Termine per la riassunzione: cosa succede se il giudice assegna un termine superiore a quello di legge?

Redazione scientifica
06 Maggio 2019

In base al combinato disposto dagli artt. 50, comma 1, e 307, comma 3, c.p.c. – nel testo riformato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 – qualora la legge attribuisca al giudice il potere discrezionale di assegnare alle parti termini perentori per il compimento di attività processuali, salvo espressa deroga disposta dalle singole disposizioni di legge, l'esercizio del potere da parte del giudice deve conformarsi al rispetto del limite imposto dal termine minimo – un mese – e massimo – tre mesi – previsti dalla norma generale di cui all'art. 307, comma 3, c.p.c.

Il caso. Il giudice di pace accoglieva l'eccezione di incompetenza territoriale assegnando alla parte interessata il termine di sei mesi per la riassunzione del giudizio avanti all'autorità competente. Essendo stata la causa riassunta oltre il termine di mesi tre previsto dall'art. 50, comma 2, c.p.c. la parte convenuta eccepiva l'estinzione del giudizio. Anche il giudice d'appello disattendeva l'eccezione asserendo che l'art. 50 c.p.c. non impediva al giudice di fissare discrezionalmente il termine per la riassunzione.

Il soccombente ha proposto ricorso in Cassazione, con il quale deduce violazione degli artt. 50 e 307, comma 3, c.p.c.

I poteri discrezionali del giudice. Il Collegio ricorda come i poteri discrezionali attributi al Giudice nella direzione e svolgimento dell'attività processuale debbono rispondere allo schema normativo legale che li autorizza. Se la norma attributiva del potere prevede condizioni e limiti di esercizio, il provvedimento del giudice che ecceda o comunque non rispetti tali condizioni o limiti è affetto da vizio di invalidità.

Nella specie, proseguono i Giudici, l'art. 50 c.p.c. attribuisce al giudice il potere di assegnare discrezionalmente il termine per la riassunzione della causa, a seguito di declaratoria di incompetenza, ponendo quale limite massimo quello di tre mesi dalla comunicazione della decisione la cui inosservanza è sanzionata con la estinzione del giudizio, rilevabile anche ex officio. La norma in esame non si sottrae alla disciplina generale, stabilita nell'art. 307, comma 3, c.p.c., del potere discrezionale di assegnazione del termine che le singole norme processuali vengono ad attribuire al giudice, incontrando in ogni caso l'esercizio di detto potere il limite minimo "non inferiore al mese" ed il limite massimo "non superiore a tre mesi" stabilito dalla disciplina generale.

Principio di diritto. Il Collegio afferma, pertanto, il seguente principio di diritto: «In base al combinato disposto degli artt. 50 comma 1 e 307 comma 3 c.p.c. – nel testo riformato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 –, qualora la legge attribuisca al giudice il potere discrezionale di assegnare alle parti termini perentori per il compimento di attività processuali, salvo espressa deroga disposta dalle singole disposizioni di legge, l'esercizio del potere da parte del giudice deve conformarsi al rispetto del limite imposto dai termini minimo – un mese – e massimo – tre mesi – previsti dalla norma generale di cui all'art. 307 comma 3 c.p.c.

Qualora il Giudice, con il provvedimento che dichiara la propria incompetenza, assegni alle parti, ai sensi dell'art. 50, comma 1, c.p.c., un termine per la riassunzione, rispettivamente, inferiore o superiore a quello minimo e massimo stabilito dall'art. 307, comma 3, c.p.c., il provvedimento deve ritenersi tamquam non esset, in quanto improduttivo di effetti idonei a condizionare l'attività processuale delle parti. Ne consegue che – analogamente alla ipotesi in cui il Giudice si sia astenuto dall'esercitare il potere discrezionale – trova applicazione sussidiaria esclusivamente il termine perentorio massimo previsto dalla norma di legge (fissato in tre mesi dalla comunicazione della decisione di incompetenza dall'art. 50, comma 1, in corrispondenza al termine massimo indicato dall'art. 307, comma 3, c.p.c.)».

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