Gli effetti delle procedure concorsuali sul capitale sociale
Giannino Bettazzi
02 Maggio 2019
Ogni approccio al tema degli effetti delle procedure concorsuali sul capitale sociale muove inevitabilmente dal progressivo, e verosimilmente definitivo, superamento della tradizionale incompatibilità tra operazioni straordinarie e società in crisi.Com'è noto, infatti, l'originario assetto funzionale delle principali procedure concorsuali...
Inquadramento storico: la rimozione dei limiti di incompatibilità tra operazioni straordinarie e procedure concorsuali
Ogni approccio al tema degli effetti delle procedure concorsuali sul capitale sociale muove inevitabilmente dal progressivo, e verosimilmente definitivo, superamento della tradizionale incompatibilità tra operazioni straordinarie e società in crisi.
Com'è noto, infatti, l'originario assetto funzionale delle principali procedure concorsuali, finalizzate alla liquidazione atomistica, diretta o per equivalente (come nel concordato preventivo con garanzia esterna), del patrimonio del debitore, non contemplava in alcun modo il ricorso ad operazioni straordinarie le quali, laddove del caso, venivano attuate al di fuori (in vista od all'esito) del procedimento.
Oltre che sul piano concettuale, tale incompatibilità trovava puntuale riscontro in specifiche disposizioni di legge, ed in particolare nel capoverso dell'art. 2501 c.c., che inibiva la fusione alle società sottoposte a procedure concorsuali.
A partire dai primi anni duemila, dapprima con la riforma del diritto societario, e quindi con le rilevanti modifiche a più riprese apportate alla legge fallimentare, non solo sono stati rimossi i limiti di incompatibilità tra le procedure concorsuali (segnatamente, quelle preventive) e le operazioni straordinarie, ma siffatti interventi hanno originato, per problemi di coordinamento, autentiche questioni interpretative, di cui è testimone la vasta letteratura formatasi in un arco temporale piuttosto modesto.
Da un lato, il nuovo testo dell'art. 2499 c.c. non esclude la trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale; nel novellato secondo comma dell'art. 2501 c.c., non figura il predetto divieto; l'art. 2506, quarto comma, c.c., non riproduce il previgente art. 2504-septies c.c., che non consentiva la scissione alle società in procedura.
Dall'altro, con la detipizzazione delle soluzioni concordatarie, consacrata nel riformato art. 160 l.fall., è ora possibile che la proposta da sottoporre ai creditori preveda, tra l'altro, proprio il ricorso ad operazioni straordinarie, ovvero l'impiego di strumenti attuabili attraverso queste ultime.
Ad essa si aggiungono le disposizioni di cui agli artt. 185 e 186-bis l.fall., sempre in materia di concordato preventivo, aventi rispettivamente ad oggetto i trasferimenti d'azienda e l'aumento del capitale sociale, nonché lo stesso art. 182-sexies l.fall., che sterilizza successivamente al deposito della domanda l'operatività delle cause di scioglimento connesse alla perdita del capitale sociale.
Tali misure rispondono all'esigenza di interesse economico generale, vieppiù avvertita ed assecondata dal legislatore anche mediante altri interventi, di salvaguardare la continuità aziendale, e per essa i livelli occupazionali, al contempo scongiurando (o, quantomeno, limitandone gli effetti) che le conseguenze della insolvenza si diffondano tra i soggetti coinvolti con l'impresa indebitata.
La medesima ratio ha informato, come pure è noto, la riforma della crisi di impresa e dell'insolvenza, contenuta nella legge delega n. 155/2017.
Nel prosieguo, si avrà modo di evidenziare come, a proposito degli effetti delle procedure concorsuali sul capitale, la disciplina scaturitane (d.lgs. n. 14/2019) abbia risolto in buona parte i predetti problemi di coordinamento tra il diritto societario e quello ora consacrato nel Codice della crisi e dell'insolvenza.
Ciò premesso in linea generale, il tema degli effetti delle procedure concorsuali sul capitale verrà trattato in funzione delle diverse situazioni di possibile interferenza: si esamineranno dapprima il regime delle operazioni volontarie, quindi i casi di operazioni c.d. ‘imposte' ed infine ci si soffermerà sulle ipotesi di sospensione dell'operatività delle norme di diritto societario.
