazione a discapito della volontà delle parti. Infatti, il tribunale di Pistoia ha dichiarato improcedibile la domanda di parte attrice, volta all'annullamento di una delibera condominiale, per non essersi la stessa presentata personalmente al tentativo di mediazione, ma solamente tramite un sostituto del suo procuratore, in quanto la parte avente interesse ad assolvere la condizione di procedibilità (ovvero l'attrice), ha l'onere di partecipare personalmente al procedimento davanti al mediatore, contemplando l'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 la sola funzione di assistenza e non di rappresentanza della parte. Locazione
In virtù della riforma, attuata con d.l. n. 69/2013, convertito con modificazioni in l. n. 98/2013, è stata reintrodotta l'obbligatorietà del procedimento di mediazione anche alle cause di locazione, pena l'improcedibilità della successiva domanda giudiziale. Tuttavia, ai sensi dell'art.5, comma 4, lett. b) d.lgs. n. 28/2010 le disposizioni dei commi 1-bis e 2 (ovvero quelle che dispongono l'obbligatorietà della mediazione e l'improcedibilità della domanda giudiziale) non si applicano «b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art.667 c.p.c.». Ciò comporta che, nell'ordinanza di mutamento del rito, il giudice deve invitare le parti alla mediazione e l'intimante, se non vuole incorrere nella relativa declaratoria di improcedibilità, deve avviare il procedimento entro quindici giorni dalla data dell'udienza in cui è stato disposto il mutamento del rito. Pertanto, al riguardo, si è discusso su quali conseguenze potesse avere la pronuncia di improcedibilità sull'ordinanza ex art.665 c.p.c. con la quale il giudice ha disposto il rilascio dell'immobile e, in particolare, se questa potesse conservare o meno la sua efficacia. Dal punto di vista giuridico l'atto conclusivo del procedimento sommario di sfratto, quale è l'ordinanza di rilascio, sebbene non idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito (Trisorio Liuzzi G., 789 ss.). Sebbene esiste, tuttora, un dibattito in merito alla natura di tale atto (Porreca P., 201; Lombardi A., 448) e, quindi, in merito alle conseguenze in caso di estinzione del procedimento di merito, la soluzione più aderente alla ratio dell'intero procedimento in esame sembra essere quella secondo la quale, se all'interno di un processo a cognizione piena si inserisca un subprocedimento che si concluda con un provvedimento sommario anticipatorio della soddisfazione del diritto di una parte, nulla disponendo (il legislatore) circa la sorte dell'ordinanza, questa verrebbe disciplinata dall'applicazione analogica del principio desumibile dall'art. 653 c.p.c. secondo cui l'efficacia del provvedimento sommario non cautelare non verrebbe travolta dall'estinzione del giudizio a cognizione piena. Pertanto, se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione, anche se non espressamente richiamata dagli artt. 665-667 c.p.c., vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, quest'ultima si stabilizza. Ne consegue che l'espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al d.lgs. 28/2010 va riferita alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente e alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e.o dall'intimato (essenzialmente pagamento somme). Pertanto, nel caso in cui il procedimento di mediazione non venga instaurato, tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall'intimato, mentre l'ordinanza di rilascio sopravvive e si stabilizza (Trib. Bologna, sent., 17 novembre 2015; Trib. Rimini, sent., 24 maggio 2016). Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo
Molto si è discusso e ancora si continua a dibattere in giurisprudenza sulle conseguenze della declaratoria di improcedibilità della domanda nei giudizi aventi ad oggetto l'opposizione a decreto ingiuntivo per il mancato avvio della procedura e su chi abbia l'onere di promuovere la mediazione (“obbligatoria” o “delegata”) e, quindi, abbia interesse ad evitare la relativa declaratoria di improcedibilità. Precisamente, si pone il problema se, nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'improcedibilità debba intendersi riferita all'azione originariamente proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione sfociato nell'emanazione del decreto ingiuntivo poi opposto o se, invece, debba intendersi debba intendersi riferita all'azione proposta dal debitore ingiunto. Nel primo caso dovrebbe ritenersi privato di efficacia il decreto ingiuntivo emesso, mentre nel secondo caso, al contrario, l'improcedibilità dell'azione proposta dall'opponente porterebbe al definitivo ed irrimediabile consolidarsi del decreto ingiuntivo. Secondo una prima tesi, l'improcedibilità dovrebbe intendersi riferita all'azione originariamente proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione sfociato nell'emanazione del decreto ingiuntivo poi opposto, con conseguente inefficacia del decreto ingiuntivo (Trib. Cuneo, 1 ottobre 2015; Trib. Ferrara, 7 gennaio 2015; Trib. Varese, 18.05.2012. In dottrina, Minelli G., 1153 e ss.). Questa tesi valorizza la consolidata giurisprudenza circa l'oggetto del giudizio di opposizione, giacché la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria. Ne seguirebbe che il convenuto opposto, titolare delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, sarebbe l'unico soggetto che, proponendo la “domanda giudiziale”, avrebbe, pertanto, l'onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa, gli