Le procedure da sovraindebitamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza

Daniele Portinaro
16 Maggio 2019

Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 riforma tutte le procedure attualmente contenute nella L. 27 gennaio 2012, n. 3, con l'obbiettivo di incrementarne l'applicazione pratica e semplificare l'accesso al beneficio dell'esdebitazione. L'Autore esamina le novità più significative per le procedure da sovraindebitamento contenute nel Codice della crisi e dell'insolvenza, esponendo altresì alcune criticità che il testo normativo presenta.
Premessa

Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 riforma tutte le procedure attualmente contenute nella L. 27 gennaio 2012, n. 3, con l'obbiettivo di incrementarne l'applicazione pratica e semplificare l'accesso al beneficio dell'esdebitazione.

L'Autore esamina le novità più significative per le procedure da sovraindebitamento contenute nel Codice della crisi e dell'insolvenza, esponendo altresì alcune criticità che il testo normativo presenta.

Il sovraindebitamento nella riforma

Il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza riforma in modo significativo, oltre alle procedure concorsuali cc.dd. maggiori, anche le procedure da sovraindebitamento, introdotte nel nostro ordinamento con la L. 27 gennaio 2012, n. 3.

Da una prima lettura della relazione accompagnatoria al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, si evince che le motivazioni che hanno spinto il legislatore ad una complessiva rivisitazione della disciplina che regola le situazioni di crisi e di insolvenza dei soggetti “non fallibili” sono essenzialmente due.

In primo luogo, è parso opportuno disciplinare in maniera organica e unitaria la crisi e l'insolvenza delle persone fisiche e giuridiche, raccogliendo in un unico corpo normativo le procedure concorsuali ed introducendo un procedimento unitario per il relativo accesso al fine di superare l'attuale frammentarietà e disorganicità della normativa.

In secondo luogo, con riferimento alle sole procedure da sovraindebitamento, è emersa l'esigenza di una rivisitazione dell'intera disciplina, tenuto conto della scarsa applicazione pratica della L. n. 3 del 2012, caratterizzata da un elevato tecnicismo e da criteri estremamente rigorosi per l'accesso alle procedure stesse oltre che per il beneficio dell'esdebitazione, che, in definitiva, costituisce uno degli obbiettivi primi dei soggetti debitori.

Le definizioni e i principi generali

L'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 14 del 2019 riporta le principali definizioni del Codice, sia con riguardo alle procedure concorsuali maggiori che con riguardo alle procedure da sovraidebitamento.

Segnatamente, la lettera c), superando il vigente art. 6 L. n. 3 del 2012, stabilisce che il sovraindebitamento deve intendersi come stato di “crisi” o di “insolvenza” e, dunque, come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, ovvero come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. I due concetti sopra riportati si distinguono in quanto il primo fa riferimento ad uno stato di decozione non ancora attuale ma che, in ragione delle previsioni sulle future entrate di cassa e sugli adempimenti a breve termine, probabilmente si verificherà entro un ridotto arco temporale, mentre il secondo consiste in una attuale incapacità di dare soddisfazione ai propri creditori.

Tale uniformazione di concetti, tuttavia, non sembra essere così innovativa: l'art. 6, comma 1, L. n. 3 del 2012, infatti, già tipizza una nozione di sovraindebitamento che, a parere di molti interpreti, si presenta del tutto analoga alle situazioni di crisi e di insolvenza attualmente previste dalla legge fallimentare.

Un'altra definizione che riguarda le procedure da sovraindebitamento è quella contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. e), il quale delinea la figura del “consumatore”.

Esso viene identificato quale “persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV, e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.

Inoltre, il nuovo Codice, all'art. 65, contiene alcuni principi valevoli per tutte le procedure da sovraindebitamento.

Precisamente, l'art. 65, comma 2, opera un rinvio alle disposizioni di carattere generale che regolano l'accesso alle procedure di insolvenza (Titolo III), come ad esempio quelle sulla giurisdizione e sulla competenza, sulla cessazione delle attività del debitore nonché sulla legittimazione ad instaurare i procedimenti.

Una importante novità, rientrante nel novero dei principi generali, è certamente la disposizione contenuta nell'art. 65, comma 4, a norma del quale gli effetti della procedura si estendono altresì al socio illimitatamente responsabile.