Le operazioni "volontarie" dei soci sul capitale delle società in crisi
Per operazioni volontarie sul capitale si intendono qui i processi di ristrutturazione patrimoniale, finanziaria ed organizzativa che le società possono attuare in vista dell'accesso ad una procedura di soluzione della crisi, ed in particolare al concordato preventivo.
Gli strumenti attraverso i quali tali processi vengono programmati e realizzati consistono, normalmente, in istituti (trasformazione, fusione, scissione) regolati dal diritto societario.
Si pongono dunque, come anticipato, profili di concorso e di conflitto tra la disciplina societaria e quella concorsuale che riguardano, in sostanza, la fase deliberativa delle operazioni, il regime delle autorizzazioni al loro compimento, le conseguenze nei confronti di (e le tutele a favore di) soci e creditori, la stabilità dei loro effetti.
Quanto al tema della deliberazione e della legittimazione, è noto che l'art. 152 l.fall. riserva all'organo amministrativo, salva diversa previsione dell'atto costitutivo, il potere di chiedere l'accesso alla procedura concorsuale.
Secondo parte significativa della dottrina, qualora il piano concordatario comporti il ricorso ad operazioni straordinarie, la disposizione andrebbe interpretata nel senso che resterebbe ferma la competenza assembleare ai fini del corretto svolgimento dell'iter decisionale dal quale origina la proposta.
Di qui, secondo questa impostazione, la possibilità che la determinazione assunta dall'organo amministrativo senza previa deliberazione assembleare possa formare oggetto di impugnazione.
La (scarsa) giurisprudenza formatasi sul punto si è limitata a ribadire come la decisione di presentare la domanda di ammissione al concordato preventivo spetti in via esclusiva all'organo amministrativo in carica, con formalità differenti in funzione della sua composizione (Cass. 19 novembre 2018, n. 29741).
Tale soluzione figura adottata senza mezzi termini dal codice della crisi e dell'insolvenza di cui al d.lgs. n. 14/2019.
Ed invero, nell'ambito delle norme procedimentali di carattere generale, e segnatamente all'art. 44 c.c.i., viene fatto esplicito rinvio, quanto alla domanda di concordato preventivo, all'art. 265 c.c.i., che a sua volta al secondo comma prevede, per le società di capitali, che la proposta e le condizioni “sono deliberate dagli amministratori”.
Il riferimento alla deliberazione rimuove ogni dubbio in proposito, e lascia evidentemente insensibile la procedura rispetto ad eventuali vicende patologiche della relativa determinazione.
Va da sé che ragioni (quantomeno) di opportunità suggeriscono agli amministratori di far precedere la decisione circa l'accesso alla procedura concorsuale da apposita e preventiva autorizzazione da parte dell'organo assembleare, a fortiori laddove fossero programmate operazioni straordinarie, pena l'assunzione di responsabilità personale nei confronti dei soci.
Tuttavia, ai fini del regolare corso della procedura, deve pacificamente ritenersi sufficiente che la domanda provenga dagli amministratori in carica.
Il secondo profilo che merita di essere approfondito concerne il regime autorizzativo delle operazioni straordinarie.
Naturalmente, la questione si pone solo qualora l'operazione interferisca, sul piano temporale ovvero degli effetti, con la procedura concorsuale.
Al riguardo, giova anzitutto premettere che non necessariamente un'operazione straordinaria si configura quale atto di straordinaria amministrazione ai sensi degli artt. 161 e 167 l.fall.
Come predicato dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, da ultimo, Cass. 22 giugno 2017, n. 15467), occorre a tal fine valutare l'attitudine dell'atto ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, “pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo grava di vincoli e di pesi cui non corrisponde l'acquisizione di utilità reali prevalenti su questi ultimi”.
Su tali presupposti la dottrina prevalente, attingendo anche alle prassi notarili, reputa che, ogniqualvolta l'operazione straordinaria venga programmata dopo la presentazione della domanda di concordato e sia destinata a trovare attuazione subordinatamente alla omologazione, gli atti deliberativi ed esecutivi non richiedano apposita autorizzazione da parte del giudice competente.
La disciplina introdotta dal codice della crisi e dell'insolvenza si limita a riprodurre, in materia di atti di straordinaria amministrazione (artt. 46 e 94 c.c.i.), le norme attualmente vigenti, senza dare una esplicita risposta al quesito di cui sopra.
