La relazione del professionista ex art. 124, comma 3, l.fall.

07 Maggio 2019

La stagione di riforme della legge fallimentare dello scorso decennio ha introdotto -fra le altre cose- la possibilità di offrire ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca –tanto nell'ambito del concordato preventivo, quanto in quello fallimentare- il pagamento non integrale del loro credito. Questa possibilità passa dalla relazione di un professionista che deve attestare che la percentuale offerta ai creditori falcidiati sia almeno pari a quella che sarebbe astrattamente ricavabile nell'ambito della liquidazione fallimentare, relazione che si presenta particolarmente complessa perché posta in un punto di snodo fra problematiche di carattere giuridico e di natura tecnico contabile, oltre che valutativo-estimative.
Premessa

La stagione di riforme della legge fallimentare dello scorso decennio ha introdotto - fra le altre cose - la possibilità di offrire ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca – tanto nell'ambito del concordato preventivo, quanto in quello fallimentare - il pagamento non integrale del loro credito. Questa possibilità passa dalla relazione di un professionista che deve attestare che la percentuale offerta ai creditori falcidiati sia almeno pari a quella che sarebbe astrattamente ricavabile nell'ambito della liquidazione fallimentare, relazione che si presenta particolarmente complessa perché posta in un punto di snodo fra problematiche di carattere giuridico e di natura tecnico contabile, oltre che valutativo-estimative. Le presenti note si prefiggono il proposito di tratteggiare alcune fra le più ricorrenti di queste problematiche nell'ambito del concordato fallimentare.

Il professionista e il suo rapporto con gli organi della procedura fallimentare

Al fine di incentivare il ricorso all'istituto del concordato, il legislatore del 2006 ha introdotto nella legge fallimentare la possibilità di offrire ai creditori muniti di privilegio o garanzie un pagamento non più necessariamente pari all'intero importo del credito per cui esiste garanzia o privilegio, bensì pari almeno all'importo astrattamente ricavabile nell'ambito della liquidazione fallimentare del bene su cui grava la garanzia o il privilegio. La logica di siffatta previsione è la: “presunzione pragmatica che ben difficilmente i creditori potrebbero, in sede di liquidazione fallimentare, ottenere un soddisfacimento maggiore rispetto a quello stimato dal professionista. La giustificazione della novità consiste quindi nell'assenza degli stessi privilegiati, le cui aspettative non sarebbero comunque maggiori altrimenti e che quindi dalla proposta non avrebbero ricevuto un trattamento deteriore rispetto a quanto sarebbe avvenuto in un ambito procedurale in cui la par condicio creditorum sia pienamente rispettata” (così: A. La Malfa, Concordato fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di L. Ghia-C. Piccininni- F. Severini, tomo iv, Milano, 2011, 60).

Al fine, poi, di evitare che questa opportunità per il proponente del concordato si possa risolvere in una non proporzionata compressione del diritto di credito del creditore privilegiato, il legislatore ha previsto che il valore astrattamente ricavabile dalla liquidazione fallimentare –che costituisce la percentuale minima di soddisfazione che può essere offerta al creditore falcidiato- debba essere oggetto di una relazione di stima stilata da un professionista di fiducia del Tribunale. L'indipendenza e l'autonomia che dovrebbe caratterizzare l'attività del soggetto così individuato dovrebbe fugare il rischio che la stima dei beni su cui grava il privilegio o il diritto di garanzia sia effettuata “al ribasso”, col conseguente vantaggio –per il proponente- di poter destinare le risorse messe a disposizione del concordato anche ad altre categorie di creditori incentivando -così- l'approvazione del concordato a discapito dei creditori privilegiati (cfr. sul tema: A. Bottai, Trattamento dei creditori privilegiati, nuova finanza e rapporto fra classi e privilegi, in Il Fall., 2010, 85).

La designazione del professionista nell'ambito del concordato fallimentare è –secondo la tesi maggioritaria- di competenza del Tribunale in composizione collegiale e, quindi, né del Giudice delegato, né del Presidente della sezione fallimentare nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, trattandosi di procedimento in camera di consiglio.

