Sono lecite le telecamere installate sulle mura perimetrali esterne di palazzi e puntate a riprendere quello che accade nella pubblica via?

Redazione scientifica
14 Maggio 2019

I cittadini che posizionano le telecamere non commettono alcun reato nei confronti delle altre persone che vivono o lavorano nella stessa strada. Per essere in regola con la legge, basta che appositi cartelli avvisino della presenza del sistema di videoripresa.

Il Tribunale dichiarava Tizio e Caio colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare, sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, alcune telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, rientrate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Il giudice di primo grado condannava, quindi, i due imputati, alla pena di un anno di reclusione ciascuno. In secondo grado, la Corte territoriale rideterminava la pena in sei mesi di reclusione.

Nel giudizio di legittimità, la S.C. contesta il ragionamento espresso dai giudici di merito. La condotta contestata non riguardava I'acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta da cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone dagli imputati, mediante la istallazione e l'utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere. Detti controlli erano utilizzati per rimarcare la commissione di presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio delle auto fuori dalle aree di sosta consentite; deiezioni animali abbandonante dinanzi al cancello delle abitazioni, e così via), che sarebbero stati perseguiti medianti esposti e denunce poi effettivamente inoltrati alle autorità competenti. Dunque, secondo la S.C., l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita; inoltre, neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti, l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 c.p., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, la sentenza di condanna è stata annullata.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.