La soluzione adottata dalla dottrina appare convincente e può pertanto ritenersi corretta anche per il futuro, ferma restando una necessaria, quanto ovvia precisazione.
Ed invero, affermare che un'operazione straordinaria prevista nel piano concordatario e subordinata alla sua omologazione non necessiti di specifica autorizzazione, non significa affatto che essa, nella accezione sopra indicata, non possa (e non debba) essere vagliata dagli organi della procedura.
E' evidente, piuttosto, come la valutazione circa l'attitudine dell'operazione straordinaria ad incidere sul patrimonio del debitore, già compiuta in occasione della ammissione alla procedura, risulti assorbita dal più generale e complessivo sindacato che il tribunale è chiamato a svolgere in sede di omologazione della proposta concordataria, così spiegandosi la ragione per la quale la stessa, ove subordinata a tale provvedimento, si sottrae al vaglio preventivo del giudice.
La correttezza di questa ricostruzione risulta peraltro confermata dalla disciplina dei rimedi (contro le), e della stabilità (delle), operazioni straordinarie.
Superando non poche incertezze, e facendo propri anche a questo riguardo gli orientamenti della dottrina maggioritaria, il legislatore delegato ha infatti espressamente stabilito (art. 116 c.c.i.) che, nell'ipotesi suddetta, la validità delle operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice può essere contestata dai creditori esclusivamente mediante opposizione all'omologazione.
Affinché tale diritto possa venire utilmente esercitato, il capoverso della citata norma prevede che, nel fissare exart. 48 c.c.i. l'udienza per il giudizio di omologazione, il tribunale disponga la pubblicazione del piano nel registro delle imprese, e che tra essa e l'udienza stessa decorrano non meno di trenta giorni.
L'individuazione dell'omologazione quale momento prescelto per la verifica, non solo il profilo della procedura, della legittimità dell'operazione straordinaria, avvalora quanto sopra esposto.
Al tempo stesso, la disciplina di cui all'art. 115 c.c.i. scioglie ogni dubbio non solo circa i rimedi esperibili, ma anche con riferimento alla stabilità delle operazioni straordinarie programmate nell'ambito della procedura concordataria.
Ai sensi del terzo comma dell'art. 116 c.c.i., infatti, gli effetti di eventuali trasformazioni, fusioni o scissioni attuate nell'ambito del concordato preventivo risultano irreversibili anche in caso si risoluzione od annullamento, fatto salvo il diritto al risarcimento del danno “spettante ai soci o ai terzi” a norma degli artt. 2500-bis, secondo comma (invalidità della trasformazione), 2504-quater, secondo comma (invalidità della fusione), e 2506-ter, quinto comma (invalidità della scissione), c.c.
Le operazioni "imposte": proposte ed offerte concorrenti
Vengono ora in considerazione le conseguenze sui diritti dei soci che possono derivare dall'applicazione degli istituti, recentemente introdotti nell'ordinamento (e riproposti, nel solco dell'indirizzo di politica legislativa di cui s'è detto in premessa, nell'ambito della nuova regolamentazione della crisi e dell'insolvenza), delle proposte e delle offerte concorrenti.
Trattasi certamente di uno degli aspetti di maggiore interferenza (recte, frizione) tra la disciplina societaria e quella concorsuale.
Ed invero, tradizionalmente le operazioni di riorganizzazione societaria, anche in situazioni di crisi finanziaria, rappresentavano prerogativa esclusiva dei soci e venivano deliberate in sede assembleare, secondo le normali regole statutarie.
D'altro canto, è ben noto che le società rispondono delle obbligazioni con il loro patrimonio (art. 2740 c.c.), del quale non fanno evidentemente parte le singole azioni o quote rappresentative del capitale.
In virtù della propria caratteristica di bene mediato, la partecipazione sociale non veniva (e, soprattutto, non poteva venire) travolta dalle vicende della società.
E' pur vero che il valore economico della partecipazione in una società in crisi finanziaria risultava di fatto, e quasi sempre, sostanzialmente inapprezzabile.
Tuttavia, alla stregua dell'originario assetto del diritto commerciale, doveva escludersi che la partecipazione sociale potesse estinguersi in dipendenza degli esiti della procedura concordataria, a cominciare dalla volontà dei creditori.
