Le misure premiali nel Codice della crisi d’impresa

29 Maggio 2019

Nella prospettiva dell'imprenditore in crisi l'accesso ad una procedura concorsuale ha sempre rappresentato, nel corso dell'evoluzione normativa, una scelta difficile e poco allettante in ragione delle sue conseguenze, soprattutto sul piano personale.
Premessa

Nella prospettiva dell'imprenditore in crisi l'accesso ad una procedura concorsuale ha sempre rappresentato, nel corso dell'evoluzione normativa, una scelta difficile e poco allettante in ragione delle sue conseguenze, soprattutto sul piano personale.

Nel regime anteriore alla riforma del 2006, lo stimolo per avanzare una domanda di concordato preventivo risiedeva essenzialmente nel fatto che un'interpretazione e una prassi all'epoca meno rigorosa sull'applicazione delle disposizioni penali in tema di bancarotta, rendeva possibile l'elusione dell'indagine e della conseguente imputazione che, al contrario, sarebbe stata inevitabile nel caso della dichiarazione di fallimento.

Anche con la riforma del 2006 si aprì, in un primo momento, uno spiraglio all'idea che al debitore in crisi, per favorirne l'ingresso al concordato preventivo, potesse riservarsi la cura di un proprio interesse diverso e anche in contrasto da quello dei creditori. La riformulazione dell'art. 160 l.fall., infatti, nella parte in cui non riproponeva l'obbligo a carico del debitore di cedere tutti i suoi beni, sembrava consentirgli la formulazione di proposte concordatarie di tipo liquidatorio modulate in modo tale da evitare di mettere a disposizione dei creditori l'intero suo patrimonio. Tale lettura tuttavia, com'era inevitabile, ben presto apparve del tutto sproporzionata rispetto alla tutela degli interessi dei creditori quale principio cardine di ogni procedura concorsuale e in aperto (quanto insanabile) contrasto con la regola della responsabilità patrimoniale del debitore (per una disamina completa sul tema v. A. Zanardo, Il concordato con cessione – parziale - dei beni : ammissibilità e disciplina, in Dir. Fall. p. 1357, 6, 2017).

Nelle successive modifiche della legge fallimentare ha preso sempre più corpo una prospettiva che, se da una parte codificava con maggiore incisività la prevalenza dell'interesse dei creditori alla prospettiva della loro miglior soddisfazione (principio che deve governare la procedura concorsuale), dall'altra mirava a dare all'imprenditore l'opportunità di continuare a mantenere il suo ruolo nell'impresa nonostante l'emersione della crisi o dell'insolvenza, sempreché avesse agito con la tempestività che il caso richiedeva, per evitare il definitivo dissolvimento del ciclo economico. Con l'introduzione della disciplina del concordato in continuità si è aperta, infatti, la strada per un maggior coinvolgimento dell'imprenditore in crisi nella fase ristrutturatoria, posto che un'operazione ben strutturata consente non solo di mantenere in vita l'azienda ma anche un percorso di riacquisto della sua efficienza economica. Tale prospettiva tuttavia, con la riforma del 2015 è andata incontro ad un ridimensionamento per effetto dell'introduzione di una disciplina particolarmente incisiva sulle proposte correnti, che ha riequilibrato la posizione dell'imprenditore insolvente rispetto alla tutela degli interessi dei creditori, al fine di evitare che si prevaricasse, in nome della continuità aziendale, il principio della loro massima soddisfazione.

Il nuovo Codice della crisi, com'è noto, si sviluppa proprio su tali traiettorie, ponendo al centro l'obiettivo di creare le condizioni affinché l'imprenditore sia stimolato all'accesso ad una procedura di regolazione o composizione della crisi, nella prospettiva di mantenere la continuità aziendale, anche se viene chiamato a gestire il patrimonio o l'impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza nell'interesse prioritario dei creditori Per far ciò è necessario anticipare il più possibile l'accesso a uno di questi canali attraverso un'opera di persuasione, concreta ed effettiva, da parte di soggetti che sono (o che sarebbero) direttamente coinvolti nella crisi, i quali risultano tenuti ad allertare l'imprenditore e ad accompagnarlo nell'assunzione di idonee decisioni, in una dimensione coordinata tra lo stesso debitore, i creditori e i soggetti professionali chiamati a rivestire un ruolo attivo.

Avendo in mente tale obiettivo la legge delega, prima ancora del decreto legislativo, si è fatta carico di individuare, tra le dinamiche che operano nella crisi d'impresa, dei temi che possano risultare appetibili all'imprenditore per agire senza ritardo a favore di una delle procedure di composizione o regolazione del suo stato di squilibrio, che siano comunque compatibili e non in contrasto con gli interessi dei creditori, agendo sia sulla sfera patrimoniale che su quella personale.

