I rapporti tra sezioni ordinarie e specializzate per l’impresa: serve l’intervento nomofilattico

Alessio Luca Bonafine
24 Aprile 2019

Va rimessa al Primo Presidente, perché valuti l'opportunità di rimessione alle Sezioni Unite, la questione della configurabilità come decisione sulla competenza dell'ordinanza con cui il giudice assegnato ad una sezione ordinaria declini la propria potestà giurisdizionale in favore di sezione specializzata dello stesso Tribunale.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente, perché valuti l'opportunità di rimessione alle Sezioni Unite, la questione della configurabilità come decisione sulla competenza dell'ordinanza con cui il giudice assegnato ad una sezione ordinaria declini la propria potestà giurisdizionale in favore di sezione specializzata dello stesso Tribunale.

Il caso

L'ordinanza di rimessione in esame affronta la tematica della distribuzione delle controversie tra sezioni (ordinarie e specializzate) dello stesso Tribunale; in particolare, ponendo il tema della qualificazione dei rapporti sub specie di competenza in senso stretto ovvero di mera ripartizione interna degli affari.

La questione e le possibili soluzioni

Si tratta, come noto, di questione non nuova alle riflessioni della dottrina che, prima, in ragione della istituzione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale ad opera del D.Lgs. n. 168/2003 e, poi, con la loro trasformazione in sezioni specializzate in materia di impresa attraverso il D.L. n. 1/2012 (convertito in L. n. 27/2012), ha a lungo provato a riempiere una evidente lacuna del testo normativo che ha costituito altresì occasione per un profondo contrasto anche giurisprudenziale non privo di conseguenze concettuali ed operative derivanti dalla presa di posizione in merito alla soluzione cui aderire.

Rinviando ad altra sede l'esame più approfondito delle conclusioni accolte da chi si è già occupato del tema (v., tra gli altri e senza pretesa di completezza, Baccaglini, Sezioni specializzate per l'impresa e competenza per materia, in Riv. dir. proc., 2016, 857 ss.; Balena, L'istituzione del tribunale delle imprese, in Giusto proc. civ., 2012, 339 ss.; Borriello-Guadagno, Rapporto tra sezione delle imprese e altre sezioni dello stesso ufficio giudiziario, in Le Società, 2017, 93 ss.; Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni ordinarie: questione di competenza?, in Dir. ind., 2011, 231 ss.; Id., Sui rapporti tra sezioni specializzate per l'impresa e sezioni ordinarie del tribunale, in Giur. It., 2018, 2674 ss.; Giussani, L'attribuzione delle controversie industrialistiche alle sezioni per l'impresa, in Il processo industriale, a cura di Giussani, Torino, 2012, 5 ss.; Santagada, La competenza per connessione delle sezioni specializzate in materia di imprese, in Riv. dir. proc., 2014, 1361 ss.; Id., Sezioni specializzate per l'impresa, accelerazione dei processi e competitività delle imprese, ivi, 2012, 1270 ss.; Graziosi, Dall'arbitrato societario al tribunale delle imprese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 103 ss.), e dando per acquisito che alle sezioni specializzate in materia di impresa possano estendersi le considerazioni elaborate in relazione alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, le posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità sulla qualificazione del rapporto in discussione sono analiticamente ricostruite dalla ordinanza in epigrafe.

La tesi divenuta dominante dal 2011 (v., ex multis, Cass. 22 novembre 2011, n. 24656; Cass. 20 settembre 2013, n. 21668; Cass. 10 giugno 2014, n. 13025; Cass. 24 maggio 2017, n. 13138; Cass. 24 novembre 2017, n. 28167; Cass. 29 marzo 2018, n. 7882) assegna alla questione una valenza esclusivamente tabellare, sicché non sarebbe possibile immaginare di discorrere di rapporti tra uffici autonomi, dovendosi piuttosto fare richiamo al concetto di competenza in senso lato o meramente interna.

