Azione revocatoria

Alessandro Rossi
Alessandro Rossi
14 Maggio 2019

L'azione revocatoria, disciplinata ai sensi dell'art. 2901 c.c., è un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore, conferito in capo ai creditori del medesimo.
Inquadramento

L'azione revocatoria, disciplinata ai sensi dell'art. 2901 c.c., è un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore, conferito in capo ai creditori del medesimo.

Ai presupposti previsti dall'art. 2901 c.c., il creditore può chiedere che il giudice dichiari inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del proprio patrimonio compiuti dal soggetto debitore e valutati come pregiudizievoli. Il creditore, quindi, potrà esercitare la propria garanzia sui beni oggetto degli atti che sono stati dichiarati inefficaci nei suoi confronti.

L'azione revocatoria è un mezzo di tutela della garanzia patrimoniale del debitore che trova le sue radici nel diritto romano, ove era conosciuta come Actio Pauliana, e ancora oggi, salvo limitate differenze, risulta corrispondente al rimedio previsto a quei tempi.

L'azione ha natura di azione di cognizione di tipo costitutivo. La legittimazione è prevista in capo ai creditori e i presupposti oggettivi della stessa sono: l'esistenza di un credito vantato dall'attore nei confronti del convenuto, aver arrecato un pregiudizio alle ragioni del creditore tramite l'atto oggetto di revocatoria e la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore. Se l'atto di disposizione è a titolo oneroso, è necessaria anche la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo.

Funzione, ambito oggettivo, presupposti, natura, effetti, portata del giudicato e limiti

La funzione dell'azione revocatoria è quella di impedire il depauperamento fraudolento del patrimonio del soggetto debitore. Questo evento, infatti, è lesivo della garanzia patrimoniale generica che il creditore vanta, ex art. 2741 del c.c., nei confronti dell'obbligato in via passiva, il quale risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri ricompresi nel suo patrimonio.

Non si può, però, arrivare a considerare revocabile un qualsiasi atto di disposizione del patrimonio da parte del debitore. Infatti, questo atto deve comportare dal punto di vista qualitativo o quantitativo una concreta lesione delle ragioni del creditore di trovare soddisfacimento del proprio diritto vantato nei confronti dello stesso. Deve, quindi, essere un atto che, in base a un giudizio concreto, renda particolarmente complicato per il creditore trovare soddisfazione nei confronti del debitore. Questo si spiega anche in ragione del fatto che l'autonomia contrattuale dei soggetti di diritto, in questo caso, trova solamente il limite della concreta possibilità di soddisfacimento delle ragioni del creditore.

Oggetto di revocazione sono gli atti dispositivi, ovvero quegli atti modificativi in via qualitativa e/o quantitativa con i quali un soggetto altera la consistenza del suo patrimonio.

Tra questi, però, non sono revocabili gli atti di disposizione di beni inalienabili e impignorabili, i quali sono ex se esclusi dalla garanzia generica prestata dal debitore nei confronti dei creditori, nonché i negozi mortis causa, data la loro inidoneità a causare pregiudizio ai creditori considerata la loro inefficacia sino alla morte del disponente. Per espressa previsione di legge, ex art. 2901, comma 3 c.c., non può essere revocato il pagamento del debito scaduto in quanto atto dovuto.

Venendo ora ai presupposti dell'azione revocatoria, questi sono, in ogni caso, tre: a) l'esistenza di un credito vantato dall'attore in revocatoria nei confronti del convenuto, b) aver arrecato, tramite quell'atto di disposizione del proprio patrimonio, un pregiudizio alle ragioni del creditore e c) la conoscenza del debitore del pregiudizio arrecato nei confronti del creditore. In limine, poi, vi sono due presupposti meramente eventuali: d) nel caso di atto a titolo oneroso, la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo e e) nel caso in cui l'atto oggetto di azione revocatoria sia anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione dello stesso.

Sul presupposto sub a), la sussistenza del diritto di credito vantato nei confronti del convenuto, è necessario dire che questo non necessariamente debba essere stato accertato in giudizio con efficacia di giudicato. La sussistenza del credito, difatti, si pone come questione pregiudiziale di merito. Il credito, per espressa previsione di legge ex art. 2901, comma 1 c.c., può essere sottoposto a termine o condizione e può essere anche illiquido o oggetto di contestazione.

