In caso di escussione del credito per intero, il singolo condomino deve provare la somma dovuta pro quota
30 Aprile 2019
Massima
Per agire nei confronti dei singoli condomini sulla base del titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, il creditore, dopo la notifica del titolo stesso all'amministratore, non ha l'obbligo di notificarlo ai medesimi né di doversi munire di un secondo titolo nei confronti dei singoli condomini. L'esecuzione nei confronti di un condomino, sulla base del titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, per le obbligazioni contratte dall'amministratore, può aver luogo esclusivamente nei limiti della quota millesimale dello stesso, ma se il creditore ne omette la specificazione, o proceda per il totale dell'importo portato dal titolo, l'esecutato può proporre opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., contestando la misura della quota allegata dal creditore, dovendo però provare l'effettiva misura della propria quota condominiale, ai fini della declaratoria di inefficacia dell'atto di precetto per l'eccedenza, e, in mancanza, l'opposizione non può essere accolta. Il caso
Il creditore di un condominio aveva ottenuto nei confronti di questo un titolo esecutivo di condanna al pagamento e aveva provveduto a notificarlo all'amministratore. Avvalendosi dell'art. 63 disp. att. c.c., il creditore non soddisfatto aveva poi richiesto all'amministratore di fornirgli i nominativi dei condomini inadempienti e di indicargli le rispettive somme per le quali essi erano debitori. Il creditore notificava in seguito l'atto di precetto ai singoli condomini morosi indicando quanto da loro dovuto in base alle informazioni rese dall'amministratore. I condomini proponevano opposizione al precetto e all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. avanti il Tribunale di Bari sostenendo che esso fosse nullo in quanto il titolo esecutivo non era stato loro notificato e in quanto asserivano di aver già pagato pro quota quanto dovuto. Il Tribunale di Bari accoglieva l'opposizione dichiarando la nullità dell'atto di precetto ritenendo che il titolo esecutivo dovesse essere notificato anche ai singoli condomini. Il creditore proponeva appello alla Corte territoriale competente motivando che non era suo obbligo notificare il titolo esecutivo, oltre che al condominio, anche ai singoli condomini, censurando nel merito la decisione in quanto essi non avevano dato prova di aver pagato la somma da loro dovuta pro quota. La Corte d'appello di Bari accoglieva l'impugnazione e la prospettazione difensiva dell'appellante secondo la quale non esisterebbe una norma che, dopo la notifica del titolo all'amministratore di condominio, imponga al procedente di dotarsi di un secondo titolo nei riguardi dei condomini. Il giudice distrettuale, richiamando le sentenza delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148 e la Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856), ha osservato che l'esecuzione da parte del creditore nei confronti di un singolo condomino sulla base di un titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio può aver luogo esclusivamente nei limiti della quota millesimale dello stesso ma, ove il condomino contesti la misura della quota indicata dal creditore, gli spetta l'onere di dimostrare l'effettiva misura della propria quota condominiale per ottenere l'accoglimento dell'opposizione all'esecuzione da lui proposta. I condomini opponenti sostenevano nella fattispecie che la loro quota di debito fosse inferiore a quella indicata dal creditore nell'atto di precetto e che essi l'avevano in ogni caso pagata, ma il giudice del gravame, rilevando che essi non avevano fornito la prova di quanto asserito, ha ritenuto che il valore del debito in proporzione ad ogni quota dovesse essere quello indicato dall'amministratore di condominio. La questione
Due sono le questioni affrontate dalla Corte d'Appello di Bari. La prima: il creditore, ottenuto il titolo esecutivo di condanna nei confronti del condominio, è obbligato a notificarlo anche ai singoli condomini o deve munirsi di un ulteriore titolo esecutivo per poter procedere esecutivamente nei loro confronti? La seconda: quando il creditore agisce esecutivamente contro i singoli condomini e omette di specificare nell'atto di precetto la misura del credito pro quota dovuta da ciascuno, nel giudizio di opposizione alla esecuzione, spetta a lui o ai singoli condomini l'onere di provare l'entità della loro quota millesimale per ottenere la declaratoria di inefficacia del precetto? Le soluzioni giuridiche
La Corte d'appello di Bari ha ritenuto fondata l'eccezione della difesa del creditore opposto secondo la quale, una volta ottenuto il titolo nei confronti del condominio e, notificatolo all'amministratore di questo, la legge non lo obbliga a munirsi di un secondo titolo esecutivo contro i singoli condomini, né lo obbliga a notificarlo anche ai singoli condomini quando venga intrapresa l'esecuzione nei confronti dei medesimi. In ordine alla seconda questione, la Corte territoriale ha rilevato che, quando il creditore agisce esecutivamente nei confronti dei singoli condomini, non ha l'onere di provare la misura della quota millesimale del debito sulla quale essi son chiamati a rispondere, dovendo provare solo la qualità di condomino del soggetto intimato, potendo agire, indicando anche genericamente l'intero credito per il quale procede. La decisione è coerente con quanto recentemente affermato da Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856, secondo la quale il creditore che agisce in via esecutiva nei riguardi di singoli condòmini sulla base del titolo formatosi nei confronti del condominio, in persona dell'amministratore, ha l'onere di dimostrare solo la qualità di condomino del soggetto intimato con il precetto, spettando, invece, a quest'ultimo allegare e dimostrare, in sede di opposizione all'esecuzione, l'eventuale minor misura dell'obbligazione contributiva dovuta in ragione della rispettiva quota millesimale.
