Azione revocatoria
14 Maggio 2019
Inquadramento
L'azione revocatoria, disciplinata ai sensi dell'art. 2901 c.c., è un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore, conferito in capo ai creditori del medesimo. Ai presupposti previsti dall'art. 2901 c.c., il creditore può chiedere che il giudice dichiari inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del proprio patrimonio compiuti dal soggetto debitore e valutati come pregiudizievoli. Il creditore, quindi, potrà esercitare la propria garanzia sui beni oggetto degli atti che sono stati dichiarati inefficaci nei suoi confronti. L'azione revocatoria è un mezzo di tutela della garanzia patrimoniale del debitore che trova le sue radici nel diritto romano, ove era conosciuta come Actio Pauliana, e ancora oggi, salvo limitate differenze, risulta corrispondente al rimedio previsto a quei tempi. L'azione ha natura di azione di cognizione di tipo costitutivo. La legittimazione è prevista in capo ai creditori e i presupposti oggettivi della stessa sono: l'esistenza di un credito vantato dall'attore nei confronti del convenuto, aver arrecato un pregiudizio alle ragioni del creditore tramite l'atto oggetto di revocatoria e la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore. Se l'atto di disposizione è a titolo oneroso, è necessaria anche la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo. La funzione dell'azione revocatoria è quella di impedire il depauperamento fraudolento del patrimonio del soggetto debitore. Questo evento, infatti, è lesivo della garanzia patrimoniale generica che il creditore vanta, ex art. 2741 del c.c., nei confronti dell'obbligato in via passiva, il quale risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri ricompresi nel suo patrimonio. Non si può, però, arrivare a considerare revocabile un qualsiasi atto di disposizione del patrimonio da parte del debitore. Infatti, questo atto deve comportare dal punto di vista qualitativo o quantitativo una concreta lesione delle ragioni del creditore di trovare soddisfacimento del proprio diritto vantato nei confronti dello stesso. Deve, quindi, essere un atto che, in base a un giudizio concreto, renda particolarmente complicato per il creditore trovare soddisfazione nei confronti del debitore. Questo si spiega anche in ragione del fatto che l'autonomia contrattuale dei soggetti di diritto, in questo caso, trova solamente il limite della concreta possibilità di soddisfacimento delle ragioni del creditore. Oggetto di revocazione sono gli atti dispositivi, ovvero quegli atti modificativi in via qualitativa e/o quantitativa con i quali un soggetto altera la consistenza del suo patrimonio. Tra questi, però, non sono revocabili gli atti di disposizione di beni inalienabili e impignorabili, i quali sono ex se esclusi dalla garanzia generica prestata dal debitore nei confronti dei creditori, nonché i negozi mortis causa, data la loro inidoneità a causare pregiudizio ai creditori considerata la loro inefficacia sino alla morte del disponente. Per espressa previsione di legge, ex art. 2901, comma 3 c.c., non può essere revocato il pagamento del debito scaduto in quanto atto dovuto. Venendo ora ai presupposti dell'azione revocatoria, questi sono, in ogni caso, tre: a) l'esistenza di un credito vantato dall'attore in revocatoria nei confronti del convenuto, b) aver arrecato, tramite quell'atto di disposizione del proprio patrimonio, un pregiudizio alle ragioni del creditore e c) la conoscenza del debitore del pregiudizio arrecato nei confronti del creditore. In limine, poi, vi sono due presupposti meramente eventuali: d) nel caso di atto a titolo oneroso, la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo e e) nel caso in cui l'atto oggetto di azione revocatoria sia anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione dello stesso. Sul presupposto sub a), la sussistenza del diritto di credito vantato nei confronti del convenuto, è necessario dire che questo non necessariamente debba essere stato accertato in giudizio con efficacia di giudicato. La sussistenza del credito, difatti, si pone come questione pregiudiziale di merito. Il credito, per espressa previsione di legge ex art. 2901, comma 1 c.c., può essere sottoposto a termine o condizione e può essere anche illiquido o oggetto di contestazione. Il presupposto sub b), ovvero l'eventus damni, consiste nell'avverarsi di un pregiudizio nei confronti del creditore revocante e che derivi proprio da questo atto di disposizione compiuto dal debitore. L'atto di disposizione deve essere tale da creare un pregiudizio, attuale e concreto, alla soddisfazione del credito vantato da parte dell'attore revocante. Il pregiudizio può essere qualificato sia dall'impossibilità della soddisfazione che dalla maggiore difficoltà della stessa. La valutazione del pregiudizio deve essere fatta al momento del compimento dell'atto di disposizione e, quindi, a nulla rilevano fatti successivi allo stesso che hanno causato il deupaperamento della garanzia patrimoniale generica del debitore. Il pregiudizio, poi, deve sussistere anche al momento della proprosizione della domanda e nel proseguio del processo poiché, se venuto meno, comporta il difetto di una delle condizioni dell'azione, l'interesse ad agire. Ovviamente, non ogni atto di disposizione è idoneo a causare un pregiudizio del soddisfacimento dell'obbligazione vantata dal creditore nei confronti del debitore. Dovrà, infatti, essere valutato questo requisito caso per caso, in ragione della consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore in rapporto con il credito che verso di questo vanti l'attore revocante.