Le prassi degli uffici di merito si rivelano, invece, non uniformi nelle interazioni fra il professionista e il Tribunale.

In alcuni Tribunali il professionista viene considerato ausiliario del Giudice. Ciò significa che, a prescindere dalla richiesta del proponente, il Tribunale procede alla nomina del professionista laddove ne ravvisi i presupposti, ossia ritenga che la proposta di concordato che ne sia sprovvista richieda – in realtà - una stima nel senso indicato dalla disposizione. Usualmente, in questi casi la designazione segue a un'interlocuzione del Giudice delegato col soggetto proponente cui si sottopone la criticità ravvisata in tal senso.

Secondo l'impostazione seguita da questi uffici, laddove il proponente non provveda spontaneamente a pagare la prestazione del professionista, la liquidazione del suo compenso viene effettuata dal Tribunale e ciò: vuoi perché il potere di liquidare il compenso viene considerato di per sé connaturato al potere di designazione, vuoi ai sensi dell'art. 168 TU spese di giustizia.

La misura del compenso, in siffatte ipotesi, potrebbe essere individuata applicando l'art. 21 DM 140/2012 relativa ai compensi per: “relazioni di stima richieste da disposizioni di legge o di regolamenti”, posto che anche –come nella relazione dell'attestatore nel concordato preventivo (cfr. Cassazione civile sez. VI, 27/06/2018, n. 16934)- non si versa nell'ipotesi di esecuzione di incarichi di complessiva assistenza alle procedure concorsuali di cui all'art. 27 del medesimo decreto.

Il compenso, in questi casi, viene considerato spesa prededucibile in quanto sorta in occasione e in funzione di una procedura prevista dalla legge fallimentare, salva comunque la responsabilità del proponente nei confronti della massa per aver dato causa alla spesa (F. D'Aquino-A. Danovi, op. cit., 134, nota 14).

In altri uffici, invece, viene valorizzato l'impiego del termine “designato” in luogo di quello usualmente rinvenibile in tema di ausiliari del Giudice – in relazione ai quali il legislatore si esprime in termini di: “nomina”- e si assume il coinvolgimento del Tribunale al solo fine di individuare il soggetto che dovrà redigere la relazione, rimanendo la liquidazione del compenso e la sua determinazione onere del soggetto nel cui interesse è svolta l'attività, con situazione analoga a quella che si verifica nella designazione dell'esperto ai sensi dell'art. 2501-sexies c.c. in caso di fusione.

Anche in relazione al momento in cui viene effettuata la designazione –e, quindi, viene versata agli atti la sua relazione- si registrano prassi non omogenee negli uffici di merito.

Un orientamento più restrittivo assume che la presentazione della proposta di concordato debba essere ab origine corredata dalla relazione del professionista, trattandosi di condizione di ammissibilità della domanda di concordato e ciò anche in ragione del parallelismo con l'ipotesi di falcidia nell'ambito del concordato preventivo in cui la proposta di concordato è sempre presentata al Tribunale già correlata della relazione del professionista.

In questo caso la proposta di concordato sprovvista di relazione non supera il vaglio di ritualità da parte del Giudice delegato ex art. 125, comma 2, l.fall. con conseguente declaratoria di inammissibilità.

Diversa è la posizione di uffici che ammettono che la proposta possa essere correttamente portata all'attenzione degli organi fallimentari a prescindere dal contestuale deposito della relazione.

Questa potrebbe essere, infatti, acquisita in corso di procedimento a seguito di istanza di parte volta alla designazione del professionista ovvero a seguito di sollecitazioni in tal senso da parte del Giudice delegato. Questa diversa ricostruzione dell'iter secondo cui si snoda il procedimento di concordato fallimentare ammette come evenienza del tutto plausibile la possibilità che il proponente si trovi a dover riformulare la proposta alla luce delle stime effettuate dal professionista.