A sostegno di tale conclusione sono richiamati differenti argomenti, che l'ordinanza dà l'impressione di condividere.

Innanzitutto, quello letterale. Il legislatore in effetti non spende, al di là delle accattivanti definizioni ufficiose accolte nella prassi, la formula del «Tribunale delle imprese» – invece presente nel primo testo del D.L. n. 1/2012 – ricorrendo in sede di conversione a quella di «sezioni specializzate», la quale sembra evocare proprio l'idea dell'articolazione interna al singolo ufficio. Per queste vie nemmeno la competenza per materia affidata alle sezioni dall'art. 3 D.Lgs. n. 168/2003 risulterebbe dirimente atteso che la previsione – non diversamente da quella contenuta nell'art. 409 c.p.c. e nell'art. 24 l.fall. – non andrebbe sovrastimata e sarebbe piuttosto da intendere come semplice criterio di individuazione delle controversie rimesse alle sezioni e non anche quale regola di relazione tra le stesse.

D'altronde, a volere ricercare un suggerimento nelle espressioni impiegate, esso potrebbe essere recuperato in senso contrario nell'art. 2 D.Lgs. n. 168/2003 che, in effetti, prevede l'assegnazione alle sezioni anche di processi diversi da quelli per i quali esse sono state istituite (purché ciò non comporti ritardo nella trattazione e nella decisione dei giudizi in materia di impresa) per provvedimento del Presidente del Tribunale o della Corte d'appello, così offrendo l'argomento del collegamento della cognizione sulla domanda all'esercizio di un potere anche organizzativo ed interno incompatibile con la ricostruzione dei rapporti in termini di competenza in senso stretto.

Pure il fatto che la medesima disposizione espressamente precisi la composizione collegiale delle sezioni nonostante il tenore chiaro dell'art. 50-bis, comma 1, n. 3, c.p.c. deporrebbe in tal senso, al pari del dettato dell'art. 5 D.Lgs. n. 168/2003 in cui il concetto di competenza è all'evidenza speso in senso atecnico per significare solo la distribuzione di funzioni all'interno dell'ufficio.

In altri termini, e per come già sostenuto dai giudici di legittimità (Cass. 29 marzo 2018, n. 7882, cit.), «la evidenziata modalità di impiego aspecifico del lessico giuridico nel testo normativo determina una netta svalutazione dell'argomento letterale poso a fondamento della individuazione della competenza – in senso proprio – […] delle sezioni specializzate», che resterebbe configurabile sub specie di competenza territoriale, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 168/2003, solo in relazione ai rapporti intercorrenti con gli uffici di Tribunali diversi da quello in cui si trovi la sezione specializzata investita – per ragioni di territorio per l'appunto – della controversia.

Anche argomenti storico-strutturali sembrerebbero essere richiamabili in questa direzione. La giurisprudenza ha infatti sempre ricostruito in termini di mera organizzazione interna i rapporti tra sezione lavoro e sezione ordinaria, ovvero tra questa e il Tribunale fallimentare e la sezione societaria (fino all'abrogazione del D.Lgs. n. 5/2003). In senso contrario nemmeno sarebbe utile fare riferimento all'esperienza della sezione agraria ovvero a quella del Tribunale delle acque pubbliche, dei minorenni o di sorveglianza perché la competenza stricto sensu certamente accordata ai predetti risponderebbe a tratti inequivoci non ricorrenti nel caso delle sezioni specializzate in discussione. Così, ad esempio, non ci sarebbe corrispondenza tra la composizione anche tecnica della sezione agraria e le «specifiche competenze» richieste dall'art. 2 per i magistrati componenti quelle del D.Lgs. n. 168/2003, essendo quest'ultimo un requisito professionale «previsto naturaliter per l'assegnazione del singolo magistrato alle diverse sezioni in cui è articolato un ufficio giudiziario organizzato secondo criteri di elevata specializzazione per materia».

