L'insuscettibilità di impugnazione del provvedimento di separazione di cause

Giusi Ianni
14 Maggio 2019

E le conseguenze nel rito sommario di cognizione.
Massima

Poiché l'impugnabilità dei provvedimenti giudiziali concerne soltanto quelli aventi contenuto decisorio, anche se parziale (sentenze definitive e non definitive), e non pure quelli a carattere ordinatorio per i quali la legge ammette (salvo eccezioni) la revocabilità, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il provvedimento di separazione delle cause riunite (ancorché contenuto in sentenza) non è suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, stante il suo carattere meramente ordinatorio nonché la mancanza in esso di ogni pronunzia di natura decisoria – anche implicita – su eventuali questioni pregiudiziali. A tale stregua, l'esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale (su cui non può incidere il dissenso della controparte) del giudice di disporre la separazione delle domande (art. 104 c.p.c.) è incensurabile in sede di legittimità.

Il caso

Con sentenza del 19/7/2016 la Corte d'appello di Milano respingeva il gravame interposto dalla società E. s.r.l. in relazione all'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. Trib. Milano 10/5/2013, di «separazione della domanda riconvenzionale di restituzione di quanto indebitamente pagato per interessi passivi superiori al tasso soglia», dalla suindicata società spiegata a fronte della domanda nei suoi confronti proposta dalla società B. s.p.a., di rilascio di immobile oggetto di contratto di leasing tra le parti, previa pronuncia di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento della convenuta.

Il giudice d'appello riteneva corretta, in particolare, la decisione del giudice di prime cure di procedere a separazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, non essendo ravvisabile alcuna pregiudizialità logico-giuridica tra la domanda di risoluzione del contratto di leasing per inadempimento e l'accertamento della sussistenza di una nullità parziale dovuta a tassi di interesse superiori al tasso soglia, con conseguente condanna alla restituzione di quanto indebitamente pagato.

La questione

Avverso la suindicata pronunzia della Corte di merito, la società E. s.r.l. proponeva ricorso per cassazione, deducendo, per quanto qui rileva, la violazione dell'art. 702-bis c.p.c., in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per non avere i giudici di merito correttamente valorizzato la correlazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, posto che le eccezioni sottese a quest'ultima ponevano, a detta del ricorrente, questioni che dovevano essere oggetto di approfondimento, anche istruttorie, e si presentavano indispensabili per la verifica della sussistenza o meno dell' inadempimento dedotto dalla controparte.

Il motivo era disattesodalla Suprema Corte, che giudicava inammissibile il ricorso.

Le soluzioni giuridiche

Ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., a fronte della domanda introdotta, per scelta di parte, con rito sommario di cognizione, il giudice dispone il mutamento del rito «se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria». La medesima norma aggiunge, tuttavia, che se solo la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione, trattando, quindi, con rito sommario di cognizione la sola domanda principale. La disposizione, invero, è stata oggetto anche di osservazioni critiche da parte della dottrina, la quale ha osservato come essa, letteralmente intesa, rischia di frustrare l'esigenza del simultaneus processus tra cause, specie a fronte di una connessione “forte” tra domanda principale e domanda riconvenzionale, che postula una necessaria “coerenza” tra le relative decisioni.

La scelta del giudice del merito di procedere a separazione tra cause è, tuttavia, ritenuta tendenzialmente insindacabile da parte della Corte di cassazione, la quale, nella pronuncia in commento osserva che, salve le eccezioni previste dalla legge, la facoltà di impugnazione dei provvedimenti giudiziali deve ritenersi limitata a quelli aventi contenuto decisorio, anche se parziale, non estendendosi ai provvedimenti di carattere ordinatorio per i quali la legge ammette la revocabilità da parte dello stesso giudice che li abbia emanati. Stante, pertanto, il suo carattere meramente ordinatorio e non decisorio, il provvedimento di separazione delle cause riunite (ancorché contenuto in sentenza) non è suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore e non è sindacabile in sede di legittimità, essendo espressione di una facoltà discrezionale del giudice del merito.

Osservazioni

La sentenza in commento muove, invero, da un principio assolutamente consolidato nell'ambito della giurisprudenza di legittimità, ossia quello in forza del quale, in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione e di separazione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. Civ., sez. VI-1, ord., 30 marzo 2018, n. 8024; Cass. civ., Sez. Un., sent., 6 febbraio 2015, n. 2245; Cass.civ., sez. lav, sent., 5 agosto 2003, n. 11831; Cass. civ., sez. III, sent., 8 settembre 2006, n. 19299).

Le conseguenze di tale principio, tuttavia, appaiono particolarmente rilevanti in materia di rito sommario di cognizione. Come noto, infatti, ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c. la trattazione del processo con rito sommario di cognizione incontra un limite nel carattere “non sommario” dell'istruttoria da svolgere, che legittima il mutamento del rito da parte del giudice. La medesima norma, tuttavia, per come sopra accennato, consente la separazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale qualora solo quest'ultima richieda un'istruzione non sommaria, così da consentire anche in questo caso la trattazione con rito sommario della domanda principale. La ratio è, evidentemente, quella di far prevalere le esigenze di celerità e di deformalizzazione sottese al rito sommario, pure in presenza di cause tra loro connesse (per lo stesso motivo, il medesimo art. 702-ter c.p.c. stabilisce che in presenza di domanda principale rimessa alla cognizione del giudice monocratico e domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità il giudice dichiara inammissibile quest'ultima, trattando con rito sommario la domanda principale che non postuli un'istruzione non sommaria)

Diversi autori in dottrina e diversi protocolli, tuttavia – cfr., ad esempio, quello adottato dal Tribunale di Mantova o dal Tribunale di Verona – ritengono che in presenza di connessione “forte” tra domanda principale e domanda riconvenzionale (per pregiudizialità o dipendenza) sia comunque opportuno disporre il mutamento del rito in relazione alla controversia nel suo complesso e non solo rispetto alla domanda riconvenzionale, anche perché, altrimenti, in presenza di un rapporto di pregiudizialità, si correrebbe il rischio di dover sospendere la causa principale ai sensi dell'art. 295 c.p.c., con il risultato, contrario ai fini del procedimento sommario, di dilatarne i tempi di definizione.

Resta, tuttavia, la tendenziale insindacabilità del provvedimento con cui il giudice dispone la separazione di domanda principale e domanda riconvenzionale, alla luce dei principi ermeneutici enunciati dalla sentenza in commento, in linea, come detto, con le pronunce pregresse dalla giurisprudenza di legittimità. Ciò, peraltro, vale anche per l'ipotesi in cui il giudice, dopo aver disposto, malgrado l'opposizione della parte, la separazione di domanda principale e domanda riconvenzionale, rigetti l'istanza diretta ad ottenere la sospensione per pregiudizialità della causa proseguita con rito sommario: è pacifico, infatti, che l'ordinanza con cui il giudice neghi la sospensione del processo, sollecitata da una parte, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., non è impugnabile con il regolamento di competenza ai sensi dell'art. 42 dello stesso codice, essendo ciò escluso dalla formulazione letterale di quest'ultima norma, dalla ratio di essa (quella, cioè, di assicurare un controllo immediato sulla legittimità di un provvedimento idoneo ad incidere significativamente sui tempi di definizione del processo) e dall'impossibilità di accedere ad un'interpretazione analogica della norma, dato il suo carattere eccezionale (Cass. civ., sez. VI-1, ord., 7 marzo 2017, n. 5645).

Riferimenti
  • Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, su www.judicium.it, par. 4;
  • Olivieri, Al debutto il rito sommario di cognizione, in Guida al diritto, 2009, f. 7, 48.

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