L’appartenenza alla medesima religione non prova l’esistenza del vincolo affettivo tra nonno e nipote

Redazione Scientifica
20 Maggio 2019

Frequenti contatti telefonici e appartenenza alla medesima religione ortodossa di nonno e nipote non costituiscono elementi utili a provare l'esistenza di uno stabile vincolo affettivo su cui fondare la richiesta di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.

IL CASO Una ragazza muore a seguito di un tragico sinistro stradale, la responsabilità del quale è stata accertata come esclusiva del conducente della vettura su cui viaggiava la danneggiata come terza trasportata. Il nonno si rivolge al Tribunale di Milano per ottenere il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale ma il Giudice di prime cure respinge la richiesta, ritenendo non provata l'intensità del vincolo affettivo tra nonno e nipote (non conviventi). L'uomo si rivolge dunque in Cassazione per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale.

PROVA DEL LEGAME AFFETTIVO La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando quanto stabilito dai giudici di merito. L'attore, cui incombeva l'onere di provare l'esistenza di un precedente vincolo affettivo tra nonno e nipote, aveva infatti solo allegato, senza tuttavia provarlo, l'appartenenza di entrambi alla medesima religione ortodossa e la frequenza di contatti telefonici. Tali elementi non sono infatti ritenuti idonei a considerare l'esistenza di un intenso vincolo affettivo tra nonno e nipote.

A prescindere dalla convivenza, infatti, l'esistenza di un vincolo affettivo può e deve essere provata in altro modo (Cass. civ., n. 21230/2016 e Cass. civ. n. 29332/2017).

La Corte rigetta il ricorso e da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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