Il presupposto sub c) riguarda la c.d. scientia damni. Questa si risolve nella consapevolezza del debitore di recare pregiudizio al soddisfacimento delle ragioni del creditore. Il requisito della scientia damni non deve per forza essere specifico, ovverosia rivolto verso le ragioni di un particolare creditore. É sufficiente, da parte del debitore, la previsione dell'insolvenza, intesa come incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. La scientia damni, essendo questo un requisito attinente alla sfera interna del debitore, può essere provata solamente tramite presunzioni. È comunque insufficiente la mera conoscibilità del pregiudizio poiché la norma parla di effettiva conoscenza. Venendo ai presupposti eventuali sub d) e sub e), il primo, ovvero la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo, rileva solo negli atti a titolo oneroso. Per terzo si intende la controparte contrattuale del debitore o il soggetto destinatario degli effetti del negozio unilaterale pregiudizievole posto dal terzo. Alla mala fede è equiparata la colpa grave dello stesso. La ratio della necessità di questo ulteriore presupposto si spiega in base al fatto che l'atto a titolo oneroso, prevedendo un corrispettivo, risulta avere caratteri di anomalia temperati rispetto all'atto a titolo gratuito. Per questo non possono non considerarsi le ragioni di tutela del terzo, le quali cedono solamente di fronte a un suo comportamento doloso o gravemente colposo. Il presupposto sub e), la dolosa preordinazione, attiene alla situazione in cui l'atto pregiudizievole sia posto prima del sorgere del credito. Difatti, se l'atto di disposizione è precedente al sorgere del credito, la revoca è ammessa solo se quell'atto è stato preordinato in danno ai creditori.
Sono quindi necessari: la dolosa preordinazione (animus nocendi), intesa come previsione del sorgere di uno o più crediti futuri unita alla preordinazione del fatto a depauperare la propria garanzia generica in danno ai creditori, nonché la partecipazione del terzo a questa dolosa preordinazione (scientia fraudis). Il dolo necessario ad integrare questo presupposto è quello generico. Il dolo generico si concretizza nella previsione da parte del predisponente della lesività dell'atto compiuto nei confronti delle ragioni del creditore.
Venendo alla natura dell'azione revocatoria, questa è un'azione costitutiva necessaria. Infatti, come previsto ai sensi dell'art. 2908 c.c., questa è un'azione volta a far dichiarare al giudice l'inefficacia dell'atto di disposizione del patrimonio, compiuto tra debitore e terzo, nei confronti del creditore revocante. Venendo alle condizioni dell'azione revocatoria, merita particolare attenzione l'interesse ad agire dell'attore in revocatoria. L'interesse ad agire è considerato come bisogno di tutela giurisdizionale. Il soggetto che agisce in giudizio chiede tutela del proprio diritto a causa della lesione o della contestazione dello stesso da parte del convenuto. Relativamente all'azione revocatoria, la condizione dell'interesse ad agire si conforma in maniera particolare. Nei casi di giurisdizione costitutiva necessaria, ovvero quelli in cui l'effetto modificativo può ottenersi solo con la pronuncia del giudice, l'interesse ad agire si risolve nel fatto costitutivo del diritto alla modificazione giuridica proprio in ragione nell'impossibilità di ottenere altrimenti la modifica della situazione giuridica. In caso di accoglimento dell'azione revocatoria si produce l'effetto di rendere quel particolare atto di disposizione inefficace nei confronti del vittorioso attore in revocatoria. Questo renderà quel determinato bene di nuovo aggredibile da parte del creditore accedendo alla tutela esecutiva. La pronuncia può avere effetto anche nei confronti del subacquirente del terzo. Come regola generale il suo acquisto non è pregiudicato se a titolo oneroso e trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale. A contrario, quindi, il subacquirente in male fede o a titolo gratuito non può opporre il suo acquisto al creditore vittorioso in revocatoria. L'azione si prescrive nel termine breve di cinque anni dalla data dell'atto, secondo quanto disposto ex art. 2903.
Eccezione revocatoria
Sull'eccezione revocatoria si ripropongono i contrasti dottrinali e giurisprudenziali che vertono sulla qualificazione delle eccezioni come in senso stretto o lato. La Cassazione, in una pronuncia espressa sul punto, ha qualificato l'eccezione revocatoria come eccezione in senso stretto facendola soggiacere ai tempi decadenziali previsti ex art. 183 c.p.c. e rendendola non rilevabile d'ufficio.
Il terzo può essere assoggettato a forme di responsabilità nei confronti del creditore revocante. Benchè i presupposti dell'azione revocatoria e dell'illecito aquiliano non siano gli stessi, il terzo può essere ritenuto responsabile, ex art. 2043 c.c., se ha partecipato dolosamente all'atto che ha reso insolvente il debitore. Il terzo, ancora, può essere ritenuto responsabile per il mancato rilascio del bene e, secondo le regole ex art. 2033 c.c., per il deterioramento del bene nonché per essersi messo in condizione di non poterlo restituire. Il debitore, poi, può essere responsabile, in via contrattuale, nei confronti del terzo acquirente, per la mancata acquisizione totale o parziale del bene acquistato. Nei confronti dello stesso, il terzo può vantare anche la pretesa alla restituzione del bene. Riferimenti
|