Osservazioni
Il caso in esame si inserisce nella più ampia tematica della efficacia del titolo esecutivo che di regola si limita alle parti coinvolte nel relativo procedimento e non si estende ai terzi che non vi abbiano partecipato. Esistono tuttavia eccezioni alla regola suddetta; speciali norme estendono l'efficacia del titolo esecutivo anche a soggetti estranei a quelli indicati dal titolo. È il caso dell'art. 1595, comma 3, c.c. che stabilisce che la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha efficacia anche contro il subconduttore. L'efficacia si verifica, quindi, anche se il subconduttore non sia stato parte del giudizio né sia menzionato nel titolo di condanna. In altri casi di elaborazione giurisprudenziale, come in tema di società di persone, si è stabilito che il titolo ottenuto dal creditore nei confronti della società per debiti della stessa ha efficacia anche nei confronti dei soci. Si è ritenuto, pertanto, che il creditore possa agire nei confronti dei soci sulla base del titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società. L'estensione dell'efficacia del titolo esecutivo ai soci in materia di società di persone si spiega con il fatto che nel relativo capo del codice civile esistono specifiche norme che regolano la responsabilità dei soci (artt. 2291 c.c., 2267 c.c.) e i rapporti che intercorrono tra l'azione svolta dal creditore sociale nei confronti della società e l'azione sussidiaria che egli può svolgere nei confronti dei soci medesimi (artt. 2268 c.c., 2304 c.c.). In particolare, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2003, n. 613 ha precisato che la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di una s.n.c. costituisce titolo esecutivo contro il socio illimitatamente responsabile anche se quest'ultimo sia stato estraneo al giudizio avendo chiarito in maniera convincente che la sentenza emessa nei confronti della società in nome collettivo spiega, come titolo esecutivo, effetti riflessi anche in confronto al socio, la posizione del quale dipende da quella della società, nel senso che qualunque obbligo sociale, in qualunque modo sorto, fa nascere nel socio l'obbligo corrispondente (la fonte dell'obbligo corrispondente è prevista negli artt. 2291 c.c. e 2267 c.c.). Nel condominio, invece, non vi è alcuna norma che regola verso l'esterno la responsabilità dei singoli condomini, a parte l'art. 63 disp. att. c.c. - che analizzeremo in seguito - sussistendo solo norme che regolano la rappresentanza necessaria dell'amministratore (art. 1131 c.c.) e, non esistono norme, come invece esistono nella società di persone (artt. 2268 c.c. e 2304 c.c.), che regolino i rapporti tra l'azione svolta dal creditore nei confronti dell'organizzazione sociale (condominio) e quella svolta nei confronti nei confronti dei sui partecipanti (condomini). Fatte queste premesse, si deve rilevare come la decisione della Corte d'appello di Bari non provveda ad illustrare in forza di quale ragionamento giuridico operi l'estensione ai singoli condomini dell'efficacia del titolo esecutivo ottenuto contro l'amministratore del condominio, come d'altronde anche le altre decisioni della Suprema Corte emesse in materia (Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148; Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20304; Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1982, n. 6868). Solo Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2000, n. 5117 sembra essersi sforzata di spiegare la ragione della ritenuta ultrattività del titolo esecutivo nei confronti dei condomini. Secondo tale decisione, la legittimazione passiva dell'amministratore, per quanto riguarda le azioni relative alle parti comuni, è eventuale, dato che l'art. 1131, comma 2, c.c. stabilisce che l'amministratore “può essere convenuto” in giudizio. La legittimazione passiva dell'amministratore, cioè, ha carattere sussidiario. Da questa premessa si inferisce che la controparte possa istaurare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, anziché dell'amministratore (Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1979, n. 1626). Da questa proposizione si deduce ulteriormente che nulla impedisce che il terzo, assieme all'amministratore, possa citare taluni condomini, per conseguire l'accertamento dell'unico fatto costitutivo dell'unica obbligazione immediatamente anche nei loro confronti. D'altra parte, i singoli condomini rispondono, in proporzione alle loro quote in ragione della loro posizione soggettiva rispetto alle parti comuni. Perciò può sussistere l'interesse del terzo di definire i termini della loro responsabilità. In forza dell'art. 1123, comma 1, c.c., invero, le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, in quanto la ripartizione delle spese in proporzione alle quote si giustifica in virtù del legame propter rem delle obbligazioni che hanno origine immediatamente dalla appartenenza (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530). Tuttavia, anche questi rilievi