La tempestività: i termini

Il pre requisito per accedere alle misure premiali è che il debitore abbia agito con tempestività che, secondo l'art. 24 CCI, non vorrebbe essere un criterio astratto la cui adesione possa essere accertata attraverso una valutazione ex post delle condotte tenute, ma un criterio radicato per lo più a specifici termini descritti nelle stessa norma. Nel primo comma si chiarisce, tuttavia, che essa non è fine a se stessa ma funzionale a prevenire il possibile aggravamento della crisi, per evitare, soprattutto, che questa si trasformi in insolvenza, ampliando così il danno nei confronti dei creditori e riducendo la possibilità della loro soddisfazione con le risorse che l'imprenditore in crisi può mettere in campo anche grazie ad una prospettiva di continuità, nella direzione del recupero dell'efficienza.

Nonostante, quindi, la portata precettiva dei commi seguenti, l'aver agganciato la tempestività ad uno specifico obiettivo apre alla possibilità di includere nei benefici quell'imprenditore che, sebbene abbia superato i limiti analiticamente descritti, si sia attivato in ogni modo per impedire l'aggravamento della crisi e vi sia riuscito o, comunque, che sia stato capace di non far maturare deficit ulteriori, fino all'ingresso ad una dei procedimenti disciplinati dal codice.

I termini della tempestività dettati dall'art. 24 si articolano, in una struttura interdisciplinare, tra due tipologie: quelli tipicamente temporali e quelli sintomatici. Vi è, in sostanza, un tempo entro il quale l'imprenditore è chiamato ad assumere specifiche iniziative di fronte a situazioni di squilibrio di natura economiche, patrimoniali e finanziarie riferite alla propria impresa. Egli, se non vuole perdere gli effetti premiali previsti dall'art. 25 CCI, deve promuovere una domanda di accesso ad una procedura di regolazione delle crisi o dell'insolvenza entro sei mesi da quando gli squilibri si sono verificati, ovvero presentare, entro tre mesi, la domanda di composizione assistita. Tali termini, come vedremo in avanti, si cumulano sia con il periodo di incubazione degli stessi indicatori degli squilibri, sia con altri parametri modulati in relazione alla tipologia di procedimento.

Da notare che le scadenze entro le quali il debitore deve azionare una delle procedure previste dal CCI, sono in linea con quelle in generale disciplinate dal medesimo provvedimento, e appaiono graduate nel confronto tra composizione assistita e procedure tipicamente concorsuali. Nel primo caso la tempestività si misura in un arco temporale più ridotto e questa soluzione trova spiegazione nel fatto che il procedimento di composizione assistita è regolato su grandi linee, a differenza, invece, delle procedure di regolazione concorsuale dove la protezione del ceto creditorio, sebbene su diversi livelli, appare nella sua versione massima. La composizione della crisi lascia, invece, spazi all'iniziativa del debitore con margini ampi di operatività, soggetta ad un controllo del collegio OCRI che è più simile ad una supervisione con funzione d'indirizzo, piuttosto che ad una vigilanza vera e propria. Se, ad esempio, si prende a riferimento il ruolo del commissario giudiziale nel concordato preventivo, si potrà constatare che il collegio OCRI è sprovvisto di quei poteri d'accesso diretto al dato contabile o alle banche dati (art. 49, comma 3, lett. f, CCI), e agisce per lo più su informazioni messe a disposizione dall'imprenditore, sebbene interloquisca con lo stesso in una posizione critica, che può portarlo fino ad assumere iniziative di contrasto, qual è la segnalazione al PM ai sensi dell'art. 22 CCI. Si tratta in ogni caso di un organismo chiamato ad accompagnare il debitore verso un percorso possibilmente virtuoso, attraverso la somministrazione di indicazioni a ciò funzionali. Il divario tra composizione assistita e procedure concorsuali si ripercuote sulle misure premiali ed è colmato dalla previsione di cui al comma primo dell'art. 25 CCI, in base al quale non è sufficiente che il debitore sia stato tempestivo nella proposizione dell'istanza di composizione, magari poi sfociata in una procedura concorsale, ma è necessario che egli abbia in buona fede seguito il percorso suggerito dal collegio OCRI per fronteggiare la crisi. Occorre tuttavia segnalare che il criterio della buona fede, che implica una valutazione ex post, sembra preludere ad uno spazio di conflittualità di non facile risoluzione, come vedremo in avanti.