A seguito della introduzione, attraverso il d.l. n. 83/2015, dell'istituto delle proposte concorrenti (attualmente disciplinate dall'art. 163, comma quarto e ss., l.fall.), nonché delle norme in punto esecuzione del concordato preventivo (art. 185, comma terzo e ss., l.fall.), l'ordinamento ha riconosciuto espressamente e positivamente un autentico nesso di soggezione dei diritti dei soci all'accordo tra la società ed i creditori sociali, per effetto del quale determinate operazioni sul capitale possono essere imposte ai soci.
Nel rispetto delle condizioni previste dall'art. 163 l.fall., la presentazione di proposte concorrenti può infatti comportare, tra l'altro, un aumento di capitale della società debitrice con esclusione o limitazione del diritto di opzione.
Per altro verso, i diritti dei soci possono essere pretermessi anche in fase di esecuzione del concordato in quanto, qualora la società ometta o ritardi di adempiere al piano, il tribunale attribuisce al commissario giudiziale i poteri spettanti all'organo amministrativo ovvero, laddove non venga dato corso all'aumento di capitale ivi programmato, nomina un amministratore giudiziario che provveda ai relativi incombenti.
Le riserve e le perplessità, anche di legittimità costituzionale (per sospetta violazione degli artt. 41 e 42 Cost. in tema di libertà di iniziativa economica e proprietà privata), sono state superate dietro considerazione che il patrimonio della società in crisi finanziaria è destinato unicamente, a mente dell'art. 2740 c.c., al soddisfacimento dei creditori, ai quali dunque deve ritenersi ‘appartenere' l'impresa.
L'attuale disciplina contenuta negli artt. 163 e 185 l.fall. figura riprodotta nelle disposizioni di cui agli artt. 90 e 118 c.c.i.
L'unica variazione riguarda, in ottemperanza ai principi enunciati dal legislatore delegante (segnatamente ai sensi dell'art. 6 L. n. 155/2017), la tutela dei soci di minoranza.
Il quinto comma dell'art. 118 c.c.i. prevede infatti che, in presenza dei sopra indicati presupposti per la nomina dell'amministratore giudiziario in fase di esecuzione, siano fatti salvi i diritti di informazione e di voto di questi ultimi.
Inoltre, il capoverso successivo dispone che l'esercizio del diritto di voto necessario per dare esecuzione all'aumento di capitale programmato riguardi esclusivamente le azioni o le quote facenti capo ai soci di maggioranza.
Ciò premesso, si discute se anche attraverso le offerte concorrenti possa realizzarsi un'ipotesi di soggezione forzosa dei diritti dei soci agli effetti del piano concordatario.
Trattasi com'è noto dell'istituto, pure introdotto dal d.l. n. 83/2015 e collocato nell'art. 163-bis l.fall., che prescrive, in presenza di offerta avente ad oggetto l'acquisizione (o l'affitto) dell'azienda, di suoi rami o di specifici beni da parte di un soggetto già individuato, la necessità di dare corso alla pubblicità finalizzata all'apertura di una procedura competitiva.
Poiché la norma fa riferimento all'azienda ovvero a singoli cespiti, ci si è chiesti se l'offerta suscettibile di generare l'adozione del provvedimento volto alla massimizzazione dei risultati della liquidazione possa consistere anche in operazioni straordinarie, ed in particolare avere ad oggetto aumenti di capitale, previo suo azzeramento, riservati al terzo offerente indicato dalla società in crisi.
Nella giurisprudenza di merito si rinvengono precedenti contrastanti.
Da un lato, si è infatti ritenuto che l'operazione straordinaria concepita nei termini anzidetti risulta inammissibile, in quanto volta a trasferire indirettamente all'offerente l'attività di impresa già esercitata dalla società in concordato, eludendo l'(obbligatoria) operatività dell'art. 163-bis l.fall. (Trib. Brescia 21 giugno 2018; Trib. Padova 18 luglio 2018).
Dall'altro, si è invece affermato che la vendita dell'azienda e l'ingresso nella compagine sociale di un altro socio costituiscono fattispecie differenti, non potendosi dare dell'art. 163-bis l.fall. un'interpretazione estensiva sino al punto di ricomprendervi operazioni di modifica degli assetti proprietari che competono esclusivamente ai soci (Trib. Napoli 4 luglio 2018; Trib. Vicenza 4 ottobre 2016).