Tutte le esposte argomentazioni, tuttavia, non sono valse ad azzerare gli sforzi interpretativi sottesi all'orientamento che vuole ricostruire il rapporto tra sezioni in termini di competenza in senso stretto. Si tratta di una conclusione che poggia sugli stessi profili posti a sostegno della prima, tuttavia declinati in senso opposto.

Con maggiore impegno esplicativo, secondo altra giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. 9 luglio 2015, n. 14369; Cass. 24 luglio 2015, n. 15619; Cass. 8 aprile 2016, n. 6945; Cass. 27 ottobre 2016, n. 21775) l'espresso riferimento al concetto di competenza di cui agli art. 3, 4 e 5 D.Lgs. n. 168/2003 non andrebbe sminuito perché esso proprio nel rapporto con altre similari previsioni normative recupererebbe la propria ragione d'essere.

Così, si evidenzia, da un lato, che al di là dell'assonanza terminologica l'art. 413 c.p.c. tratteggia in capo al Tribunale (in funzione del giudice del lavoro) e non a vantaggio della sezione la competenza per le controversie di cui all'art. 409 c.p.c. e, dall'altro, che per le attribuzioni delle sezioni societarie il legislatore nemmeno ha fatto espresso ricorso alla nozione di competenza.

A questo andrebbe aggiunto il profilo organizzativo. Che il rapporto tra sezioni si collochi oltre il dato della mera ripartizione degli affari all'interno dell'ufficio sarebbe infatti dimostrato dal fatto che le sezioni specializzate non sono state istituite in tutti i distretti di Corte d'appello, sicché esse disporrebbero di una autonoma competenza, diversa e più ampia di quello dell'ufficio di istituzione.

E ciò al netto della valorizzazione della ratio sottesa al D.Lgs. n. 168/2003 che, ove intesa nel senso di istituire sezioni dalla specializzazione proporzionale alla complessità delle materie ad esse affidate, finirebbe per coincidere con quella giustificativa la costituzione delle sezioni agrarie, la ricostruzione delle cui attribuzioni in termini di competenza non risulta contestata.

Pure un ulteriore argomento sistematico risulterebbe utile. La tesi della ripartizione interna, infatti, determinerebbe secondo l'orientamento richiamato una ingiustificata disparità di trattamento per le parti che, a seconda che presso il Tribunale in cui si trova la sezione ordinaria erroneamente adita sia o meno presente anche la sezione specializzata per l'impresa, resterebbero prive ovvero potrebbero attivare il rimedio del regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c.

Si tratta, all'evidenza, di un significativo risvolto operativo legato all'adesione alla descritta soluzione interpretativa e che si unisce ad altri dello stesso genere che in questa si può passare ad esaminare solo sommariamente.

Osservazioni

E' evidente come alla scelta del criterio ricostruttivo dei rapporti tra sezioni corrispondano dirette conseguenze in particolare in relazione alla utilizzabilità del rimedio del regolamento di competenza.

Qualificare la questione come avente natura meramente tabellare significa infatti escludere, fuori dai casi dell'iniziativa promossa innanzi ad un Tribunale diverso da quello in cui siano presenti le sezioni specializzate, che l'errore nella instaurazione della controversia possa incidere sulla validità della decisione resa, atteso che qualunque vizio nell'assegnazione presenterebbe valenza meramente interna utile solo in vista della correzione – su iniziativa del capo dell'ufficio ovvero delle parti – attraverso la riassegnazione ad altro giudice con provvedimento del Presidente del Tribunale, senza necessità di riassunzione o di rinnovazione dell'attività istruttoria già compiuta (Giussani, L'attribuzione delle controversie industrialistiche, cit., 6).

Nessun vizio, in altri termini, risulterebbe configurabile ai fini della proponibilità del rimedio impugnatorio, sia nelle forme dell'art. 42 sia in quelle dell'art. 45 c.p.c.