Tempestività rispetto agli indicatori della crisi

Le lettere a) e b) del primo comma dell'art. 24 CCI definiscono il rapporto che deve sussistere tra alcune categorie di debiti e il periodo entro il quale lo stesso rapporto si deve protrarre affinché si attivino i termini fissati al debitore per proporre le istanze di accesso ai procedimenti previsti dal CCI. Si tratta dei debiti verso scaduti da almeno 60 gg per un ammontare pari ad oltre la metà delle retribuzioni mensili e verso i fornitori per debiti scaduti da almeno 120 gg per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti. E' chiaro che il mancato pagamento dei salari e degli stipendi crea tensioni già nel brevissimo periodo, rispetto al ritardo nell'assolvimento delle scadenze verso soggetti esterni all'azienda. Ne consegue che, ragionevolmente, il sintomo della crisi si affaccia con una diversa graduazione temporale e, dunque, con altrettanta differenza è necessario agire. Da notare che la norma non prende in considerazione gli omessi pagamenti dei debiti di natura fiscale, che rappresentano un altro forte sintomo di crisi. La ragione di tale esclusione risiede nel fatto che i creditori pubblici qualificati, nella specifico l'Agenzia delle Entrate e l'INPS, sono tenuti ad attivarsi autonomamente attraverso gli strumenti dell'allerta. Stesso discorso vale per i debiti finanziari verso banche e altri intermediari, tenuti a comunicare agli organi di controllo societario le variazioni, le revisioni o le revoche degli affidamenti.

L'imprenditore può perdere il requisito della tempestività, come prevede la successiva lettera c) dell'art. 24, nel caso di superamento nell'ultimo bilancio o comunque per un periodo superiore a tre mesi degli indici dell'allerta, che a norma dell'art. 13 CCI saranno elaborati in via generale dal CNDCEC. E' lasciata, comunque, all'impresa la possibilità di predisporne di specifici, che possano adattarsi alle proprie peculiarità. Anche in tal caso, il loro superamento per tre mesi comporta la perdita dalla tempestività. Più in generale la norma non appare di facile applicazione e introduce vari elementi da sottoporre ad un vaglio critico. In primo luogo occorre osservare che nella legge delega si parla di determinare gli indici di natura finanziaria proprio con riferimento a come dovrebbero essere disciplinate le misure premiali (lett. h art. 4 L. 155/2017) da trasferire poi nell'ambito del procedimento di allerta (lett. c). Nel demandare al legislatore delegato l'individuazione concreta di tali indici, la norma richiede di considerare il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, l'indice di rotazione dei crediti, del magazzino e l'indice di liquidità. Si tratta a ben vedere di quozienti che hanno come fattori della divisione dati di natura patrimoniale ricavabili, per lo più, dalle risultanze di un bilancio d'esercizio. Essi si propongono di misurare gli squilibri di natura finanziaria attraverso la correlazione di risultanze di stock, ossia di grandezze già acquisite, ritratte in un particolare momento della vita dell'impresa, principalmente coincidente con la chiusura dell'esercizio. La disciplina che, invece, il legislatore delegato tratteggia riguardo agli indicatori della crisi nella fase dell'allerta, capovolge questo schema e si sposta verso una metodologia che privilegia l'analisi previsionale dei flussi. Secondo l'art. 13 dovranno essere stabiliti dal CNDCEC appositi indici che andranno a dare evidenza della sostenibilità dei debiti e della continuità aziendale per almeno sei mesi successivi al momento in cui si effettua la valutazione, con evidente riferimento alla redazione di un piano previsionale che descriva un flusso di dati di natura prevalentemente economico-finanziaria. E' pur vero che il primo comma del citato art. 13 termina con la specifica di significatività dell'adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi, ossia di dati facenti parte di una stato patrimoniale, ma pone altrettanta attenzione sulla sostenibilità dell'indebitamento per mezzo dei flussi di cassa che l'impresa è in grado di generare, quindi con altrettanto riferimento a dati previsionali. Vi sarà in sostanza una dimensione interattiva tra volumi di dati storici e flussi ricavabili da appositi piani. Il comma successivo dell'art. 13 demanda, appunto, al CNDCEC l'elaborazione concreta degli indici e sembra confermare tale lettura disponendo che una volta valutati unitariamente, essi si dovrebbero onerare di far ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa. Con lo stesso approccio vanno letti gli indici che l'impresa, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 13, può autodisciplinare per affrancarsi dai rilevatori comuni applicabili alla generalità dei soggetti coinvolti, in ragione delle caratteristiche peculiari che la differenziano dalle altre. Nel proprio bilancio di esercizio, infatti, l'impresa dovrebbe esporre, con tanto di attestazione, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi.