In sede di riforma, la disciplina delle offerte concorrenti non figura modificata: l'art. 91 c.c.i. riproduce sostanzialmente il testo dell'attuale art. 163-bis l.fall, né la legge delega conteneva indicazioni di sorta.
Al cospetto delle modifiche apportate ad altre norme, tale ‘inerzia' appare confortare la lettura restrittiva della disciplina delle offerte concorrenti, che dunque deve ritenersi applicabile unicamente al trasferimento d'azienda ed alla cessione di specifici beni.
Per altro verso, ed il rilievo è decisivo, resta impregiudicata la possibilità della presentazione di proposte concorrenti da parte dei creditori, dalla quale scaturirebbero le conseguenze sopra esposte.
La sospensione dell'operatività delle norme societarie sul capitale nelle procedure concorsuali
Anche il regime della sospensione dell'operatività delle norme societarie sul capitale nelle procedure concorsuali è rimasta sostanzialmente invariata, pur con l'aggiunta di qualche opportuna precisazione che dovrebbe consentire di rimuovere i dubbi sorti nel recente passato.
Il testo dell'art. 182-sexies l.fall., che prevede appunto la sospensione, sino all'omologazione delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, delle disposizioni che impongono la riduzione e la ricostituzione obbligatorie del capitale sociale in presenza di perdite rilevanti, figura infatti riprodotto in relazione a ciascuna delle predette procedure, con estensione della regola ivi stabilita alla disciplina in materia di misure di allerta.
Com'è noto, l'art. 182-sexies l.fall. è stato introdotto (attraverso il d.l. n. 83/2012) sul presupposto che gli obblighi di ricapitalizzazione, come pure l'automatica operatività della causa di scioglimento per la perdita del capitale sociale, non favorissero l'accesso a soluzioni negoziate della crisi di impresa.
A sua volta, tale convincimento scaturiva dalla constatazione del superamento del principio, stabilito dagli artt. 2446 e 2447 c.c. (nonché per le società a responsabilità limitata dagli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c.) ed efficacemente riassunto nella massima "ricapitalizza o liquida", in forza del quale le norme a presidio della integrità del capitale sociale tutelerebbero i terzi, scongiurando il trasferimento sui creditori sociali del rischio di impresa.
Di qui, sempre al dichiarato fine di apprestare un apparato normativo teso al miglior soddisfacimento dei creditori, la sospensione della operatività delle disposizioni in tema di ricapitalizzazione obbligata del capitale sociale.
Essendo entrata in vigore nel momento di massimo (ed assai spesso strumentale) accesso al procedimento di concordato con riserva, e nonostante l'esplicito richiamo al sesto comma dell'art. 161 l.fall., da più parti si era suggerita un'interpretazione restrittiva della norma di cui all'art. 182-sexies l.fall.
In tal senso, venivano invocati non solo il sistematico abuso dell'istituto del pre-concordato, ma pure il sospetto di violazione delle regole di concorrenza, dal momento che risultava sufficiente il deposito della domanda ‘in bianco' per ovviare agli obblighi di ricapitalizzazione e di liquidazione forzata della società.
Il legislatore della riforma concorsuale non ha condiviso tali preoccupazioni, pervero già superate dalla giurisprudenza (Trib. Monza 11 novembre 2014) e, come s'è detto, ha riprodotto il regime di sospensione dell'operatività delle norme sul capitale sia nel concordato preventivo (art. 89 c.c.i.) e sia negli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 64 c.c.i.), estendendolo anche, nell'ambito delle misure protettive, alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi (art. 20 c.c.i.).
Per quanto concerne, in particolare, il concordato preventivo, è solo il caso di precisare che il ‘deposito della domanda', dal quale scaturisce il presupposto della sospensione, riguarda indistintamente ogni procedura, compresa dunque quella preceduta da istanza con riserva.
Resta naturalmente ferma, come attualmente previsto dall'art. 182-sexies l.fall., la responsabilità degli amministratori exart. 2486 c.c. per violazione dell'obbligo di conservazione del patrimonio verificatasi prima del deposito della domanda.
(Fonte: IlFallimentarista.it)
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Sommario
Inquadramento storico: la rimozione dei limiti di incompatibilità tra operazioni straordinarie e procedure concorsuali
Le operazioni "volontarie" dei soci sul capitale delle società in crisi
Le operazioni "imposte": proposte ed offerte concorrenti
La sospensione dell'operatività delle norme societarie sul capitale nelle procedure concorsuali