Il presupposto sub b), ovvero l'eventus damni, consiste nell'avverarsi di un pregiudizio nei confronti del creditore revocante e che derivi proprio da questo atto di disposizione compiuto dal debitore.

L'atto di disposizione deve essere tale da creare un pregiudizio, attuale e concreto, alla soddisfazione del credito vantato da parte dell'attore revocante. Il pregiudizio può essere qualificato sia dall'impossibilità della soddisfazione che dalla maggiore difficoltà della stessa.

La valutazione del pregiudizio deve essere fatta al momento del compimento dell'atto di disposizione e, quindi, a nulla rilevano fatti successivi allo stesso che hanno causato il deupaperamento della garanzia patrimoniale generica del debitore. Il pregiudizio, poi, deve sussistere anche al momento della proprosizione della domanda e nel proseguio del processo poiché, se venuto meno, comporta il difetto di una delle condizioni dell'azione, l'interesse ad agire.

Ovviamente, non ogni atto di disposizione è idoneo a causare un pregiudizio del soddisfacimento dell'obbligazione vantata dal creditore nei confronti del debitore. Dovrà, infatti, essere valutato questo requisito caso per caso, in ragione della consistenza qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore in rapporto con il credito che verso di questo vanti l'attore revocante.

In evidenza

In materia può citarsi la pronuncia Cass. civ., sez. III, 22 dicembre 2015, n.25733, la quale ha disposto che :«Nell'azione revocatoria ordinaria il presupposto costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore include anche il pericolo di danno, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, sicché, qualora l'azione sia proposta da un creditore chirografario rispetto alla compravendita di un bene ipotecato, l'eventus damni va valutato con riguardo al potenziale conflitto tra l'attore, creditore chirografario, ed il creditore ipotecario, in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo rispetto all'entità della garanzia reale del secondo. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda, perché l'attore, chirografario tardivamente intervenuto in una procedura esecutiva relativa all'immobile successivamente alienato, non avrebbe ricevuto alcunché in sede di ipotetico riparto per l'inidoneità dell'unica offerta presentata a soddisfare persino i crediti privilegiati)».

Il presupposto sub c) riguarda la c.d. scientia damni. Questa si risolve nella consapevolezza del debitore di recare pregiudizio al soddisfacimento delle ragioni del creditore.

Il requisito della scientia damni non deve per forza essere specifico, ovverosia rivolto verso le ragioni di un particolare creditore. É sufficiente, da parte del debitore, la previsione dell'insolvenza, intesa come incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.

La scientia damni, essendo questo un requisito attinente alla sfera interna del debitore, può essere provata solamente tramite presunzioni. È comunque insufficiente la mera conoscibilità del pregiudizio poiché la norma parla di effettiva conoscenza.

Venendo ai presupposti eventuali sub d) e sub e), il primo, ovvero la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo, rileva solo negli atti a titolo oneroso.

Per terzo si intende la controparte contrattuale del debitore o il soggetto destinatario degli effetti del negozio unilaterale pregiudizievole posto dal terzo. Alla mala fede è equiparata la colpa grave dello stesso.

La ratio della necessità di questo ulteriore presupposto si spiega in base al fatto che l'atto a titolo oneroso, prevedendo un corrispettivo, risulta avere caratteri di anomalia temperati rispetto all'atto a titolo gratuito. Per questo non possono non considerarsi le ragioni di tutela del terzo, le quali cedono solamente di fronte a un suo comportamento doloso o gravemente colposo.

Il presupposto sub e), la dolosa preordinazione, attiene alla situazione in cui l'atto pregiudizievole sia posto prima del sorgere del credito. Difatti, se l'atto di disposizione è precedente al sorgere del credito, la revoca è ammessa solo se quell'atto è stato preordinato in danno ai creditori.