Per comprendere appieno come il legislatore abbia immaginato l'operatività e il funzionamento degli indici delle crisi occorre guardare proprio alla disciplina delle misure premiali. Come già ricordato la lettera e) dell'art. 24 dispone, infatti, che l'imprenditore è fuori termine se supera per oltre 3 mesi gli indici dell'art. 13. Questo significa che non è richiesto di determinare indici che escludono la crisi per i successivi 6 mesi, esonerando il titolare dell'impresa, per tale periodo, dalla valutazione di una concreta applicazione in base ai dati nel frattempo conseguiti, ma è necessario monitorare costantemente l'andamento della sua azienda in relazione agli indici assunti. E'quindi centrale il dato prospettico del flusso prossimo con valenza economico-finanziaria. Peraltro, se non si vuole incorrere nella perdita dei benefici della tempestività, il monitoraggio qui ipotizzato dovrebbe essere eseguito con una cadenza inferiore ai tre mesi, per non arrivare al ridosso della scadenza e quindi superare la soglia temporale. Del resto anche gli altri indicatori descritti nell'art. 24 necessitano di un meccanismo di rilevazione costantemente attivo, ossia di un controllo intero, a breve respiro, che faccia immediatamente sapere se è iniziato il periodo di incubazione dei ritardi dei pagamenti disciplinati dai numeri a) e b) del comma primo dell'art. 24.

Se queste conclusioni vanno nella direzione giusta, il richiamo nell'art. 24 lett. c) al superamento degli indici dall'ultimo bilancio approvato, andrebbe riferito a quelle tipologia di rapporti che si basano sui dati di natura patrimoniali e non da quelli previsionali i quali, da soli, sono comunque già in grado di far scattare il meccanismo di reazione finalizzato al conseguimento delle misure premiali. Se si tiene conto che il bilancio è approvato (dall'assemblea) ben oltre i tre mesi dalla chiusura dell'esercizio, è facile concludere che a quel momento i termini saranno già decorsi.

L'accertamento del presupposto della tempestività

Quanto fin qui esaminato in tema di tempestività ha messo in evidenza che l'accertamento dei presupposti per godere delle misure premiali non si presenti di immediata percezione, trattandosi perlopiù di dati non prontamente disponibili, tanto meno conoscibili all'esterno del circuito aziendale. Ciò all'evidenza pone un problema: definire in che modo può essere certificata la presenza delle condizioni per ottenere, ad esempio, gli sconti in materia tributaria stabiliti nel successivo art. 25 CCI. Come si vedrà tra breve, infatti, le misure premiali di natura economico/patrimoniale si risolvono essenzialmente nella riduzione delle sanzioni e degli interessi maturati in un certo periodo, coincidente con la fase di composizione assistita a cui ha avuto accesso il debitore che però, almeno in parte, si trasferiscono nel procedimento di regolazione della crisi dell'insolvenza aperto successivamente, ma senza soluzione di continuità.

L'ultimo comma dell'articolo 24 sembra lasciare al debitore l'iniziativa di farsi attestare dal collegio OCRI l'esistenza dei requisiti di tempestività. In altre parole sembrerebbe che il debitore sia libero di scegliere il collegio OCRI come organismo deputato all'accertamento dei presupposti, ovvero di trovare altre soluzioni per raggiungere il medesimo obiettivo. È stato tuttavia correttamente osservato (M. Ferro, Codice della crisi d'impresa: le misure protettive e premiali nelle istituzioni di prevenzione della crisi, in Quotidiano giuridico, pubblicazione del 15/01/2019) che la norma, se valutata nel contesto e tenuto conto delle dinamiche della procedura di composizione assistita, non può che essere letta nel senso per il quale se il debitore, per questa fase, vuole ottenere le riduzioni tributarie previste non può che rivolgersi proprio a tale organismo. Se così non fosse infatti, si dovrebbe immaginare l'apertura di un sub-procedimento nel quale si possa avanzare richiesta al fisco per la riduzione degli interessi, attraverso una fase para-contenziosa. È invece più logico immaginare che senza questa attestazione non si potrà ottenere, ad esempio, la riduzione degli interessi al tasso legale previsti dalla lettera a) dell'articolo 25. Ciò vale almeno nell'ipotesi in cui dalla composizione assistita non si passi a un procedimento di regolazione della crisi, ovvero che anche attraverso il solo procedimento di composizione assistita si raggiunga l'obiettivo di superare la crisi. Invece, nel caso in cui le misure premiali, come vedremo a breve, siano reclamate durante il procedimento di regolazione della crisi o dell'insolvenza, si può ragionevolmente pensare che possa essere affidato all'attestatore, ossia il professionista indipendente che attesti la veridicità del dato aziendale e della fattibilità del piano, il compito di dichiarare se gli squilibri siano stati intercettati in tempo per godere dei benefici premiali. Allo stesso modo nel caso in cui vi sia stata tempestività e si apra direttamente una procedura di liquidazione giudiziaria, senza passare per una procedura concorsuale alternativa, allora sarà compito del curatore verificare, in sede di accertamento dello stato passivo, se il debitore sia rimasto nei limiti di tempo stabiliti dall'articolo 24.