non convincono, obiettandosi che l'art. 1123 c.c. se avesse rilevanza esterna, a maggior ragione il creditore dovrebbe convenire in giudizio i singoli condomini ed ottenere un titolo esecutivo nei loro confronti. In un ordinamento ove non esistono norme dalle quali si possa affermare che il condominio costituisca un ente dotato di soggettività e ove la rappresentanza dell'amministratore in giudizio non è dell'ente ma dei singoli condomini, l'unica soluzione coerente possibile sembrerebbe essere quella che nell'atto introduttivo della lite, sia dal lato attivo, che passivo, accanto al nominativo dell'amministratore, si indichino nominativamente anche i condomini rappresentati, perché è solo così che la decisione od il titolo potrebbero spiegare effetti nei loro confronti. L'orientamento della Corte d'appello di Bari in commento e di Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856 si pongono, peraltro, in contrasto con la decisione di Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663, secondo la quale la sentenza resa nei confronti dell'amministratore in rappresentanza del condominio non spiega efficacia nei confronti del singolo condomino se non ha partecipato al giudizio. In particolare, nel caso di giudizio intentato dal condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini al condominio, costoro non siano stati parti, spetta esclusivamente al condominio, in persona del suo amministratore, a ciò autorizzato da delibera assembleare, far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole di detto giudizio. Da questo orientamento, discenderebbe la logica conseguenza che se i condomini non sono stati parti nel procedimento di cognizione intervenuto tra creditore e condominio ove quest'ultimo è stato condannato al pagamento, non solo ad essi non spetterebbe alcuna legittimazione alla relativa impugnazione, ma neppure il titolo avrebbe efficacia nei loro confronti secondo quanto viene invece affermato da Corte d'Appello di Bari in commento e da Cass. civ. n. 22856/2017 cit. Coerentemente, se il creditore intendesse agire esecutivamente contro i singoli condomini, dovrebbe prima proporre una azione per ottenere la condanna al pagamento nei loro confronti in un procedimento ove gli stessi siano convenuti quali parti. Invece, la decisione in commento della Corte pugliese (come altra giurisprudenza Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148) danno per scontato che, «conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore possa procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno», ovvero, dando per scontato che il titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio abbia piena efficacia esecutiva anche contro i singoli condomini, anche se essi non sono stati parti del relativo procedimento e, senza spiegare in modo adeguato e convincente, in base a quali norme l'efficacia della condanna si estenda a loro. Addirittura, la sentenza della Corte d'appello di Bari dimostra di agevolare ulteriormente il creditore rispetto alle decisioni rese in materia dalla Suprema Corte laddove accoglie la sua eccezione, secondo la quale, il titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, non debba essere notificato ai singoli condomini, quando invece secondo Cass. civ., sez. VI, 29 marzo 2017, n. 8150 e Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856, per potersi agire contro i condomini, è necessaria la notifica del titolo anche a loro come, d'altronde, la giurisprudenza formatasi in materia di società di persone, ritiene che il titolo ottenuto contro la società debba essere necessariamente notificato anche ai soci per potersi procedere nei confronti di questi (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2004, n. 19946). In tema di azioni di azioni esperibili per le obbligazioni contratte dall'amministratore in rappresentanza dei condomini, il novellato art. 63 disp. att. c.c. dispone che l'amministratore medesimo, se interpellato, ha l'obbligo di comunicare ai creditori insoddisfatti, i dati relativi ai condomini morosi. La norma introduce quindi la possibilità per il creditore che non sia stato pagato totalmente o parzialmente dall'amministratore del condominio di agire non solo contro il condominio ma, anche singolarmente nei confronti dei condomini morosi interpellandolo onde ottenere da lui la precisazione della parte del credito pro quota millesimale dovuta. In via sussidiaria, il creditore, in caso di infruttuosa escussione del patrimonio dei condomini morosi, può successivamente agire anche nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti. Dalla norma citata, non si evince, però, che il creditore possa utilizzare il titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio per agire nei confronti dei singoli condomini morosi. Affermare che il titolo ottenuto contro il condominio possa consentire al creditore di procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno, secondo una acuta osservazione, varrebbe a favorire un'agevole elusione