Tale disposizione va accolta con favore, in quanto pone fine alle incertezze interpretative della L. n. 3 del 2012 in merito alla possibilità per tale tipologia di soggetto di avere accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

In ultimo, si segnala che l'art. 66 disciplina le procedure di carattere familiare.

La norma in parola consente di superare definitivamente i dubbi che erano sorti, sotto la vigenza della l. n. 3 del 2012, in merito alla possibilità di instaurare un'unica procedura da sovraindebitamento per una pluralità di soggetti in presenza di una parziale coincidenza dell'esposizione debitoria e delle attività dei soggetti ricorrenti, recependo quell'orientamento giurisprudenziale, formatosi – come detto – in assenza di un'espressa previsione normativa, secondo cui in tali casi sia necessario mantenere separate le masse attive e passive nel rispetto del dettato dell'art. 2740 c.c. (Trib. Novara 25 luglio 2017). Tale novità legislativa, oltre a recepire un'esigenza che si è manifestata nella prassi, trae spunto dalla circostanza che l'esdebitazione di un solo componente del nucleo familiare non risolve il problema del sovraindebitamento dell'intera famiglia.

L'O.C.C. e l'attestazione

Merita una menzione a parte la norma contenuta all'art. 65, comma 3, nel quale si stabilisce che la nomina dell'attestatore, con l'entrata in vigore del Codice della crisi, sarà “sempre facoltativa”.

Tal disposizione deve essere coordinata con l'eliminazione, sia per la procedura di piano del consumatore che per il concordato minore – l'attuale accordo di composizione della crisi –, del dovere del gestore della crisi di attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano.

La norma in commento desta perplessità per un duplice ordine di motivi.

Da una parte, infatti, l'assenza dell'obbligo dell'O.C.C. – che, per definizione, è soggetto terzo e imparziale e garantisce la correttezza della procedura – di attestare che i debiti indicati nella domanda rispecchino effettivamente la situazione patrimoniale passiva del debitore e che il piano sia economicamente fattibile espone i creditori al rischio che il loro credito non venga correttamente indicato e che il piano presentato in tribunale dal debitore presenti obiettive difficoltà realizzative.

Tale rischio viene in qualche modo attenuato dal fatto che, nell'ambito della procedura riservata al consumatore, i creditori, ai sensi dell'art. 70, comma 3, entro venti giorni dalla comunicazione della proposta, possano presentare osservazioni (anche in ordine all'ammontare del proprio credito) e che, nel concordato minore, ai sensi dell'art. 78, comma 2, lett. c), gli stessi possano trasmettere le loro contestazioni.

Tuttavia, il meccanismo, ad una prima analisi, parrebbe inadeguato, anche solo per il fatto che comporterebbe, in presenza di contestazioni sull'ammontare del credito, una dilatazione sensibile delle tempistiche della procedura.

Dall'altro lato, come emerge dagli artt. 70, comma 7, e 80, comma 1, il giudice deve in ogni caso effettuare una verifica sulla fattibilità (anche economica) del piano. In ragione del fatto che, usualmente, il magistrato non ha una specifica formazione economico-aziendalistica, sarebbe stato più opportuno mantenere tra i compiti dell'O.C.C. quello di attestare la fattibilità del piano, in modo tale da fornire al giudice un adeguato supporto per svolgere la valutazione richiestagli dalla legge.

Il piano del consumatore

L'art. 67 del nuovo Codice regola la composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore.

Invero, in linea generale la disciplina della presentazione della domanda e dell'iter processuale, non contiene modifiche significative rispetto a quella attualmente vigente.

Tuttavia, vi sono alcune integrazioni che meritano di essere messe in evidenza.

Si può anzitutto notare che il Codice, all'art. 68, comma 1, dispone che la domanda di accesso alla procedura in parola possa essere proposta anche in assenza di difensore, sciogliendo i dubbi sorti in dottrina e giurisprudenza. L'assenza di obbligatorietà della difesa tecnica, tuttavia, si scontra con l'elevato tecnicismo della materia, che ha influito, nella prassi formatasi nella vigenza della L. n. 3 del 2012, sulla scelta dei sovraindebitati di nominare un legale.