Ad ogni modo, la relazione dovrà essere presente in atti quanto meno al momento dell'espressione del parere del comitato dei creditori non potendosi ritenere correttamente espresso il parere di quest'organo in difetto di un elemento certificativo centrale, quale la corretta determinazione della falcidia.

La ricognizione dei crediti oggetto di falcidia

Il professionista è chiamato ad attestare che l'importo offerto ai creditori privilegiati o muniti di garanzia non potrebbe essere superiore alla liquidazione in sede fallimentare, secondo le modalità che si vedranno oltre.

L'indagine del professionista parte quindi dall'esame della proposta concordataria che, dopo la novella del 2006-2007, può essere articolata nel più variegato dei modi, coi soli limiti della presenza dell'attestazione in caso di falcidia, del rispetto del divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione e della corretta formazione delle classi.

La falcidia potrà senz'altro riguardare il credito del creditore munito di garanzia ipotecaria (volontaria o legale), il creditore pignoratizio, il creditore munito di privilegio speciale.

Per quanto riguarda i creditori privilegiati generali, nell'immediatezza della riforma si era affacciato negli interpreti qualche dubbio in relazione alla possibilità di procedere a falcidia anche dei creditori privilegiati generali. Il dubbio circa la possibilità di falcidiare i creditori privilegiati generali può tuttavia considerarsi sicuramente fugato tenuto conto delle modifiche apportate dal testo dell'art. 124, comma 3, l.fall. dal D.lgs. n. 169/2007 con cui si è passati dall'indicazione di: “cespite o crediti” a quella di: “beni” o “diritti” e dell'intendimento del legislatore a riguardo posto che nella relazione illustrativa al d.lgs.179/2007 si legge chiaramente: “Al terzo comma, in accoglimento dell'osservazione della Camera, si precisa che il debitore ha la possibilità di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori muniti di un privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli muniti di un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente”.

Non sembra che la relazione debba invece occuparsi di stimare i beni gravati da garanzia o privilegio nell'ipotesi in cui il credito corrispondentemente assistito non sia falcidiato -ossia non ne sia offerto un pagamento in misura ridotta-, bensì ne sia offerto un pagato con dilazione.

In quanto caso, infatti, secondo la Cassazione come nel concordato preventivo anche nel concordato fallimentare: “la misura del soddisfacimento non è legata al valore dei beni o dei diritti suscettibili di liquidazione, ma molto più semplicemente all'incidenza del decorso del tempo, per cui ogni valutazione al riguardo, in vista del successivo computo delle maggioranze, può essere effettuata dagli organi della procedura” (Cassazione civile sez. I, 31/10/2016, n. 22045).

La ricognizione dei beni su cui gravano garanzia o privilegio oggetto di falcidia

Il professionista dovrà poi individuare –nell'ambito dell'attivo fallimentare acquisito- i beni o diritti su cui grava il credito assistito da garanzia reale o da privilegio di cui ci si prefigge la falcidia presenti nell'attivo fallimentare al momento della presentazione del concordato.

L'indagine si presenta relativamente semplice nell'ipotesi di credito assistito da privilegio speciale ovvero da diritto di garanzia perché trattasi di beni già individuati –in sé- vuoi dalla legge, vuoi dal titolo costitutivo.

L'aspetto che –al riguardo- appare utile approfondire, è l'ipotesi del mancato rinvenimento all'attivo fallimentare del bene oggetto su cui grava la garanzia o il privilegio, posto che in sede di verifica dello stato passivo il credito dovrebbe essere ammesso al passivo col riconoscimento del rango spettante. in quanto solo al momento del riparto potrà aversi definitiva certezza della mancata acquisizione del bene alla massa (cfr. a riguardo: Cassazione civile sez. un. 20 dicembre 2001 n. 16060).

Si fronteggiano due distinte opzioni interpretative di cui la prima assume che il creditore privilegiato dovrà essere soddisfatto quale creditore chirografario solo nell'ipotesi in cui sia certo il mancato recupero del bene all'attivo del fallimento. Siffatta tesi appare, tuttavia, difficilmente attuabile nella pratica, tenuto conto non solo dell'incertezza in ordine al momento in cui tale valutazione circa l'esistenza del bene debba essere fatta, ma soprattutto per l'incertezza in ordine alla formazione delle classi, al trattamento e al voto dei creditori muniti di privilegio o garanzia su bene non rinvenuto.