In evidenza

Si veda in proposito Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2018, n.23326, secondo la quale: «In tema di azione revocatoria ordinaria, ove l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza anche da parte del terzo, perché quest'ultimo deve essere a conoscenza che il proprio dante causa è vincolato verso creditori e che l'atto posto in essere arreca pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente».

Sono quindi necessari: la dolosa preordinazione (animus nocendi), intesa come previsione del sorgere di uno o più crediti futuri unita alla preordinazione del fatto a depauperare la propria garanzia generica in danno ai creditori, nonché la partecipazione del terzo a questa dolosa preordinazione (scientia fraudis).

Il dolo necessario ad integrare questo presupposto è quello generico. Il dolo generico si concretizza nella previsione da parte del predisponente della lesività dell'atto compiuto nei confronti delle ragioni del creditore.

In evidenza

Sulla determinazione della volizione del predisponente come di dolo generico non si trova una giurisprudenza unanime poiché una parte della stessa tende a qualificare il contenuto della volizione come di dolo specifico.

Il contrasto giurisprudenziale è ben espresso dalla pronuncia Trib. Firenze, sez. II, 17 Luglio 2017, n. 2583, secondo la quale : «Nell'ipotesi in cui l'atto dispositivo sia precedente al sorgere del credito, la revoca potrà essere pronunciata solo allorquando l'atto in questione sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito (cd. "dolo specifico"), essendo quindi necessario, da un lato, dimostrare che l'autore dell'atto aveva intenzione di contrarre dei debiti, dall'altro che, in previsione di ciò, egli abbia voluto rendersi insolvente in tutto o in parte, sin dal momento in cui è stato eseguito l'atto; si è tuttavia ritenuto sufficiente, nella prevalente giurisprudenza, il cd. "dolo generico", ovvero la mera previsione da parte del debitore del pregiudizio arrecato ai creditori, e non la consapevole volontà di pregiudicare le ragioni del creditore».

Venendo alla natura dell'azione revocatoria, questa è un'azione costitutiva necessaria. Infatti, come previsto ai sensi dell'art. 2908 c.c., questa è un'azione volta a far dichiarare al giudice l'inefficacia dell'atto di disposizione del patrimonio, compiuto tra debitore e terzo, nei confronti del creditore revocante.

Venendo alle condizioni dell'azione revocatoria, merita particolare attenzione l'interesse ad agire dell'attore in revocatoria.

L'interesse ad agire è considerato come bisogno di tutela giurisdizionale. Il soggetto che agisce in giudizio chiede tutela del proprio diritto a causa della lesione o della contestazione dello stesso da parte del convenuto. Relativamente all'azione revocatoria, la condizione dell'interesse ad agire si conforma in maniera particolare.

Nei casi di giurisdizione costitutiva necessaria, ovvero quelli in cui l'effetto modificativo può ottenersi solo con la pronuncia del giudice, l'interesse ad agire si risolve nel fatto costitutivo del diritto alla modificazione giuridica proprio in ragione nell'impossibilità di ottenere altrimenti la modifica della situazione giuridica.

In caso di accoglimento dell'azione revocatoria si produce l'effetto di rendere quel particolare atto di disposizione inefficace nei confronti del vittorioso attore in revocatoria. Questo renderà quel determinato bene di nuovo aggredibile da parte del creditore accedendo alla tutela esecutiva.

La pronuncia può avere effetto anche nei confronti del subacquirente del terzo. Come regola generale il suo acquisto non è pregiudicato se a titolo oneroso e trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale. A contrario, quindi, il subacquirente in male fede o a titolo gratuito non può opporre il suo acquisto al creditore vittorioso in revocatoria.

L'azione si prescrive nel termine breve di cinque anni dalla data dell'atto, secondo quanto disposto ex art. 2903.

Considerazioni sull'ammissibilità dell'azione di accertamento negativo della revocatoria

Merita una specifica analisi il quesito in ordine alla possibilità di proporre azione di accertamento negativo dell'azione revocatoria.

Per questo specifico aspetto è certamente fondamentale il contributo in materia di Consolo (Spiegazioni di diritto processuale, I, 55-56), il quale pone il quesito in via espressa rispetto all'azione di annullamento. Le ragioni a fondamento della risposta negativa, però, sono tali da poter essere rilevanti anche relativamente alla fattispecie dell'azione revocatoria.