Inoltre, vengono esposte dall'art. 69, comma 5, Codice della crisi le condizioni soggettive ostative per l'accesso al piano del consumatore. Non può instaurare la procedura colui che è già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda, colui che ha beneficiato dell'esdebitazione per due volte ovvero colui che ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o dolo.

Focalizzando invece l'attenzione sul contenuto della domanda, l'art. 67, comma 4, attribuisce al consumatore sovraindebitato la facoltà di ristrutturare il debito relativo a contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio.

Tale disposizione rappresenta certamente un punto di svolta rispetto ad un presente in cui, discutibilmente, la maggior parte dei tribunali di merito ha escluso che l'apertura di una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento potesse essere “opposta” al finanziatore-cessionario, reputando già fuoriuscita dalla disponibilità del ricorrente la parte di retribuzione alienata.

Di sicuro impatto nella pratica è l'ingresso nella procedura di piano del consumatore della valutazione della condotta degli istituti di credito nella concessione di finanziamenti a favore del sovraindebitato e il mutamento dei criteri con cui deve essere valutata la meritevolezza – requisito sempre essenziale – del soggetto istante.

Precisamente, l'accesso al procedimento in parola sarà precluso, ai sensi dell'art. 69, comma 1, solamente a coloro che hanno determinato la situazione da sovraindebitamento – oltre che con malafede o con atti di frode – con colpa grave. Di talché, nel caso in cui la negligenza dovesse essere reputata dall'O.C.C. e dal giudice di scarsa importanza e, dunque, la colpa del soggetto scusabile, la procedura dovrà essere aperta.

Inoltre, nell'ambito del giudizio sulla diligenza del consumatore, ai sensi di quanto disposto dall'art. 68, comma 3, dovrà essere svolta anche una valutazione sulla condotta del finanziatore che ha concesso il credito, al quale, nel caso di violazione dei principi individuati dall'art. 124-bis d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, ovvero di colposa determinazione della situazione da sovraindebitamento, sarà impedita la proposizione di opposizioni o reclami al provvedimento di omologazione del piano (art. 69, comma 2, Codice della crisi e dell'insolvenza).

La legge, peraltro, specifica che il finanziatore, nel valutare il merito creditizio del debitore, debba considerare l'importo necessario a quest'ultimo per mantenere un dignitoso tenore di vita. Nel far ciò, si ritiene idonea una quantificazione del c.d. minimo vitale sulla base di un criterio oggettivo, ossia l'assegno sociale, il quale dovrà essere moltiplicato per un parametro corrispondente al numero di componenti del nucleo familiare della scala di equivalenza dell'ISEE di cui al d.p.c.m. 5 dicembre 2013, n. 159.

Ancora, l'art. 67, comma 5, Codice della crisi d'impresa dispone che il piano del consumatore possa prevedere il rimborso del debito derivante da un contratto di mutuo (garantito da ipoteca iscritta sull'abitazione) rispettando le scadenze precedentemente convenute, purché le obbligazioni da esso derivanti siano sempre state adempiute ovvero il giudice autorizzi il debitore a pagare la quota capitale e gli interessi scaduti alla data di deposito del piano.

Ultima novità degna di nota riguarda la fase esecutiva del piano del consumatore. L'art. 71, comma 2, del Codice, infatti, prevede l'obbligo per l'O.C.C. di presentare un rendiconto sulla procedura al termine della stessa.

Questa rendicontazione finale, che di per sé deve essere accolta con favore, in quanto permette al tribunale, ai creditori e, più in generale, a tutti gli interessati di verificare la corretta esecuzione del piano da parte del soggetto sovraindebitato e l'operato del gestore della crisi, dovrà essere approvata dal giudice. Solo in questo caso, l'O.C.C. avrà diritto alla liquidazione del compenso.

In caso contrario, ovvero nell'ipotesi di mancata approvazione del rendiconto, il giudice indicherà, ai sensi dell'art. 71, comma 3, gli atti necessari per l'esecuzione del piano e un termine per il loro compimento. Il mancato adempimento di tali prescrizioni potrà provocare la revoca dell'omologazione e l'esclusione del diritto al compenso dell'O.C.C.

Il concordato minore

Il concordato minore è disciplinato dall'artt. 74 ss. Codice della crisi e dell'insolvenza.

