Beneficium excussionis: ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva?

La Redazione
15 Maggio 2019

Nella Udienza Pubblica del 15 maggio 2019 è stata rimessa la discussione della questione di diritto concernente la possibilità per il contribuente di far valere il beneficium excussionis con l'impugnazione della cartella di pagamento. Il contribuente lamentava erronea pronuncia della CTR laddove quest'ultima non ha ritenuto la cartella di pagamento atto dell'esecuzione, da emettere solo dopo l'esperimento infruttuoso dell'esecuzione nei confronti delle società.

Nella Udienza Pubblica del 15 maggio 2019 è stata rimessa la discussione della questione di diritto concernente la possibilità per il contribuente di far valere il beneficium excussionis con l'impugnazione della cartella di pagamento.

Il contribuente lamentava l'erronea pronuncia della CTR laddove quest'ultima non ha ritenuto la cartella di pagamento atto dell'esecuzione, da emettere solo dopo l'esperimento infruttuoso dell'esecuzione nei confronti delle società.

Ad avviso della CTR, invece, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente che qualifica la cartella di pagamento come atto esecutivo, la cartella è l'atto conclusivo dell'iter che conduce alla formazione del titolo esecutivo e preannuncia l'esercizio dell'azione esecutiva, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2304 c.c., che disciplina il beneficium excussionis relativamente alla sola fase esecutiva.

Sul punto, la corte di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui il beneficio d'escussione previsto dall'art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d'agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest'ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (vedi: Cass. Civ., nn. 15966 del 29/07/2016; 49 del 03/01/2014; 28146 del 17/12/2013; 1040 del 16/01/2009). Più di recente Cass. Civ., n. 13917/2018 (parte finale della motivazione) e Cass. Civ., n. 1996/2019.

Recentemente è stata condivisa una diversa ricostruzione ermeneutica del sistema, che tenendo conto della peculiarità del rapporto fiscale, ha sostenuto che l'iscrizione a ruolo dei debiti tributari avvenuta in violazione del “beneficium excussionis, conformando l'attività di riscossione, è illegittima e tale illegittimità, riguardando il presupposto indefettibile della predisposizione e della notificazione della cartella, si riverbera su quest'ultima quale vizio proprio della stessa (cfr. Cass. Civ., n. 23260/2018).

In estrema sintesi il principio appena riportato ha evidenziato:

  • il D.Lgs. n. 546/1992, art. 21, dispone che “la notificazione della cartella vale anche come notificazione del ruolo”;
  • il ruolo, che è un elenco, formato dall'ente impositore in prospettiva della riscossione, viene poi consegnato all'agente della riscossione, il quale provvede alla predisposizione ed alla notificazione ai singoli contribuenti delle cartelle di pagamento. Il ruolo pertanto, oltre che essere atto proprio ed esclusivo dell'ente impositore, “precede ogni attività dell'agente per la riscossione, della quale costituisce presupposto indefettibile. Di qui discende una prima conseguenza: che l'iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficium excussionis, conformando l'attività di riscossione, è illegittima e che tale illegittimità, riguardando il presupposto indefettibile della predisposizione e della notificazione della cartella, si riverbera su di essa, determinandone un vizio proprio”.

Considerando il permanente ed attuale contrasto, potrebbe valutarsi la rimessione alle Sezioni Unite nel caso in cui dovesse ritenersi la decisività del motivo in discussione.

Dunque si può concludere che:

In tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2495, comma 2, c.c., come modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 6/2003, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l'estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento contestualmente alla pubblicità, nell'ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 6/2003, e con decorrenza dall'1 gennaio 2004 ove abbia avuto luogo in data anteriore. Pertanto, l'appello successivo al verificarsi della cancellazione deve provenire (o essere indirizzato) dai soci (o nei confronti dei soci) succeduti alla società estinta, a pena di inammissibilità” (Cass. 26196/2016). V. già Cass. SU 4060/2010.

L'art. 2312, comma 2, c.c. prevede che “dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi”. Quindi, a partire dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, la corretta norma da applicare è l'art. 2312 c.c., comma 2 (e non l'art. 2304 c.c.) che disciplina un'ipotesi di responsabilità (per così dire) “sostitutiva” di quella della società.

Ne consegue che legittimamente, ed a prescindere dalla soluzione alla questione posta, comunque il motivo non potrebbe nella specie essere accolto.

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