Diversamente, concludendo in termini di competenza in senso stretto l'errore nell'individuazione del giudice adito aprirebbe le porte, anche quando entrambe le sezioni (id est, quella ordinaria e quella specializzata) siano istituite presso lo stesso ufficio giudiziario, alla proponibilità dell'eccezione dell'art. 38 c.p.c. che, ove accolta, esiterà in una ordinanza che, se limitata al rito, potrà essere aggredita solo con il regolamento di competenza.

Senza escludere, peraltro, che possa essere il medesimo giudice ad assumere d'ufficio l'iniziativa del regolamento assumendo il conflitto di competenza.

Proprio guardando a tali corollari applicativi potrebbero cogliersi però profili di criticità in entrambi gli orientamenti, essenzialmente ricollegabili al più ampio tema del difficile equilibrio tra garanzie processuali e logiche organizzative.

Se infatti, da un lato, la tesi della ripartizione tabellare sembrerebbe porre il problema di una asimmetria sistematica diagnosticabile nel dato per cui solo quando la sezione specializzata non sia instituita presso il medesimo Tribunale di quella ordinaria adita sarebbe immaginabile una questione di competenza in senso stretto, dall'altro, una ricostruzione più rigorosa e formale dei rapporti tra sezioni non solo mal si concilierebbe con un meccanismo confuso di individuazione delle materie da affidare a quelle specializzate (Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni ordinarie, cit., 240), ma pure presterebbe il fianco alla facile obiezione della proliferazione strumentale e con fini dilatori del ricorso al regolamento, per di più con riferimento a controversie per le quali il legislatore vorrebbe garantire tempi più celeri.

Conclusioni

Al di là della constatazione della natura ibrida del modello tratteggiato dal legislatore (Santagada, La competenza per connessione, cit., 1373) e, pertanto, della sua idoneità ad offrire in astratto ragionevoli argomenti ad entrambe le tesi riassunte nell'ordinanza di rimessione, sembrerebbe possibile sostenere che una di queste si lasci preferire.

La conclusione della competenza in senso stretto, in effetti, pare essere viziata a monte dalla volontà di offrire alle parti – sebbene con negativi effetti sulla ragionevole durata del processo – lo strumento impugnatorio del regolamento di competenza. Essa non trova chiari e incontestabili sostegni normativi, anzi. Il riferimento al concetto di competenza al pari di quello alla specializzazione delle sezioni non è infatti decisivo. L'uno è impiegato in senso atecnico, l'altro non è probante perché l'individuazione di standard di competenza professionale non trascina con sé – peraltro, in assenza di differenti modalità di reclutamento dei componenti delle sezioni e a fronte di materie assegnabili particolarmente eterogenee nella natura – una regola di competenza in senso stretto.

Anche nell'ottica della tutela delle parti, inoltre, l'esclusione del regolamento di competenza che deriverebbe dall'apertura alla tesi della ripartizione tabellare non sembrerebbe realizzare davvero un troppo gravoso e ingiustificato sacrificio. La necessità di garantire l'accesso ad una giustizia altamente specializzata per le controversie in materia di imprese, e che dovrebbe quindi giustificare il mezzo impugnatorio a fronte del nocumento derivante dalla pronuncia resa sulle medesime dalle meno competenti sezioni ordinarie, parrebbe uscire infatti depotenziato dalla possibilità che agli stessi giudici componenti le sezioni specializzate possano essere affidate anche questioni di natura diversa, nel rispetto della logica per cui gli stessi sono risorse dell'ufficio gestibili in ragione delle esigenze interne al medesimo.

Al netto di tali considerazioni, però, è indiscutibile che la querelle sulla natura dei rapporti tra sezioni non sia ancora realmente sopita e che continui a trovare linfa nelle riflessioni della dottrina e della giurisprudenza, non solo di legittimità. In questo quadro, allora, l'intervento nomofilattico – anche se probabilmente non indispensabile – risulterà comunque senz'altro utile a dissipare ogni residuo dubbio.

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