L'istituto ricalca, nei suoi tratti generali sia di carattere sostanziale che procedurale, il vigente accordo di composizione della crisi.

Non mancano tuttavia alcune novità che meritano di essere segnalate.

In primo luogo, la legittimazione ad accedere alla procedura viene circoscritta: al soggetto qualificabile come consumatore, infatti, è precluso l'accesso al concordato minore, essendo consentito solamente a coloro che esercitano attività imprenditoriale e professionale.

Peraltro, questi ultimi soggetti possono promuovere il procedimento di cui all'art. 74 ss. quando consente loro di proseguire l'attività imprenditoriale o professionale, mentre, nel caso di interruzione dell'attività – ossia, nell'ipotesi di proposta meramente liquidatoria –, hanno l'obbligo di prevedere l'apporto di risorse esterne, tali da aumentare la soddisfazione dei creditori.

Inoltre, come già visto per il piano del consumatore, il legislatore ha espressamente escluso, visto l'art. 76, la necessarietà della difesa tecnica per il deposito della domanda.

La novità forse più significativa, che concerne sempre il contenuto della proposta, è quella contenuta nell'art. 74, comma 3, a norma del quale la suddivisione dei creditori in classi resta generalmente facoltativa, eccezion fatta per l'ipotesi in cui vi siano creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali per i quali non sia previsto l'integrale pagamento, creditori che vengono soddisfatti (anche parzialmente) con beni in natura ovvero creditori titolari di garanzie prestate da terzi. L'obbligo in parola, peraltro, sussiste anche per la procedura di concordato preventivo, a norma dell'art. 85, comma 4, Codice della crisi.

La liquidazione controllata del sovraindebitato

La procedura di liquidazione controllata mantiene, anche a seguito della riforma, la sua attuale disciplina: attraverso tale procedura vengono, quindi, liquidate tutte le attività del debitore, ad eccezione di quanto il medesimo necessita per il suo mantenimento.

Il legislatore, tuttavia, ha ritenuto opportuno modificare la fase di accesso alla procedura, estendendo la legittimazione a richiedere la liquidazione dei beni – oltreché allo stesso debitore, attualmente unico soggetto legittimato – anche ai creditori e al pubblico ministero. Quest'ultimo, tuttavia, potrà domandare l'apertura della procedura solo nel caso in cui l'insolvenza riguardi un imprenditore.

Nei casi in cui l'istanza di liquidazione venga presentata dal creditore o dal pubblico ministero, il debitore ha facoltà, ai sensi dell'art. 271, comma 1, di chiedere l'accesso alla procedura di piano del consumatore o a quella di concordato minore e di ottenere l'assegnazione di un termine per la predisposizione di un piano, in pendenza del quale la procedura di liquidazione controllata non può essere dichiarata aperta.

In tale iter procedimentale si può intravedere un chiaro richiamo all'attuale legge fallimentare, laddove il debitore, ricevuta la notifica di una istanza di fallimento, può egualmente domandare l'accesso alla procedura di concordato preventivo con assegnazione dei termini (ex art. 161, comma 6, L.F.), ottenendo in questo caso la riunione delle procedure e la (sostanziale) sospensione dell'istruttoria prefallimentare sino allo spirare del termine per il deposito del piano e della proposta.

Ai sensi dell'art. 270, comma 2, lett. b), la figura del liquidatore, peraltro, tendenzialmente dovrà coincidere con l'O.C.C.

A differenza dell'attuale art. 14-quinquies, comma 4, L. n. 3 del 2012, il Codice della crisi e dell'insolvenza non prescrive una durata minima della liquidazione dei beni; la decisione dell'estensione temporale della stessa viene rimessa al liquidatore, ex art. 272, comma 3, con l'unico limite della ragionevole durata.

Pur nell'incertezza interpretativa del concetto di “ragionevole durata” – sul quale ancora si discute oggi in materia di concordato preventivo, ad esempio – è da accogliere con favore l'attribuzione al liquidatore della prerogativa di stabilire l'arco temporale della procedura, in quanto permetterà al medesimo organo di parametrare la durata alla situazione patrimoniale del richiedente, evitando inutili lungaggini procedimentali.

