Compensi dei periti: la Consulta salva il calcolo basato sul ricavato realizzato dalla vendita

Redazione scientifica
26 Aprile 2019

Ai sensi dell'art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c., il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice è calcolato sulla base del prezzo che si ricava dalla vendita. Tale strumento di calcolo per la Consulta regge.

Il caso. Il Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell'esecuzione immobiliare, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 161, comma 3, delle disposizioni per l'attuazione del c.p.c. nella parte in cui prevede che «il compenso dell'esperto venga calcolato in base al ricavato realizzato dalla vendita del bene, nonché nella parte in cui prevede che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del valore di stima, in relazione agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117» della Costituzione.

In particolare, il giudice doveva decidere sulla richiesta di liquidazione presentata da un geometra, nominato esperto per la stima di immobili pignorati e di dover applicare il summenzionato art. 161.

Per il rimettente la liquidazione del compenso in base al valore della vendita dell'immobile sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, ex art. 3 Cost., sotto due profili: innanzitutto l'art. 568 c.p.c. imporrebbe all'esperto di elaborare la stima in base al valore di mercato non essendo apprezzabile ancorare la liquidazione al valore di vendita finale che si discosta dal valore di mercato indicato dalla legge come criterio di stima; ed inoltre è opportuno ricordare che il valore di vendita non è prognosticabile a priori ed è condizionato da «fattori imponderabili da parte dell'esperto».

La disposizione censurata, sempre per il geometra rimettente, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 36 Cost. in quanto, pur ampliando i compiti dell'esperto, ne diminuirebbe il compenso senza distinguere tra voci connesse al valore di stima e voci che prescindono da tale valore. Infine il rimettente prospetta violazione degli artt. 41 e 117 Cost. sul presupposto che «l'entità del compenso e la tempestività del pagamento del compenso rappresentino «elementi fondamentali della libertà di impresa e di iniziativa economica».

Con apposito atto depositato interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, per chiedere di dichiarare le questioni di legittimità costituzionale manifestamente inammissibili o infondate.

Gli interventi in giudizio. Al riguardo, preliminarmente la Corte costituzionale dichiara inammissibili gli interventi spiegati dall'Associazione dei periti e degli esperti, sia a livello nazionale che regionale, perché tardivi, ossia spiegati oltre il termine perentorio, indicato dalla legge, di 20 giorni dalla pubblicazione dell'atto introduttivo del giudizio della Gazzetta Ufficiale.

La decisione della Consulta. Per quanto riguarda invece la questione di inammissibilità del profilo di censura riguardante «l'inapplicabilità del criterio di liquidazione del compenso nel caso di estinzione della procedura esecutiva prima della vendita dell'immobile stimato» eccepita dal Presidente del Consiglio dei ministri, essa risulta non fondata. Il rimettente ha osservato che, nel caso di estinzione atipica della procedura esecutiva, l'esperto non solo non potrà percepire alcun compenso ma dovrà restituire anche gli acconti già incassati. Questa incongruenza è addotta dal giudice a quo «come un ulteriore elemento sintomatico dell'irragionevolezza della disposizione che è chiamato ad applicare nel decidere sulla domanda di liquidazione dell'esperto».

Dunque, circa il criterio di determinazione del compenso dello stimatore, per costante giurisprudenza di questa Corte, «il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) non è correttamente evocato con riguardo all'opera prestata dagli ausiliari del giudice. L'adeguatezza del compenso, difatti, non può essere valutata con riferimento all'art. 36 Cost., che postula un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione e la possibilità di ricostruire l'incidenza delle singole prestazioni sulla complessiva attività dell'ausiliario e sulla formazione dell'intero reddito professionale del singolo prestatore». Tali presupposti difettano nel caso in esame.

Inoltre, il fatto che, «il valore di stima dell'immobile differisca dal valore di vendita, e che, nella stima del bene, si prescriva un criterio di massima, il valore di mercato, disatteso nella liquidazione del compenso, non denota di per sé l'irragionevolezza della previsione censurata. Il valore di vendita, difatti, pur condizionato da numerose variabili, non è inidoneo a rispecchiare il pregio dell'impegno professionale, secondo un rapporto di ragionevole correlazione».

Con la riforma delle procedure concorsuali (d.l. n. 83/2015), anche la giurisprudenza di legittimità ha equiparato, sotto il profilo funzionale, la figura dell'operatore esperto di cui all'art. 107 r.d. n. 267/1942 a quella dell'esperto incaricato di determinare il valore degli immobili assoggettati alla vendita forzata e da ciò deriva anche l'omogeneità del criterio di determinazione del compenso. Il compenso dell'esperto, dunque, deve essere liquidato a norma dell'art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c.

Infine, il legislatore consente la liquidazione di acconti nella misura del 50% del valore di stima; anche in questo ambito, la novella dettata dal d.l. n. 83/2015 ha attuato «un bilanciamento non irragionevole tra i diversi interessi rilevanti e non ha mancato di apprestare tutela anche al diritto dei professionisti di ricevere – senza dilazioni ingiustificate – un compenso adeguato all'impegno garantito».

Sulla base di questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissibili, perché tardivi, gli interventi spiegati dall'APE nazionale e regionale, nonché da altre Associazioni del settore e dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c., aggiunto dall'art. 14, comma 1, lett. a-ter, d.l. n. 83/2015 sollevate dal Tribunale di Vicenza, in riferimento agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117, comma 1, Cost., «quest'ultimo in relazione al principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto comunitario primario».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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