Più complesso è il caso in cui il giudizio sulla tempestività del debitore non sia finalizzato ad ottenere benefici di tipo patrimoniale economico bensì di natura processuale o personale- penale, che in base all'articolo 25 rappresentano le categorie nelle quali i benefici sono suddivisi. In questo caso non è facile dare una risposta inconfutabile, ma la soluzione più probabile è che l'accertamento possa essere fatto anche attraverso strumenti tipicamente processuali, ossia pertinenti al tipo di giudizio che si è instaurato nell'ambito del quale si cerca una risposta sulla tempestività. Questo significa che in sede di giudizio penale, che vedremo successivamente, l'accertamento della tempestività può essere fatta anche attraverso apposite consulenze tecniche nell'ambito del processo, così come le misure premianti di tipo processuale-civile potrà essere eseguito dall'attestatore o anche attraverso una specifica consulenza tecnica.

Da ultimo va ricordato che anche le imprese escluse dall'allerta (art. 12, comma 5, CCI) saranno comunque ammesse a godere delle misure premiali previste dall'art. 25 CCI, se ricorrono le condizioni di tempestività previste dall'art. 24 CCI. Il tema dell'accertamento di tali condizioni, quindi, va oltre lo spazio della composizione assistita.

La premialità

La norma che disciplina nello specifico le misure premiali, ossia l'art. 25 CCI, si premura di modularle in modo differenziato a seconda del tipo di procedura alla quale accede l'imprenditore e alla modalità d'ingresso. Abbiamo già visto che l'istanza presentata all'OCRI per la composizione assistita deve essere non solo tempestiva, ma accompagnata con una condotta specifica, che consiste nell'aver seguito in buona fede le indicazioni date dall'organismo di intermediazione e controllo, nei limiti sopra descritti. Occorre qui ribadire che il criterio adottato risulta alquanto generico e si presta a possibili conflitti circa la sua effettiva sussistenza nel caso concreto, tema che andrà affrontato soprattutto con l'Agenzia delle Entrate quale soggetto chiamato ad applicare la riduzione degli interessi e delle sanzioni, come vedremo in avanti, proprio in presenza di tale condotta. Peraltro, se dalla lettura coordinata degli artt. 24 e 25 non si potrà concludere che oggetto dell'attestazione da parte del collegio OCRI sia anche il requisito della buona fede, allora la sua applicazione rischia di complicarsi notevolmente, tenuto conto del fatto che trattandosi di applicare norme impositive la decisone definitiva, in caso di contrasto, andrebbe assunta dal giudice tributario e quindi al di fuori dei procedimenti disciplinati dal codice.

Una volta superato positivamente il vaglio sulla condotta durante la composizione assistita ovvero nel caso in cui tale fase sia stata scavalcata dal debitore per accedere direttamente ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, la premialità è concessa a condizione che detta procedura non sia stata dichiarata inammissibile. La norma, però, non precisa se l'esclusione valga anche nel caso in cui sia direttamente il debitore a richiedere di accedere alla procedura a valle, una volta dichiarata inammissibile quella a monte. In altre parole non è chiaro se si possa conservare il beneficio della premialità nel caso in cui al decreto che respinge la domanda di concordato il debitore faccia seguire, ai sensi dell'art. 49 CCI, la richiesta di apertura della liquidazione in proprio.

I benefici patrimoniali

L'art. 25 nelle lettera a) b) e c) individua i benefici di natura economica e patrimoniale spettanti al debitore tempestivo che si risolvono in una riduzione degli interessi e delle sanzioni relative ai debiti tributari, diversamente graduata a secondo della fase e della procedura azionata. Tale tipologia si differenza rispetto alle misure premiali di tipo personale, che vedremo in seguito, anche perché in questo caso i vantaggi andranno non solo a favore del debitore ma anche a dei creditori, considerati come massa che avrà appunto una consistenza inferiore.

