Sulla legittimità della nomina “implicita” del difensore desumibile per facta concludentia
17 Aprile 2019
Massima
Il conferimento “implicito” del mandato difensivo, rappresenta un caso eccezionale e può essere desunto per facta concludentia solo quando la nomina possa essere evidentemente ricollegata a un comportamento processualmente riscontrabile da parte dell'imputato tale da evidenziare in maniera incontrovertibile il conferimento da parte dello stesso di mandato fiduciario. Il caso
La sentenza in commento riguarda il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato Tizio avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Genova che aveva dichiarato inammissibile l'atto di appello in quanto presentato dal difensore di Tizio sprovvisto di un formale atto di nomina. Il difensore di Tizio impugnava la sentenza della Corte di Appello sostenendo che la sentenza della Corte di Appello fosse in aperta violazione delle lettere b) ed e) dell'art. 606 c.p.p. per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata considerazione del fatto che - pur non essendo stato depositato nemmeno in allegato al ricorso alcun atto di nomina - sarebbe assolutamente singolare che il difensore avesse proposto l'impugnazione senza alcuna investitura da parte dell'imputato. La questione
La questione oggetto della sentenza in oggetto è molto lineare ed è stata più volte trattata dalla giurisprudenza di legittimità: è ammissibile un atto presentato da un difensore che non abbia ricevuto formale mandato difensivo ai sensi dell'art. 96 c.p.p. ove la volontà di nominare quel difensore da parte dell'imputato emerga chiaramente da alcuni “elementi di fatto” inequivocabili? Devono essere rispettate le - pochissime - formalità richieste dall'art. 96 c.p.p. per il conferimento del mandato difensivo, o deve essere preferito un approccio sostanzialista che possa, in astratto, tutelare gli interessi dell'imputato e ritenere valido l'atto presentato nel suo interesse anche in assenza di una formale investitura? Le soluzioni giuridiche
Nell'affrontare la summenzionata questione giuridica, la Corte si è inserita nel solco di un ormai unanime orientamento di legittimità in tema di conferimento “implicito” del mandato difensivo desumibile per facta concludentia. Un approccio sostanzialistico, finalizzato a garantire, comunque, gli interessi dell'imputato ma ovviamente tenendo in considerazione il rispetto delle formalità previste per il conferimento del mandato difensivo. Formalità che, come è noto, che sono “normativamente” elastiche e poco rigorose. Come è noto, infatti, l'art. 96 c.p.p.. prevede tre diverse modalità attraverso le quali il soggetto può conferire un mandato difensivo (oltre al caso del soggetto in stato di arresto per il quale la legge prevede la possibilità di conferimento del mandato dai prossimi congiunti ex art. 96, comma 3, c.p.p.). La nomina può essere correttamente conferita attraverso una dichiarazione scritta o orale all'autorità procedente direttamente dall'indagato/imputato, può essere consegnata all'autorità di cui sopra dal difensore nominato e può, altresì, essere spedita all'autorità tramite raccomandata. Il contenuto dell'atto di nomina è fondamentalmente libero e deve contenere le generalità dell'assistito, del difensore ed il riferimento al procedimento per il quale interviene la nomina. La norma in parola prevede, pertanto, molteplici modalità di conferimento e di deposito della nomina e pochissimi requisiti di tipo “formale”. La questione si pone quando un atto venga formato e depositato da un soggetto che agisce nell'interesse del suo assistito senza che vi sia alcun formale atto di nomina trasmesso in una delle forme previste dall'art. 96 c.p.p. L'orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione tende, fondamentalmente, a “salvare” l'atto presentato dal difensore non formalmente investito per tutelare maggiormente gli interessi dell'imputato. Secondo tale orientamento giurisprudenziale, infatti, «In tema di nomina del difensore di fiducia, l'art. 96 del c.p.p. non è una norma inderogabile ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile di una interpretazione amplia ed elastica così da doversi considerare valida la nomina del difensore che possa desumersi per facta concludentia pur se non fatta con il puntuale rispetto delle formalità indicate nel comma 2 dello stesso articolo 96» (Cass. pen. Sez. II n. 40827/2014 Pres. Iannelli; Rel. Alma). Sulla scorta di questo unanime orientamento, anche nella sentenza in parola, la Suprema Corte ha ribadito l'esistenza di «un orientamento di questa Corte per cui risulta valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 c.p.p., in presenza di elementi inequivoci dai quali la designazione possa desumersi per "facta concludentia"», ma ha contestualmente ribadito che si tratta, comunque, di un'ipotesi eccezionale che può verificarsi solo in presenza di specifiche condizioni. Secondo la Corte, infatti, «si può ritenere sussistente una nomina implicita del difensore in quanto tale nomina possa univocamente e evidentemente essere ricollegata a un comportamento processualmente riscontrabile da parte dell'imputato tale da evidenziare in maniera incontrovertibile il conferimento da parte dello stesso di mandato fiduciario. Trattasi infatti di ipotesi assolutamente eccezionale perché contrastante con il principio generale della necessaria formalizzazione della nomina al fine di rendere la stessa oggettivamente riconoscibile, in ragione della serietà e pluralità di conseguenze che la nomina del difensore di fiducia ha in termini di comunicazioni, notificazioni e conseguenti oneri. Ne consegue che, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare all'interno del fascicolo una condotta inequivocabilmente espressiva di tale volontà, non possa in alcun modo ritenersi presente alcuna nomina implicita». Sulla scorta di tale principio, conforme alla precedente giurisprudenza della Corte di Legittimità, la Corte non ha ritenuto ammissibile, nel caso di specie, l'atto di appello e ha dichiarato ammissibile il ricorso confermando la sentenza della Corte di Appello. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, nel caso di specie manca, al momento della decisione in grado di appello, «alcun elemento per ritenere la presenza di una nomina implicita/in difetto di alcun elemento riferibile all'imputato personalmente e presente in atti univocamente espressivo di una manifestazione di volontà - anche implicita - dell'imputato medesimo». Pertanto, pur ribadendo l'approccio “garantista” della precedente giurisprudenza, la Corte con questa pronuncia ha rimarcato l'eccezionalità di un mandato desumibile per “facta concludentia”. Osservazioni
La sentenza in esame, come evidenziato in precedenza, si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che, correttamente, tende a “salvare” l'atto presentato nell'interesse dell'imputato e garantire i suoi diritti. Ovviamente, come ricordato dalla Corte anche in questa occasione, si tratta sempre di un'ipotesi “eccezionale” che può verificarsi solo in presenza di specifici, concreti, univoci “facta concludentia” dai quali si possa desumere, inequivocabilmente, la volontà dell'imputato di conferire a quel difensore il mandato difensivo. E ciò in quanto, soprattutto in presenza delle pochissime formalità prescritte dall'art. 96 c.p.p. per il conferimento di un mandato difensivo, non sarebbe corretto un approccio totalmente “sostanzialista” teso a salvare, in ogni caso, l'atto presentato nell'interesse dell'imputato. E ciò in quanto un approccio così estremo svuoterebbe di significato il conferimento di un mandato difensivo. Pertanto la Corte, pur ribadendo il principio ormai consolidato della possibilità (pur sempre eccezionale) di ritenere legittimo un mandato difensivo “implicito” desumibile da facta concludentia, nel caso di specie ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato in quanto non sono presenti quegli elementi che, in modo inequivoco, fanno emergere la volontà dell'imputato in relazione al conferimento del mandato difensivo. |