Gravità e buona fede nell'eccezione di inadempimento nel rapporto di lavoro subordinato
13 Maggio 2019
Massima
Anche nei rapporti di lavoro subordinato l'eccezione di inadempimento da parte del lavoratore, per ritardo nella corresponsione della retribuzione da parte del datore di lavoro, è subordinata ad una comparazione dei comportamenti delle parti con accertamento della gravità dell'inadempimento, assumendo rilevanza oltre l'elemento temporale anche quello attinente ai rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute, in virtù del canone della buona fede ex art. 1460, c c., per cui il rifiuto deve essere giustificato non solo da inadempimento grave ma anche da motivi non contrastanti gli obblighi di correttezza e lealtà di cui all'art. 1175, c.c. Il caso
Con ricorso ex art. 414, c.p.c., un lavoratore assumendo di aver prestato la propria attività lavorativa in virtù di contratto a tempo indeterminato e di essersi dimessosi infine per giusta causa, adiva il Tribunale di Roma chiedendo la condanna della società datrice di lavoro al pagamento della retribuzione non versata, tredicesima 2017, dei ratei della tredicesima mensilità per il 2018, oltre a ferie e permessi non goduti, e corrispettivo TFR. Asseriva poi di aver formulato eccezione d'inadempimento ai sensi dell'art. 1460, c.c., a fronte del mancato pagamento della retribuzione del mese di dicembre e della relativa tredicesima mensilità.
La società datrice di lavoro non si costituiva rimanendo contumace nel giudizio.
All'esito dell'istruttoria testimoniale il giudice accoglieva solo in parte il ricorso non riconoscendo il diritto del lavoratore alle ferie e permessi non goduti in quanto compensati dai giorni non lavorati a causa della formulata eccezione di inadempimento. La questione
Ebbene, la questione giuridica sottesa al caso di specie verte sui requisiti giuridici e fattuali in presenza dei quali assume significato l'eccezione di inadempimento. Tale rimedio, così detto di autotutela contrattuale a fronte dell'inadempimento di una delle parti contrattuali, è infatti riconosciuto alla parte che non ricevendo la prestazione oppone il rifiuto ad eseguire la propria. Tuttavia, il vero focus dell'istituto verte sulla possibilità o meno di sollevare l'eccezione a fronte di ogni inadempimento della controparte o se tale debba essere valutatalo nell'ambito di un particolare rapporto logico in cui si pongono tra loro le prestazioni, essendo necessario stabilire se vi sia tra i due inadempimenti una relazione di causalità ed adeguatezza, ovvero proporzionalità, rispetto alla funzione economico-sociale del contratto. Le soluzioni giuridiche
La soluzione giuridica fornita dal giudice capitolino alla questione posta a base del contenzioso in analisi segue proprio quell'orientamento in virtù del quale a fronte dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460, c.c., rileva non solo l'elemento temporale dell'inadempimento ma, bensì, anche la gravità dello stesso desunta all'esito dell'apprezzamento del rapporto di causalità e proporzionalità esistente tra le prestazioni oggetto del contratto.
Infatti, passando all'analisi delle richieste attoree circa il pagamento di ferie e permessi non goduti, osserva il Tribunale di Roma come l'eccezione di inadempimento formulata dal lavoratore nel caso in questione non poteva ritenersi giustificarsi alla luce dell'oggettivo lieve ritardo datoriale concernente esclusivamente il mancato versamento della tredicesima mensilità di dicembre 2017. Ritardo probabilmente imputabile ad una temporanea situazione di mancanza di liquidità della società nel periodo finale dell'anno dove al pagamento della retribuzione ordinaria si cumula anche quello della tredicesima mensilità.
Pertanto, ribadisce il giudice di prime cure che, laddove si invochi in un contratto a prestazioni corrispettive, come quello di lavoro, l'istituto di cui all'art. 1460, c.c., gli elementi su cui tale eccezione si fonda sono la gravità dell'inadempimento e la buona fede della parte non inadempiente. Per tale motivo il giudice è chiamato ad una valutazione comparativa dei comportamenti tenuti dalle parti anche alla luce dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico - sociale del contratto, non potendo attribuire valore esclusivo all'elemento cronologico dell'inadempimento. È proprio in tal senso che rileva la buona fede di cui all'art. 1460, c.c., la quale, secondo l'orientamento maggioritario formatosi in seno alla ala giurisprudenza di legittimità, sussiste qualora il rifiuto sia stato determinato non solo da inadempimento grave ma anche da motivi non contrari agli obblighi di correttezza che l'art.1175, c.c. impone in relazione alla causa del contratto.
Ne discende come già premesso l'opzione del giudice di imputare i giorni non lavorati in base all'eccezione di inadempimento a ferie e permessi non goduti. Osservazioni
La tesi spossata dal Tribunale capitolino ricalca come già accennato l'orientamento maggioritario formatosi in tema di eccezione d'inadempimento anche al di fuori del contesto propriamente laburistico. Del resto l'azione in commento svolge quale funzione mediata quella di consegnare rimedi di autotutela più efficaci alla parte fedele al contratto, evitando la rottura del rapporto di corrispettività teleologica esistente tra le prestazioni dedotte in obbligazione. La ratio sottesa all'istituto è quella di creare un equilibrio tra le parti evitando l'arricchimento di una a sfavore dell'altra in un contratto a prestazioni corrispettive.
Per tale motivo si ritiene che pur nel silenzio della disposizione normativa la formulazione dell'eccezione di inadempimento debba essere sorretta da un inadempimento grave valutato non solo sulla scorta del dato temporale ma anche in virtù della valutazione comparativa del comportamento tenuto dalle parti, tendo conto del rapporto di proporzionalità esistente tra le obbligazioni contrattuali. Assume allora fondamentale importanza il secondo presupposto su cui si fonda l'ecceptio non adimpleti contractus ovvero quello della buona fede richiesto dalla norma in cui deve versare la parte opponente. Tale infatti sussiste quando il rifiuto sia stato determinato non solo da inadempimento grave ma anche da motivi coerenti con gli obblighi di correttezza imposti dall'art. 1175, c.c.
Quanto affermato può essere riportato ed applicato anche al contratto di lavoro dove pertanto l'eccezione di inadempimento deve essere formulata a fronte di un significativo inadempimento datoriale non superando altrimenti il vaglio della buona fede. Tuttavia, si porrebbe opporre che l'art. 1460, c.c., presuppone una pari forza contrattuale tra le parti, mentre nel rapporto di lavoro il lavoratore è generalmente considerato “parte debole”. Si potrebbe sostenere allora che a fronte di tale debolezza contrattuale e della prassi del differimento del pagamento della retribuzione, il ricorso all'istituto dell'eccezione di inadempimento possa considerarsi strumento di tutela del prestatore di lavoro con conseguente sgravio dell'onere probatorio circa l'effettiva gravità dell'inadempimento e buona fede.
Tuttavia, l'indirizzo maggioritario ritiene applicabile anche al contratto di lavoro l'interpretazione dell'art. 1460, c.c., sposata dal Tribunale di Roma, dovendosi accertare in primo luogo la gravità dell'inadempimento e la sussistenza della buona fede per cui il rifiuto deve essere in più giustificato alla luce dei criteri di correttezza ex art. 1175, c.c. |