L'accesso tempestivo alla procedura di composizione assistita, nei termini sopra descritti, implicherà: i) la riduzione degli interessi alla misura legale dei debiti tributari, ii) l'applicazione delle sanzioni tributarie nella misura minima se il termine di pagamento relativo alle comunicazioni di irregolarità dell'Ufficio impositore scade dopo la presentazione dell'istanza di cui all'art. 19 CCI. Stessa agevolazione spetterà anche nel caso in cui il termine sia successivo alla presentazione della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Non è chiara l'organizzazione del meccanismo che dovrebbe portare all'applicazione concreta dei citati benefici. Nella composizione assistita non sembra sia praticabile l'ipotesi di una transazione fiscale, il che dovrebbe significare che i creditori alla quale il procedimento è rivolto non includano l'Agenzia delle Entrate o altri Enti impositori. Ne consegue che per ottenere la riduzione si dovrà aprire un sub-procedimento in cui il debitore dimostri, come detto in precedenza, attraverso l'attestazione del collegio OCRI, i presupposti e richieda specificatamente le agevolazioni.

Sulla riduzione delle sanzioni occorre fare un'ulteriore riflessione. Le comunicazioni di irregolarità di cui parla la norma altro non sono che una modalità, di portata generale, per allertare il contribuente circa il mancato versamento d'imposta risultante dalle dichiarazioni fiscali auto-liquidate e si risolve in un invito a provvedere, entro un termine (trenta giorni) dal ricevimento della comunicazione, a saldare l'importo omesso con applicazione di una sanzione ridotta al 10% in luogo di quella ordinaria, che di solito è il 30%. Accanto a questa ipotesi il contribuente è ammesso anche a sanare spontaneamente l'omissione, ma in tal caso le sanzioni sono ancora più basse e graduate nel tempo.

La formulazione della norma, a giudizio di chi scrive, sembra lasciare aperte le due opzioni: la sanzione minima potrebbe essere, infatti, quella da ravvedimento operoso, se i termini per aderire spontaneamente scadono dopo l'accesso ad una delle procedura e il riferimento alle comunicazioni dell'Ufficio che le irroga potrebbe significare che l'ipotesi si applica solo nel caso di infrazione tributaria dalla quale origina la comunicazione, ossia i mancati versamenti d'imposta. Restano quindi escluse tutte quelle ipotesi nei quali la sanzione origina da atti di accertamento o di rettifica delle dichiarazioni.

La lettera c) dell'art. 25 stabilisce un principio che sembra avere carattere generale, ma dai contorni, piuttosto incerti, in base al quale, in caso di passaggio da una composizione assistita ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, le sanzioni e gli interessi dei tributi oggetto della prima procedura sono ridotti alla metà. Oscuro sembra il riferimento ai tributi “oggetto della composizione” poiché nell'organizzazione di quel procedimento non sembra esserci, a prima vista, un oggetto specifico se non le trattative per superare la crisi. Si dovrebbe allora pensare a degli sconti fiscali che opererebbero in virtù di trattative promossa nel corso del procedimento con il titolare del credito, ossia l'Agenzia Fiscale. Ma tale soluzione appare priva di senso poiché non si spiega come mai la riduzione si applicherebbe solo nel caso in cui la trattativa sia effettivamente sorta durante la fase di composizione assistita ma sia poi naufragata, tanto che il debitore sia stato costretto a rifugiarsi in una procedura di regolazione, dove peraltro, sono specificatamente regolate le apposite transazioni fiscali. Forse la soluzione andrebbe trovata considerando che il presupposto dei tributi “oggetto della composizione” possa riferirsi ai debiti maturati dopo l'istanza di cui all'art.19, oppure dei crediti fiscali che hanno dato origine alla procedura di allerta ai sensi dell'art. 15 CCI.

I benefici personali

L'attribuzione dei vantaggi di cui potranno godere non solo il debitore ma anche, e forse soprattutto, i creditori non è sembrato al legislatore delegante elemento sufficiente per stimolare un'accelerazione nell'accesso agli strumenti previsti dal CCI. Sebbene l'area di intervento non si presentava particolarmente ampia, il decreto legislativo è riuscito a definire un perimetro entro il quale collocare misure premiali di carattere personale, che non sono, come prevedeva la lett. h) dell'art. 4 della legge delega, solo attinenti all'ambito della responsabilità ma si estendono a quello dei vantaggi di tipo processuale, volti ad ampliare i termini concessi a favore del debitore, che si sommano, nell'articolazione normativa, a quelli di stampo penale.

