Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo va motivato in relazione al repêchage?

20 Maggio 2019

In tema di licenziamento individuale, la novellazione dell'art. 2, comma 2, l. n. 604 del 1966 per opera dell'art. 1, comma 37, l. n. 92 del 2012, si è limitata a rimuovere l'anomalia della possibilità di intimare un licenziamento scritto immotivato, introducendo la contestualità dei motivi, ma non ha mutato la funzione della motivazione...
Massima

In tema di licenziamento individuale, la novellazione dell'art. 2, comma 2, l. n. 604 del 1966, per opera dell'art. 1, comma 37, l. n. 92 del 2012, si è limitata a rimuovere l'anomalia della possibilità di intimare un licenziamento scritto immotivato, introducendo la contestualità dei motivi, ma non ha mutato la funzione della motivazione, che resta quella di consentire al lavoratore di comprendere, nei termini essenziali, le ragioni del recesso; ne consegue che nella comunicazione del licenziamento il datore di lavoro ha l'onere di specificarne i motivi, ma non è tenuto, neppure dopo la suddetta modifica legislativa, a esporre in modo analitico tutti gli elementi di fatto e di diritto alla base del provvedimento (nella fattispecie, relativa a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nel 2013, la S.C. ha escluso la necessità che il datore di lavoro, avendo chiaramente indicato come motivo di recesso la sopravvenuta parziale inidoneità fisica del lavoratore, fosse anche tenuto a esporre le ragioni che rendevano impossibile rinvenire in azienda posti disponibili, compatibili con l'idoneità fisica residua).

Il caso

Ad una lavoratrice viene intimato il recesso per sopravvenuta parziale inidoneità fisica. Ritenuta legittima l'iniziativa datoriale ad opera dei giudici di merito, la lavoratrice medesima ricorre per cassazione deducendo, tra l'altro, la carenza, nella lettera di licenziamento, della motivazione quanto all'obbligo datoriale di reperimento di posti disponibili in azienda compatibili con il suo stato di salute.

La S.C. enuncia il principio di cui in massima, precisando, in particolare, che “non è necessaria l'indicazione della inutilizzabilità aliunde nella motivazione del licenziamento […], trattandosi di elemento implicito da provare direttamente in giudizio.

La questione

La questione in esame è la seguente: l'atto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve contenere la motivazione circa l'impossibilità per il datore di assegnare il lavoratore ad altre postazioni di lavoro disponibili?

Le soluzioni giuridiche

La S.C. dà al sopra illustrato quesito risposta negativa.

La conclusione è fondata sul centrale rilievo che “la ratio della previsione legislativa sull'onere della forma era ed è sempre quella che la motivazione del licenziamento sia specifica ed essenziale e consenta al lavoratore di comprendere le effettive ragioni del recesso (che, con riguardo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si sostanziano nella ragione inerente l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, come richiesto dall'art. 3, l. n. 604 del1966), discendendo dai principi di immutabilità della motivazione e dall'orientamento consolidato di questa Corte in ordine alla delineazione dell'obbligo di repechage quale elemento costitutivo del licenziamento (cfr. Cass. n. 10435 del 2018) l'obbligo del datore di lavoro di dimostrare in giudizio l'impossibilità di adibire il lavoratore in altre mansioni”.

La soluzione della Corte è in linea con l'orientamento tradizionale secondo cui nella lettera di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo è sufficiente che il datore offra la motivazione circa il fatto “principale” della scelta, ossia quello concernente la riduzione di risorse quale conseguenza di un riassetto aziendale, oppure, come nel caso in esame, quello riguardante l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per inidoneità psico-fisica del lavoratore.

La funzione della motivazione sarebbe, in tale prospettiva, adeguatamente soddisfatta, poiché idonea a consentire al lavoratore di comprendere le ragioni del recesso.

Dovrebbe derivarne - una volta ritenuto che “il fatto da motivare” si sostanzi nella ragione inerente l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa - che la questione del repechage vada dedotta in memoria (necessariamente, pena una declaratoria di illegittimità del licenziamento per “manifesta insussistenza del fatto”) quale elemento motivazionale aggiuntivo, in funzione di mera “precisazione” delle ragioni già indicate nel licenziamento, senza che possa in tal caso ravvisarsi una modifica dei motivi (e tale ricostruzione è in linea con quanto già, in via generale, affermato in passato dalla S.C. con la sentenza n. 3752 del 1985, ove si legge che “Il principio dell'immutabilità del motivo del recesso del datore di lavoro non implica che lo stesso debba essere specificato in tutti i suoi elementi di fatto e di diritto all'atto del licenziamento, essendo invece sufficiente che sia indicata la fattispecie di recesso nei suoi tratti e circostanze di fatto essenziali di tal che in sede di impugnazione e di giudizio non può essere invocata una fattispecie totalmente diversa, mentre è sempre possibile precisare quella dedotta esplicitando elementi di fatto non puntualmente indicati nella motivazione del licenziamento”).

Sennonché, nel sopra descritto ed articolato meccanismo è dato per scontato un aspetto (quello, appunto, secondo cui le motivazioni del recesso si sostanziano nella ragione inerente l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa) sul quale è opportuno, oggi, tentare una riflessione aggiuntiva.

Ciò in quanto, come anche ribadito dalla sentenza in commento, il repechage ha natura di “atto costitutivo” del licenziamento, secondo una impostazione di recente accolta dalla Suprema Corte (sul quale v. infra nel successivo paragrafo) e che già può dirsi consolidata. Si tratta quindi di valutare la portata e le implicazioni della predetta impostazione, non solo quanto alla distribuzione dell'onere della prova e delle conseguenze derivanti dalla violazione dell'obbligo datoriale (temi sui quali sinora è stata focalizzata l'attenzione nel dibattito giuridico), ma anche quanto alla stessa configurazione della motivazione.

