La revoca del fallimento determina ipso iure l’interruzione del giudizio per venir meno della capacità processuale del curatore

14 Maggio 2019

L'art. 43, comma 3, l.fall., secondo cui l'apertura del fallimento determina automaticamente l'interruzione del processo, si applica anche ai casi di interruzione del processo conseguenti all'evento interruttivo costituito, per il venir meno della capacità processuale del curatore, dalla revoca del fallimento, stante l'"eadem ratio" che accomuna le due ipotesi, sussistendo anche in caso di revoca del fallimento...
Massima

L'art. 43, comma 3, l.fall., secondo cui l'apertura del fallimento determina automaticamente l'interruzione del processo, si applica anche ai casi di interruzione del processo conseguenti all'evento interruttivo costituito, per il venir meno della capacità processuale del curatore, dalla revoca del fallimento, stante l'"eadem ratio" che accomuna le due ipotesi, sussistendo anche in caso di revoca del fallimento l'esigenza di dare immediata ed automatica efficacia in ambito processuale alla "restitutio in pristinum" prevista dall'art. 18, comma 15, l.fall. ed evitare che il processo prosegua nei confronti della procedura oramai definitivamente venuta meno.

Il caso

Il giudizio di appello proposto da un ente territoriale contro la sentenza di primo grado che l'aveva condannato al pagamento di una somma di denaro nei confronti di una società, era interrotto per il fallimento di quest'ultima e riassunto dal Comune.

La curatela restava contumace. Dopo qualche anno, il procuratore della società in bonis notificava all'ente appellante, ai sensi dell'art. 300, comma 4, c.p.c., che il fallimento della società era stato revocato con sentenza definitiva.

In seguito, il Tribunale dichiarava di nuovo il fallimento della società ed il curatore, costituendosi nel giudizio di gravame ancora pendente, chiedeva che venisse dichiarata l'estinzione del processo (con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata favorevole alla società poi fallita), in quanto il Comune, dopo la notifica dell'atto con cui gli era stata data legale conoscenza del ritorno in bonis della società fallita e anche successivamente alla nuova dichiarazione di fallimento, aveva omesso di riassumere il giudizio.

La Corte d'Appello adita, verificato che l'evento interruttivo costituito dal ritorno in bonis della società fallita, era stato portato a legale conoscenza dell'appellante mediante la notifica eseguita dal procuratore dell'appellata e che l'ente territoriale non aveva proceduto alla riassunzione del processo, ne dichiarava l'estinzione.

Il Comune proponeva quindi ricorso per cassazione denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 300, 304 e 305 c.p.c. ed omessa motivazione su un fatto decisivo del giudizio, da parte della decisione impugnata, per avere la stessa attribuito rilievo, ai fini della declaratoria di estinzione del processo, alla dichiarazione della revoca del fallimento effettuata dalla società in bonis che non era costituita in causa e non aveva quindi alcun ruolo processuale.

La questione

La questione processuale posta all'attenzione della S.C. nella decisione in esame è se anche la revoca della procedura fallimentare, alla medesima stregua dell'apertura della stessa, costituisca un evento interruttivo del processo cd. automatico, in applicazione della regola enunciata dall'art. 43, comma 3, l. fall., nell'attuale formulazione.

Le soluzioni giuridiche

La S.C. ha rigettato il ricorso proposto, sostanzialmente rispondendo in senso affermativo alla questione prospettata.

Più in particolare, la Corte di legittimità ha al riguardo richiamato la propria giurisprudenza per la quale l'apertura del fallimento determina ipso iure l'interruzione del processo, ai sensi dell'art. 43, comma 3, l. fall., anche se, al fine del decorso del termine trimestrale per la riassunzione, è comunque necessaria la conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita cioè non in via di fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo assistita da fede privilegiata (Cass. n. 8640/2018, Cass. n. 27165/2016).

Constatato quindi che nella fattispecie esaminata l'evento interruttivo costituito dal ritorno in bonis della società fallita era stato ritualmente portato a conoscenza del procuratore dell'ente territoriale, mediante notifica da parte del difensore di detta società che sarebbe stato legittimato alla prosecuzione del giudizio, la Corte di cassazione ha ritenuto applicabile, come evidenziato, l'art. 43, comma 3, l. fall., anche nelle ipotesi di interruzione del processo conseguenti all'evento interruttivo costituito, per il venir meno della capacità processuale del curatore, dalla revoca del fallimento.

A fondamento della decisione, la S.C. ha sottolineato che le due ipotesi sono accomunate dalla stessa ratio, in quanto l'effetto interruttivo automatico previsto dall'art. 43, comma 3, legge fall. è stato introdotto per soddisfare un'esigenza di semplificazione e accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare e con l'intento di evitare che il processo possa essere interrotto a distanza di tempo, magari secundum eventum litis, ed analoga esigenza di dare immediata e automatica efficacia anche in ambito processuale alla restitutio in pristinum prevista dall'art. 18, comma 15, legge fall. ed evitare che il processo prosegua nei confronti della procedura oramai definitivamente venuta meno.

Quanto alla contestata legittimazione da parte della ricorrente in capo al procuratore della società in bonis a notificare l'evento interruttivo alle altre parti ai sensi dell'art. 300, comma 4, c.p.c., la Corte di cassazione osserva, nella stessa decisione in esame, che la legittimazione deve essere riconosciuta in capo a chi possa proseguire il giudizio, in quanto tale previsione è dettata nell'interesse di coloro che possono difendersi in sostituzione della parte contumace.

Osservazioni

La soluzione alla quale è pervenuta la Corte di legittimità non appare condivisibile.

Invero, la decisione, nel configurare quale evento interruttivo cd. automatico anche la revoca del fallimento, pone in non cale la formulazione letterale dell'art. 43, comma 3, l. fall., che prevede tale efficacia esclusivamente per l'evento costituito dall'apertura del fallimento.

Riteniamo, infatti, che in presenza di una disposizione di carattere generale come l'art. 300 c.p.c. che disciplina in termini diversi le conseguenze della perdita della capacità processuale della parte costituita in giudizio a mezzo di procuratore, prevedendo che a tal fine l'evento debba essere dichiarato o notificato dallo stesso, essendo altrimenti irrilevante per l'ulteriore corso del giudizio, avrebbe dovuto trovare applicazione siffatta disposizione, senza alcuna necessità di fare ricorso ad un'interpretazione analogica che, in quanto “inaspettata”, appare una sorta di trappola processuale.

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