effetti della relativa omissione, ovvero la declaratoria di improcedibilità. Diversamente argomentando, vi sarebbe «un irragionevole squilibrio ai danni del debitore, che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito ma, nella procedura successiva alla fase sommaria, verrebbe gravato di un altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui, e ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore». Invece, secondo la tesi prevalente, l'improcedibilità deve intendersi riferita all'azione proposta dal debitore ingiunto con l'atto di citazione in opposizione e il mancato esperimento della mediazione gioverebbe al convenuto opposto, determinando il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto e, dunque, la sua definitività (Trib. Firenze, 21 aprile 2015; Trib. Nola, 24 febbraio 2015; Trib. Bologna, 20 gennaio 2015; Trib. Firenze, 30 ottobre 2014; Trib. Rimini, 5 agosto 2014; Trib. Siena, 25 giugno 2012; Trib. Prato, 18 luglio 2011. In dottrina, Lupoi M.A., 12 e ss.). In pratica, secondo questo orientamento, confermato anche dal dettato normativo che esclude il ricorso alla “mediazione obbligatoria” e a quella “delegata” «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione», l'esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione e, comunque, dopo l'adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sull'esecutività del provvedimento monitorio emesso, in quanto lo svolgimento della procedura di mediazione è, sostanzialmente, incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell'opposizione, il cui termine di proponibilità è contingentato dall'art. 641 c.p.c.. Al riguardo è intervenuta anche la Suprema Corte (sentenza 3 dicembre 2015, n. 24629) la quale ha affermato che «nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la parte su cui grava l'onere di introdurre il percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lgs. n. 28/2010, è la parte opponente», essendo, quest'ultimo, prosegue la Corte, la parte «che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito». «È, dunque, sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga». Peraltro, «la diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice». Inoltre, «non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà l'opposizione allo stesso decreto ingiuntivo». Tuttavia, a seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di merito continua a dividersi. In senso conforme alla Suprema Corte si è affermato che l'onere di attivare la procedura di mediazione, sanzionato a pena di improcedibilità, deve gravare sulla parte processuale che, con la propria iniziativa, ha provocato l'instaurazione del processo assoggettato alle regole del rito ordinario di cognizione: nel procedimento monitorio, tale parte si identifica nel debitore opponente. Tale tesi: è coerente con le finalità deflattive sottese alla normativa sulla mediazione; ha il pregio di evitare le illogiche conseguenze dell'impostazione avversaria che, nell'affermare l'improcedibilità della domanda monitoria e la necessaria revoca del decreto ingiuntivo, produce come effetto quello di cancellare attività procedurali che il creditore opposto si troverà a dovere riproporre, con ulteriori dispendio di tempo e di risorse pubbliche; disincentiva, in funzione deterrente, la prosecuzione di opposizioni strumentali e dilatorie (Trib. Vasto, 30 maggio 2016). In senso conforme alla Cassazione si segnalano, tra le altre, Trib. Rovigo, 9 settembre 2018; Trib. Napoli Nord, sez. III, 28 giugno 2018; Trib. Bologna, sez. II, 8 marzo 2018, n. 769; Trib. Torre Annunziata, 5 dicembre 2017, n. 3056; Trib. Roma, 2 ottobre 2017, n. 18495; Trib. Torino, 4 ottobre 2017, n. 4613; Trib. Cosenza, 5 maggio 2016; Trib. Napoli, 21 marzo 2016, n. 3738; Trib. Trento, 23 febbraio 2016 n. 177; Trib. Monza, 21 gennaio 2016 n. 156. In senso difforme all'orientamento sostenuto dalla Cassazione si è, invece, affermato che l'onere della mediazione incombe sul creditore opposto, atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l'azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa (Trib. Grosseto, 7 giugno 2018, n. 566; App. Milano, 7 giugno 2017, n. 2515; Trib. Vasto, sez. lav., 27 settembre 2017; Trib. Firenze, sez. spec. impresa, 16 febbraio 2016; Trib. Busto Arsizio, 3 febbraio 2016 n. 199; Trib. Firenze, 17 gennaio 2016). Conclusioni
L'introduzione dell'istituto della mediazione, nonché la sua obbligatorietà ad alcune materie ha dato luogo a problemi di coordinamento con le precedenti discipline che regolamentavano le stesse. Tuttavia, la giurisprudenza, nell'ottica di incoraggiare il diffondersi di tali meccanismi di ADR, nel corso degli anni, ha elaborato orientamenti che hanno cercato di conciliare l'intento deflattivo di tale strumento con le singole controversie previste nell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010, caratterizzate da un elevato grado di conflittualità, in modo da risolvere i molteplici aspetti controversi che l'applicazione pratica ha sollevato. Pertanto, può, certamente concludersi, che tale istituto, se utilizzato in modo adeguato, ha le potenzialità necessarie per contenere la dispersione di energie processuali nella gestione delle miriadi di cause che intasano le aule giudiziarie, nonché per diminuire i tempi di definizione e risoluzione delle stesse controversie. Riferimenti
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