In buona sostanza occorrerebbe, ai fini dell'analisi, scongiurare il rischio di operare una sovrapposizione degli aspetti - che andrebbero, invece, tenuti distinti - riguardanti: a) l'oggetto della motivazione; b) il grado di specificità e: c) l'immutabilità della stessa.

La problematica non è di agevole soluzione, poiché investe, con varie sfumature, profili sostanziali e processuali.

Osservazioni

Come è noto, la motivazione del licenziamento è prescritta affinché il lavoratore possa valutare, da un lato, l'opportunità di intraprendere una controversia e, dall'altro, ove sia seguita tale strada, di raccogliere prove (non interessa, qui, se dirette o, in prospettiva, contrarie) volte a smentire in giudizio l'assunto posto a supporto del licenziamento stesso.

E' altresì noto che la fattispecie “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” è stata di recente puntualizzata dalla giurisprudenza della Cassazione, a partire dalla ormai nota Cass. n. 10435 del 2018 - richiamata dalla pronuncia in commento -, ove si legge, per quanto qui interessa, che “la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento previsto dall'art. 18, comma 7, st. lav., concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore”.

In altri termini, la fattispecie in questione ricomprende non solo il fatto “generatore” di taglio, per così dire, “preliminare”, ossia quello concernente il riassetto aziendale, ma anche il fatto cronologicamente successivo, ovvero il repechage.

Quest'ultimo, pertanto, non va più considerato quale fatto “accessorio” o “secondario”, bensì quale vero e proprio elemento costitutivo (o requisito di legittimità) del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ma, se così è, potrebbe avanzarsi l'ipotesi che il profilo del repechage debba rientrare a pieno titolo nella motivazione del licenziamento.

Il lavoratore, infatti - avuto proprio riguardo alla illustrata funzione della motivazione -, dovrebbe ragionevolmente poter essere in grado, sin dalla ricezione del licenziamento stesso, di stabilire la convenienza a promuovere una causa anche in rapporto alle possibilità di successo legate all'inadempimento dell'obbligo di repechage.

In altri termini, ove il datore evidenzi nel licenziamento che il lavoratore non poteva essere ricollocato nelle postazioni x, y e z, perché occupate, il lavoratore medesimo, informatosi al riguardo ed ottenuti riscontri a favore dell'assunto, potrebbe soprassedere dal coltivare un giudizio.

Ove invece nell'atto di licenziamento non sia detto alcunché al riguardo, il lavoratore sarebbe maggiormente indotto ad avviare un contenzioso.

Senza contare che, ove la deduzione del profilo del repechage direttamente in memoria non fosse considerata oggetto di una - parzialmente - “nuova” motivazione del licenziamento, il lavoratore non avrebbe neppure la possibilità di contrastare sul piano istruttorio l'assunto datoriale, non sussistendo, in via di principio, i presupposti perché sia rimesso “in termini” per articolare proprie deduzioni istruttorie.

Del resto, come è evidente, la problematica non si risolve sul rilievo che l'onere di allegazione e prova del repechage grava sul datore, con conseguente inutilità di qualsiasi correlata iniziativa del lavoratore.

Può infatti al riguardo replicarsi che: a) anche la prova del riassetto aziendale grava sul datore, ma nessuno dubita che il profilo debba rientrare nella motivazione del licenziamento; b) l'allegazione del lavoratore continua ad essere rilevante anche a seguito del consolidamento dell'indirizzo che addossa interamente al datore l'onere di deduzione e prova dell'assolvimento del repêchage (si veda, ad esempio, di recente, Cass. 23 maggio 2018, n. 12794: “sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del repêchage, gravando la prova della impossibilità di ricollocamento sul datore di lavoro, una volta accertata, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, tale impossibilità, la mancanza di allegazioni del lavoratore circa l'esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il descritto quadro probatorio”); ma l'allegazione in questione sarà possibile solo ove il lavoratore abbia potuto previamente acquisire, sulla base della motivazione del licenziamento, le valutazioni operate al riguardo dal datore.

Ove al quesito iniziale volesse darsi risposta positiva, si avrebbero varie implicazioni.

In primo luogo, la motivazione sul repêchage dovrebbe ragionevolmente coincidere con la prospettazione contenuta in memoria, finalizzata alla prova che il datore medesimo dovrà articolare.

In secondo, qualora il datore non avesse per nulla motivato il licenziamento in ordine al repechage, o - il che è lo stesso - le indicazioni fornite fossero del tutto diverse da quelle poi contenute in memoria, si avrebbe violazione del principio di “immodificabilità”, che attualmente rileva sul versante della “non contestualità” dei motivi (detto diversamente, la motivazione - contenuta nella memoria difensiva - originaria o diversa da quella posta a corredo del licenziamento, è una motivazione tardiva, ovvero non contestuale alla comunicazione del licenziamento stesso); la violazione in questione sarebbe di natura formale (poiché si determinerebbe la inefficacia impropria di cui all'art. 2, comma 2, l. n. 604 del 1966), comportante la tutela indennitaria debole (dando qui per assodato - ma sulla questione non vi è certezza - che il datore possa fornire la motivazione direttamente in giudizio).

Infine, la motivazione del repechage contenuta direttamente in memoria dovrebbe autorizzare il lavoratore a chiedere un termine per articolare deduzioni istruttorie.

Per riferimenti sul tema della motivazione del licenziamento, v. L. Di Paola, Il licenziamento, ne “Vicende ed estinzione del rapporto di lavoro”, III, Lavoro, Pratica Professionale, diretto da P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei, Giuffré, 2018, 339 ss.

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