Una prima concessione riguarda la possibilità di raddoppiare, durante la fase interinale, il termine della proroga per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione. L'art. 44 disciplina le modalità di presentazione di una domanda in bianco e stabilisce che l'iniziale scadenza, che al massimo può essere di sessanta giorni, può essere prorogata di altrettanti sessanta, salvo il caso che siano pendenti domande per l'apertura della liquidazione giudiziale. Con i requisiti della premialità, il termine può, quindi, slittare ad ulteriori centoventi giorni. Non sembra tuttavia che la positiva condotta del debitore sia sufficiente per superare lo scoglio rappresentato dalla presenza di istanze per la liquidazione. Altra limitazione consiste nella circostanza che vede il collegio OCRI dare informativa, ai sensi dell'art. 22 CCI, sull'insolvenza al Pubblico Ministero. Ciò conferma che al debitore è richiesto un percorso virtuoso durante la fase della composizione assistita, negando la premialità se lo stesso decide di accedere ad un procedura concorsuale non in modo spontaneo seguendo i suggerimenti dell'organismo della composizione, ma solo dopo che quest'ultimo, di fronte alla mancata adesione del debitore, abbia agito in via autonoma, come stabilito dallo stesso art. 22.

Anche in tale ipotesi può sorgere il problema di come sarà data evidenza al Tribunale dei requisiti della premialità, soprattutto se il debitore ha presentato la domanda in bianco senza passare per la fase di composizione assistita, dove è prevista la certificazione del requisito della tempestività da parte del Collegio OCRI. La questione andrà risolta dinnanzi al Tribunale, utilizzando gli ordinari strumenti processuali, adattati alla tipologia del procedimento, in applicazione dell'art. 41 CCI. Se, tuttavia, nella fase interinale sia stato nominato il commissario giudiziale, come prevede la lett. d) dell'art. 44 , il Tribunale potrà decidere sulla base delle illustrazioni da quest'organo rappresentate circa la sussistenza della premialità.

La seconda tipologia di premialità processuale/personale è disciplinata dalla lett. e) dell'art. 25 ed attiene all'eventuale proposta di concordato in continuità che, nel caso il debitore abbia raggiunto i presupposti previsti, non potrà essere superata da proposte concorrenti, che quindi saranno dichiarate inammissibili, sempreché, oltre alla premialità della condotta, il debitore sia riuscito ad assicuratore nella sua offerta di ristrutturazione il soddisfacimento di almeno il 20% dei creditori chirografari del loro credito complessivo. Dalla formulazione della norma si può ricavare che la soglia possa essere raggiunta anche se all'interno le percentuali di soddisfazione non siano omogenee ma distinte in classi, purché sia il totale a trovare la soddisfazione di riferimento.

Va detto che la norma sembra essere una sorta di deroga ad un principio generale già fissato dall'art. 90 comma 5 CCI, il quale prevede che la soglia minima del 30% per l'intangibilità delle proposte del debitore possa essere ridotta al 20 se egli abbia chiesto l'apertura del procedimento dell'allerta ovvero abbia utilmente avviato, secondo i parametri dell'articolo 24, la composizione assistita. In questo ambito ricadono sia le proposte in continuità aziendale sia quelle tipicamente liquidatorie con il risultato che quelle in continua aziendale, secondo tale norma, già potrebbero godere della soglia posta a suo favore del 20%, con la sola differenza che nel caso previsto dall'articolo 25, in luogo del requisito dell'aver utilmente avviato la composizione assistita, sembra posizionarsi quello di aver seguito in buona fede le indicazioni dell'OCRI. Appare arduo capire la differenza tra condotta utile, riferita ragionevolmente agli interessi dei creditori, e condotta in buona fede. Forse l'unica possibile interpretazione è che la lettera e) dell'art. 25 si applica nel caso in cui il debitore acceda tempestivamente ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza senza passare per la composizione assistita, che è una delle due ipotesi indicate nella premessa della norma.

L'ultima parte dell'art. 25 è dedicata ai benefici di natura strettamente personale e che non hanno ricaduta in nessun modo sui creditori o sui procedimenti. L'azione tempestiva del debitore potrà essere premiata con una riduzione della pena per i reati attinenti alla gestione dell'impresa insolvente, che viene diversamente graduata a secondo della dimensione del danno cagionato dalle condotte penalmente rilevanti. Occorre ricordare che i reati fallimentari, riprodotti nel codice della crisi quasi integralmente con la sola rettifica del termine fallimento o fallito, hanno la caratteristica che li vede operativi solo in caso di ingresso alla liquidazione giudiziale, al concordato preventivo ovvero agli accordi di ristrutturazione. Si tratta, infatti, della condizione di punibilità per i reati di bancarotta, semplice e fraudolenta, che scattano solo per quelle procedure appena ricordate e non per il procedimento di composizione. La norma si premura, quindi, di specificare che il beneficio della non punibilità, se il danno cagionato dalla commissione di quei reati è di speciale tenuità, opera nel caso in cui sia stata tempestivamente attivata la composizione e a seguito della stessa viene aperta una delle procedure che sono la condizione per la sussistenza del reato. Richiamando anche il meccanismo del procedimento unitario la disposizione si applica anche nel caso di accesso a seguito della presentazione della domanda di regolazione della crisi o dell'insolvenza. Ciò che conta è che sia stato il debitore a promuoverla.