Inoltre, con l'entrata in vigore del Codice della crisi, il liquidatore, che manterrà il potere di esercitare o proseguire azioni finalizzate a conseguire la disponibilità di beni o recuperare crediti per conto del debitore, dovrà essere autorizzato dal giudice delegato alla procedura ad agire in giudizio, in analogia con quanto oggi previsto dall'art. 25, n. 6) L.F. per il curatore fallimentare.

Allo stesso modo, così come previsto dall'art. 72 L.F., i contratti non ancora compiutamente eseguiti alla data di apertura della liquidazione controllata rimangono sospesi fino a che il liquidatore dichiara di subentrare nel contratto in luogo dello stesso debitore, assumendo, in tal caso, tutti gli obblighi relativi al medesimo.

Infine, la riforma prescrive stringenti obblighi di rendicontazione al liquidatore: ogni sei mesi, ai sensi dell'art. 275, comma 1, dovrà depositare relazioni semestrali sull'andamento della procedura e, terminata l'esecuzione del programma di liquidazione, dovrà presentare al giudice un rendiconto finale ex art. 275, comma 3. Il mancato rispetto di tali prescrizioni potranno determinare la revoca dell'incarico o l'esclusione del diritto al compenso del liquidatore.

L'esdebitazione

La riforma riserva alcune modifiche anche alla disciplina dell'esdebitazione.

In primo luogo, il beneficio della liberazione dai debiti anteriori verrà accordato, ai sensi dell'art. 278, comma 1, anche alle persone giuridiche e non più, come attualmente, solo alle persone fisiche. Sono superate, così, le critiche espresse da molti interpreti, che si interrogavano su quale finalità potesse avere per le società intraprendere la procedura di liquidazione dei beni senza alcuna prospettiva di esdebitazione finale.

Nondimeno, con l'entrata in vigore della riforma, la liberazione dai debiti pregressi ottenuta da una società produrrà automaticamente effetti, ex art. 278, comma 5, anche nei confronti dei propri soci illimitatamente responsabili.

Inoltre, se attualmente occorre attendere la conclusione della procedura liquidatoria – che, come noto, deve durare almeno quattro anni –, per ottenere il beneficio in parola con il nuovo Codice della crisi il debitore avrà diritto a conseguire l'esdebitazione – la quale opererà automaticamente, come precisato dall'art. 282, comma 1 – decorsi tre anni dall'apertura della liquidazione e, dunque, anche in pendenza di procedura.

Il Codice della crisi, peraltro, non richiede più la sussistenza della meritevolezza del sovraindebitato per accordare il beneficio dell'esdebitazione.

L'unica eccezione a tale canone è rappresentata dal debitore incapiente, che non è in grado, “nemmeno in prospettiva futura” di offrire ai creditori utilità: lo stesso potrà esdebitarsi (per una sola volta) purché sia meritevole. In questo caso, qualora il debitore acquisisca, nei quattro anni successivi all'esdebitazione, attività tali da permettere un soddisfacimento nella misura minima del dieci per cento dei creditori, dovrà utilizzare i beni sopravvenuti per pagare questi ultimi.

Nel caso di debitore privo di patrimonio, inoltre, l'O.C.C. avrà un diritto al compenso ridotto della metà.

In conclusione

La riforma delle procedure da sovraindebitamento, contenuta nel d.lgs. n. 14 del 2019, contiene alcune significative novità la cui portata non può essere trascurata.

Il legislatore, con il loro inserimento in un corpo normativo unico – e comune alle procedure c.d. maggiori – ha anzitutto voluto affermare con fermezza la natura concorsuale dei procedimenti contenuti in essa.

In secondo luogo, volendo assicurare una maggiore applicazione pratica degli istituti attualmente contenuti nella L. n. 3 del 2012, ha potenziato la libertà di accesso ai medesimi ed eliminato gli attuali limiti per ottenere l'esdebitazione.

Ancora, è stata parzialmente sottratta al debitore la facoltà di gestire il proprio sovraindebitamento, potendo presentare la domanda di apertura della liquidazione dei beni anche un creditore o, nel caso di imprenditore, il pubblico ministero.

L'intervento legislativo, perlomeno astrattamente, merita di essere apprezzato. L'applicazione pratica delle disposizioni, tuttavia, sarà la cartina al tornasole che fornirà agli interpreti i dati per poter effettuare una valutazione definitiva.

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