del vigente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. posto che la tutela del beneficio di escussione non potrebbe ritenersi efficace unicamente come limite alla fase esecutiva, quanto impeditivo già dell'azione di condanna in sede di cognizione. Si evidenzia che anche la giurisprudenza di merito inizia timidamente in alcune minoritarie pronunce a intravvedere l'aggiramento dell'art. 63, comma 2, disp. att. c.c. in alcune azioni esecutive promosse dal creditore. Ci si riferisce a quelle pronunce che, in particolare, hanno ritenuto illegittimo il pignoramento del conto corrente condominiale, in quanto l'aggressione delle somme ivi depositate, ove è pacificamente provata la mancanza di versamenti da parte dei condomini morosi, comporterebbe una azione forzosa diretta nei confronti dei condomini adempienti, azione che la norma invece consente solo in caso di infruttuosa escussione del patrimonio dei morosi (Trib. Monza 27 aprile 2016; Trib. Palermo 12 settembre 2018). Per le considerazioni suesposte, suscita pertanto perplessità l'orientamento in commento e di alcune pronunce della Corte di Cassazione in ordine alla estensione nei confronti dei condomini dell'efficacia del titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio e sarebbe opportuno che su tale spigoloso problema intervenissero nuovamente le Sezioni Unite. Ribadita la responsabilità parziaria pro quota dei condomini nei confronti delle obbligazioni contratte dall'amministratore di condominio per la gestione comune, ne dovrebbe conseguire che, in base alle norme generali sull'onere della prova (art. 2697 c.c.), spetti al creditore dimostrare la misura di contribuzione dovuta pro quota dal condomino contro il quale egli agisce. La decisione della Corte d'appello di Bari, invece, segue il recente orientamento di Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856, secondo il quale spetta al condomino che proponga opposizione al precetto provare che la misura pro quota da lui dovuta sia diversa da quella intimata dal creditore. Tale scostamento dalle regole codicistiche, anzi, potremmo definirla, una vera e propria inversione della regola sull'onere della prova, viene attuata a volte dal giudice di legittimità quando ritiene che, in taluni rapporti giuridici, sia riferibile, prossima o più vicina ad un determinato soggetto la dimostrazione di una circostanza, ciò indipendentemente dal fatto che sia lui o la controparte ad esercitare l'azione. Anche questo orientamento suscita perplessità, considerato che nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. spetta sempre all'opposto, ovvero al creditore procedente quale attore in senso sostanziale la prova che il titolo esecutivo sia stato emesso per la somma intimata (Cass. civ., sez. II, 16 giugno 2016, n. 12415) o comunque la prova dell'esattezza degli importi intimati (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 2014, n. 24669). Non pare che, attraverso il principio della vicinanza o riferibilità della prova, si possa attuare l'inversione dell'onere probatorio, dovendosi seguire altri percorsi. L'art. 63 disp. att. c.c. pone a carico dell'amministratore di condominio l'obbligo specifico di fornire al creditore i dati dei condomini morosi e quindi di indicare la misura pro quota del credito dovuta dai singoli condomini. L'indicazione da parte del creditore della misura del credito dovuta dai singoli ed inserita nel precetto sulla scorta della comunicazione dei relativi dati forniti dall'amministratore, determina in capo alla parte onerata della prova, ovvero al creditore, un affidamento sui dati ricevuti, non spettando quindi a lui eliminare l'incertezza sull'entità della quota. Si presume pertanto che, a norma dell'art. 2727 c.c., i dati comunicati dall'amministratore ricavati dai documenti contabili probatori del condominio (art. 1130-bis c.c.: rendiconto e preventivo approvati, estratti di conto corrente con riscossioni e spese) siano veritieri (presunzione semplice). La presunzione semplice comporta l'inversione dell'onere della prova e pertanto una volta che il creditore specifichi nell'atto di precetto i dati ricevuti dall'amministratore, spetta a chi voglia contestarli, ovvero al singolo condomino l'onere di provare che essi non lo siano e dimostrare la diversa misura di contribuzione dovuta. Si ritiene, pertanto, che l'obbligo di informativa al creditore, posto dall'art. 63 disp. att. c.c. a carico dell'amministratore, abbia il compito di rendere più agevole la posizione processuale del creditore stesso e la funzione di configurare una ripartizione del carico probatorio diversa da quella che risulterebbe dall'art. 2697 c.c. Certo è che tale ricostruzione dogmatica varrebbe solo nel caso in cui l'amministratore comunichi i dati probatori indicati dall'art. 1130-bis c.c. Nel caso in cui tale informativa non venga data, spetta esclusivamente al creditore acquisire la relativa documentazione anche mediante le azioni cautelari del caso.
*Fonte: www.condominioelocazione.it |