L'autore rileva come nel caso delle azioni costitutive sussista un'asimmetria tra la posizione di convenuto ed attore che, invece, non si presenta nelle domande di mero accertamento.

La parte contrattuale, la quale abbia interesse al mantenimento in vita del contratto, può chiedere l'accertamento negativo della nullità del contratto in quanto l'accertamento negativo comporta comunque una valutazione sul medesimo rapporto fondamentale che potrebbe essere dedotto con la domanda di accertamento.

In materia di azioni costitutive, invece, la relativa facoltà non sembra possibile. Il diritto potestativo ad ottenere da parte del giudice una pronuncia modificativa del rapporto giuridico intercorrente tra attore e convenuto non sembra permettere una pronuncia di accertamento negativo date le diverse posizioni di titolare del diritto e di soggetto che versa in stato di soggezione.

Nelle azioni costitutive, infatti, il diritto potestativo di risolve in una pretesa ad ottenere una modificazione giuridica che vede come destinatario il giudice, non il convenuto. Non sembra, quindi, possibile riconoscere al convenuto dell'azione costitutiva la possibilità di chiedere l'accertamento negativo del diritto ad ottenere, ad esempio, l'annullamento del contratto.

Quanto affermato dall'autore sembra, in ragione della valutazione sulla situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio tramite l'azione costitutiva, estensibile anche all'azione revocatoria. Infatti, anche in questo caso, il soggetto è titolare di un diritto potestativo ad ottenere da parte del giudice una pronuncia che modifichi la situazione giuridica tra lui e il convenuto-debitore, il quale versa nella mera soggezione a questo potere.

Eccezione revocatoria

Sull'eccezione revocatoria si ripropongono i contrasti dottrinali e giurisprudenziali che vertono sulla qualificazione delle eccezioni come in senso stretto o lato.

La Cassazione, in una pronuncia espressa sul punto, ha qualificato l'eccezione revocatoria come eccezione in senso stretto facendola soggiacere ai tempi decadenziali previsti ex art. 183 c.p.c. e rendendola non rilevabile d'ufficio.

In evidenza

Si veda in proposito Cass. civ., sez. III, 13 agosto 2015, n. 16793 , secondo la quale: «L'esenzione dalla revocatoria ordinaria, prevista per l'adempimento di un debito scaduto, integra un'eccezione in senso stretto, presupponendo l'allegazione in giudizio di fatti impeditivi non rilevabili d'ufficio, sicché non incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che ometta l'esame di documenti prodotti ai sensi dell'art. 345, c.p.c., a sostegno dell'eccezione di cui all'art. 2901, comma 3, c.c., sollevata per la prima volta in grado di appello e, pertanto, preclusa».

Responsabilità del terzo verso il revocante e del debitore verso il terzo

Il terzo può essere assoggettato a forme di responsabilità nei confronti del creditore revocante. Benchè i presupposti dell'azione revocatoria e dell'illecito aquiliano non siano gli stessi, il terzo può essere ritenuto responsabile, ex art. 2043 c.c., se ha partecipato dolosamente all'atto che ha reso insolvente il debitore. Il terzo, ancora, può essere ritenuto responsabile per il mancato rilascio del bene e, secondo le regole ex art. 2033 c.c., per il deterioramento del bene nonché per essersi messo in condizione di non poterlo restituire.

Il debitore, poi, può essere responsabile, in via contrattuale, nei confronti del terzo acquirente, per la mancata acquisizione totale o parziale del bene acquistato. Nei confronti dello stesso, il terzo può vantare anche la pretesa alla restituzione del bene.

Riferimenti
  • Bianca, Diritto Civile, V, Milano, 2012, 450 e ss.;
  • Caringella e Buffoni, Manuale di Diritto Civile, Roma, 2018, 1695 e ss.;
  • Consolo, Spiegazioni di Diritto Processuale Civile, I, Torino, 2015;
  • Mandrioli e Carratta, Diritto Processuale Civile, I, Torino, 2017, 62 e ss., 139 e ss.
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