Appare pertanto preferibile l'altra opzione interpretativa secondo cui in siffatte ipotesi il credito dovrà essere considerato come chirografario in seno alla proposta e il professionista dovrà limitarsi a verificare l'assenza del bene nell'attivo fallimentare.

Nella diversa ipotesi in cui –invece- il bene non sia acquisito alla massa, ma se ne preveda l'acquisizione all'attivo fallimentare (es. attraverso l'esperimento delle azioni revocatorie già autorizzate dal giudice delegato) il professionista dovrà tener conto del valore di realizzo del bene, decurtandolo dei costi per il recupero.

(segue) la ricognizione delle azioni

Il professionista dovrà poi effettuare una ricognizione delle azioni giudiziarie potenzialmente suscettibili di incrementare l'attivo del fallimento in termini di liquidità e, quindi, di costituire massa su cui il creditore privilegiato generale può far valere la propria garanzia.

Ove sia già stato approvato il programma di liquidazione, le azioni da stimare appaiono agevolmente individuabili in quelle ivi indicate.

Maggiormente complessa è invece l'ipotesi in cui non vi sia ancora stata l'approvazione del programma di liquidazione. In siffatte ipotesi spetterà al professionista individuare le azioni potenzialmente incardinande prima di procedere alla loro valutazione, con l'accortezza di non limitarsi a valutare le azioni di cui il terzo abbia eventualmente proposto di rendersi cessionario perché queste potrebbero non comprendere azioni, anche di ingente valore (quale ad esempio l'azione ex art.146 l.f. nei confronti degli ex amministratori della società fallita), comunque potenzialmente promuovibili dalla curatela fallimentare.

Rientrano senz'altro nell'indagine del professionista le azioni di carattere patrimoniale già presenti nel patrimonio del fallito (es. azioni risarcitorie e azioni di recupero dei crediti).

Sono poi oggetto di potenziale indagine da parte del professionista le azioni di pertinenza della massa, ossia quelle azioni dirette a ottenere nell'interesse di tutti i creditori la ricostruzione del patrimonio del debitore inteso come garanzia generica, sì da contrassegnarsi per il carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari in caso di esito positivo (Cassazione civile sez. un. 28 marzo 2006 n. 7029).

Invero, malgrado qualche perplessità espressa da parte della dottrina, queste azioni debbono ritenersi comprese nell'attivo da stimare e ciò in quanto, fra le altre considerazioni, l'art. 54 l.fall. che disciplina la soddisfazione dei creditori privilegiati non distingue fra la massa già presente nel patrimonio del fallito e quella acquisita nel corso del procedimento (fra le prime pronunce in tema: cfr. Tribunale Monza, 27 aprile 2006, in Il fall., 2006, 1436 e ss.).

Vi rientrano quindi: a) le azioni che il curatore può promuovere a seguito del fallimento e dirette a ricostruire la massa attiva del fallimento (es. revocatorie fallimentari ex art. 67 l.fall., azioni di inefficacia ex artt. 44 e 45 l.fall., revocazione art. 102 l.fall.); b) le azioni che il curatore può avviare sostituendosi ai creditori (es. azione di responsabilità dei creditori sociali, azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.).

Oggetto di stima dovrà poi essere la potenziale soddisfazione dell'eventuale credito che i soggetti attinti dalle indicate azioni dovessero maturare a seguito dell'eventuale vittorioso esito dell'azione recuperatoria (art. 70, comma 2, l.fall.), dell'azione surrogatoria (art. 2900 c.c.), o dell'azione di simulazione (art. 1417 c.c.), che dovrà essere sottratto dal valore del bene stimato.