Da notare che il comma 4 dell'art. 25 risulta sganciato dalla premessa del comma primo, il che potrebbe stare a significare che per ottenere l'impunità sembra sufficiente la proposizione tempestiva dell'istanza di composizione, mentre non sarebbe necessario che sia accompagnata dalla buona fede nel seguire l'indicazione del collegio OCRI. Del resto, più che la condotta successiva alla presentazione dell'istanza ex art. 19 CCI, ciò che conta è la tenuità del danno.

I reati per i quali si applica la non punibilità si estendono anche alla fattispecie della fraudolenza, per effetto di un'operazione estensiva praticata dal decreto legislativo, considerato che la norma di derivazione delegante parlava specificatamente solo della bancarotta semplice. Anche qui deve aver prevalso lo schema che vuole un restringimento del campo penale per le condotte di tenue portata. Peraltro la “specialità” del ridotto danno cagionato dovrebbe essere un parametro relativo e non assoluto, da adattare al caso concreto, anche se la norma non si cura di precisare, al pari dell'art. 2621-bis del c.c. in tema di falsità nei bilanci d'esercizio, che nella valutazione si deve tener conto di una grandezza dimensionale.

Le condotte che possono godere dell'impunità sono solo quelle tenute prima dell'apertura di una delle procedure previste, compresa la composizione assistita. Tale puntualizzazione, che potrebbe apparire superflua assume, a giudizio di chi scrive, un significato preciso soprattutto sul tema della possibile configurazione del reato di bancarotta semplice da aggravamento del disseto. Nel corso, ad esempio, della composizione assistita, aperta tempestivamente, potrebbe capitare che le trattative in corso non riescano a sfociare in un accordo e che durante le fase della consultazione con i creditori, anche solo in parte, l'impresa accumuli altro deficit. Ebbene, l'aver specificato che la tempestività si ripercuote a livello della responsabilità penale, solo per le condotte anteriori all'apertura del rapporto, sta anche a significare che il debitore assume una responsabilità e potrebbe essere chiamato a rispondere nel caso in cui, magari proprio per errori colposi di sottovalutazione dei parametri economici, abbia aggravato, durante la composizione assistita, il proprio disseto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura delle liquidazione giudiziale. È ovvio che l'ipotesi sembra di scuola e dovrebbe avere poche aderenze con la realtà nella quale è stato pensato il procedimento di amministrativo che vede la partecipazione di un organismo professionale esterno ed una fase di consultazione piuttosto serrata, tale da risultare un baluardo rispetto ai rischi di cui si sta discutendo.

L'ultima parte dell'art. 25, anch'essa di natura penale, chiude con una previsione della riduzione a metà della pena nel caso in cui, al momento dell'apertura della procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, aperta a seguito della presentazione dell'istanza da parte di colui al quale l'imputazione è riferita, il valore dell'attivo inventariato oppure offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell'ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo non supera l'importo di € 2.000.000. Nessun riferimento appare sul requisito della tempestività, tanto da poter ipotizzare che ne sia del tutto sganciata. La riduzione sembrerebbe operare, quindi, sul solo presupposto delle presentazione della domanda e del raggiungimento delle misure sopra descritti. Occorre osservare che il termine di paragone del danno cagionato non si presenta di facile determinazione. Si tratta infatti di stabilire una grandezza che dovrebbe essere data dalla differenza tra il passivo accertato nella procedura, secondo le modalità previste per ciascuna di esse, e un valore attivo, che potrebbe attenersi a criteri di tipo valutativo, ovvero potrebbe essere dato dal risultato finale effettivamente realizzato al termine della procedura. In tal caso si dovrebbe assimilare il danno cagionato alla misura dell'insoddisfazione finale della procedura di liquidazione giudiziale. È ragionevole, tuttavia, che si vada nella direzione di privilegiare l'attivo in termini di valutazione, da applicare all'inventario o a quanto promesso nella proposta avanzata nella procedura di concordato o di accordo di ristrutturazione, anche perché, al contrario, il procedimento penale dovrebbe attendere l'esito finale della procedura; il che non appare ragionevole.

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