Tenuto conto della nozione di azioni di pertinenza della massa, non dovranno essere oggetto di indagine quelle che il creditore può esercitare individualmente per conseguire il suo vantaggio esclusivo diretto (es. art. 2395 c.c.), in quanto non suscettibile di apportare alla massa un vantaggio indistinto.

Solo per completezza si rammenta, quanto alla responsabilità da reato, che è senz'altro cedibile l'azione esercitata dal curatore in sede civile per il risarcimento del danno da reato (cfr. in tema, da ultimo: Cassazione civile sez. un. 23 gennaio 2017 n. 1641), mentre dovrà essere oggetto di valutazione l'eventuale azione civile da esercitarsi in sede penale che, sebbene non cedibile all'assuntore tenuto conto della mancanza di qualità di successore universale in capo a chi propone il concordato (cfr. combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., sul punto, da ultimo: Cassazione penale, sez. II, 05/04/2011, n. 14251) costituisce una potenziale fonte di utilità per la massa.

La valutazione dei beni nella prospettiva della liquidazione fallimentare

Venendo ora alla valutazione, come è evidente il compito demandato al professionista si profila tanto più complesso quanto più è anticipato il momento del deposito della proposta di concordato rispetto alla dichiarazione di fallimento.

La novella del 2006 ha infatti introdotto la possibilità di presentare la proposta di concordato anche prima dell'approvazione dello stato passivo e quindi in un momento in cui, con buona probabilità non sono state ultimate quantomeno le operazioni di stima, se non anche di inventario. Non può quindi escludersi che in questo, come in altri casi, il professionista possa trovarsi a stimare valori dell'attivo fallimentare senza che vi sia stato un accertamento sul punto da parte degli organi fallimentari e ciò rafforza l'esigenza di obiettività e terzietà cui debbono essere improntati gli accertamenti del professionista.

Il compito demandato al professionista non esclude, tuttavia, che possa sorgere –nel corso dell'espletamento dell'incarico- l'esigenza di avvalersi di professionalità particolari (si pensi all'esperto stimatore di immobili). In siffatte ipotesi, può senz'altro immaginarsi un'interazione fra professionista e curatore volta all'acquisizione agli atti della procedura delle valutazioni tecniche che si rendessero necessarie per l'espletamento di alcuni o tutti i beni ovvero la nomina –da parte degli organi fallimentari- di coadiutori o periti del curatore per la stima di particolari beni dei cui risultati potrà avvalersi anche il professionista.

La stima dei beni mobili e immobili non crea usualmente particolari problematiche, posto che il professionista potrà senz'altro fondarsi su stime e valutazioni effettuate dagli stimatori nominati dagli organi fallimentari.

Le azioni vengono invece usualmente stimate, oltre che sulla base del parere del difensore - ove già nominato -, con un vaglio circa la fondatezza dell'azione, sui tempi stimati della sua definizione e sulla possidenza della controparte e tenuto conto dell'attualizzazione del credito.

Quanto alla dicitura: "valore di mercato", il documento redatto a cura del CNDCEC denominato: " La relazione giurata estimativa del professionista nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare" chiarisce che si tratta di locuzione che non si riferisce ad una valorizzazione che tenga conto del prezzo comunemente individuato da un indeterminato numero di liberi acquirenti e venditori come sul libero mercato, quanto piuttosto -in coerenza con la disciplina concorsuale- al valore di realizzo dei beni e dei diritti oggetto di prelazione nell'ambito di transazioni nell'ambito delle procedure concorsuali o esecutive, precisandosi che: "la valutazione estimativa dei beni e dei diritti sui quali insiste la causa di prelazione va operata a "valori di mercato" "in caso di liquidazione". Dunque, non secondo criteri di funzionamento, ma secondo criteri di realizzo" (pag.15).

Dai valori di mercato individuati dovranno poi essere detratti i costi presumibili per la liquidazione e in tal senso è anche il Codice della crisi e dell'insolvenza, che espressamente prevede che il valore debba essere stimato: “al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali” (art. 240).

Invero, solo apparentemente l'art. 124 l.fall. fa riferimento al valore di mercato, perché a ben leggere, ciò che rileva è il valore di collocazione all'esito della procedura di liquidazione in sede fallimentare. Dovrà quindi stimarsi -e sottrarsi- in coerenza con quello che avverrebbe in sede di riparto in applicazione dell'art. 111-ter l.fall. anche il costo presumibile specifico della liquidazione (es. nell'ipotesi di vendita di beni immobili: spese di stima, di pubblicità, diminuzione per assenza di garanzia per vizi). Maggiormente complessa è -invece- la valutazione circa l'incidenza della percentuale di spese generali su ciascun bene gravato da prelazione (su cui: Tribunale di Messina, 18 febbraio 2009 in Il caso), vuoi per la non conoscenza che il professionista ha del fascicolo del fallimento, vuoi per la persistente mancanza di approdi chiari in giurisprudenza e in dottrina circa l'esatta composizione di tali spese e di determinazione delle relative percentuali in relazione a ciascun bene. Deve pertanto ipotizzarsi che del valore di tali spese generali non possa farsi carico l'attestatore ma dovrà essere prospettato dal proponente in sede di predisposizione della proposta.

In conclusione

Le indicate difformità di prassi degli uffici giudiziari e le potenziali opzioni interpretative che si offrono agli operatori che si affacciano alle problematiche tratteggiate rivelano ancora una grande incertezza su uno dei fulcri della riforma del 2006. L'assenza di prescrizioni da parte del legislatore delegante nella legge delega n. 155/2017 in ordine alla necessità di modificare la disciplina del concordato fallimentare e la crescente consapevolezza della delicatezza di queste tematiche consente tuttavia di presagire un assestarsi –nel medio termine - di soluzioni condivise che valgano, quantomeno in linea teorica, ad appianare le complessità insite nella relazione del professionista favorendo il ricorso al concordato fallimentare con falcidia dei creditori privilegiati che avrebbe dovuto essere – nella mente del legislatore del 2006 - uno dei nuovi volani per stimolare la sollecita definizione delle procedure fallimentari.

Guida all'approfondimento

Cfr. in generale sulle problematiche teoriche e pratiche relative alla relazione del professionista nell'ambito del concordato fallimentare: F. D'Aquino-A. Danovi, Il concordato fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di A.Jorio-B. Sassani, tomo V, Milano, 2017, 129 e ss.; F. Guerrera, Aspetti problematici del nuovo concordato fallimentare, Il fall., 2009, 1084; A. La Malfa, Concordato fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di L. Ghia-C. Piccininni- F. Severini, tomo iv, Milano, 2011, 60; E. Norelli, Il concordato fallimentare “riformato” e corretto”, in www.judicium.it; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010. Sui requisiti, anche di indipendenza, del professionista: P. Riva, La relazione giurata dell'esperto ex art.124 co.3 l.f., Scuola di alta formazione- I quaderni, in www.studio-riva.com, pag.113 e ss. e la dottrina ivi richiamata. Sulle caratteristiche del procedimento di designazione del professionista, anche nei concordati coattivi: sul punto: Trib. Catania, 31 maggio 2012, in Fall. 2013, 99 e ss. Sulla falcidia dei creditori privilegiati generali, cfr. da ultimo: G. Verna, E' possibile nel concordato ridurre i pagamenti dei creditori assistiti da privilegio generale?, in Dir. Fall., 2017, 1155 e ss. G. Trisorio Liuzzi, Cessione delle azioni di massa nel fallimento, in Il Fall., 2009, 774 e ss. Sull'articolato tema della stima del valore delle azioni, fortemente influenzate dalla durata e alea del giudizio, cfr. G. Milano, La falcidia dei creditori muniti di privilegio generale nel concordato fallimentare, in Il fall., 2012, 1342 e ss. Sulla valutazione dei beni: F. Capalbo, I rapporti tra “valore di mercato” e “ricavato in caso di liquidazione” nella “relazione giurata” ex art.160 comma 2 L.F., in Riv. dott. comm., 2013, 331 e ss.

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