Il distacco del personale per la gestione degli esuberi e la configurabilità di un unico centro di imputazione dei rapporto di lavoro

Paolo Patrizio
20 Maggio 2019

la condizione rilevante ai fini della configurabilità dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro è l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di diversi soggetti giuridici, laddove i restanti requisiti...
Massime

La condizione rilevante ai fini della configurabilità dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro è l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di diversi soggetti giuridici, laddove i restanti requisiti (unicità della struttura organizzativa e produttiva integrazione delle attività esercitate dai vari soggetti, coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario), attengono ad aspetti di contorno, idonei a dimostrare, di per sé, la mera sussistenza di un collegamento economico-funzionale tra più soggetti.

Il distacco è consentito a condizione che esso realizzi (anche) uno specifico interesse del distaccante, configurando un atto organizzativo del soggetto che lo dispone. La modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa presuppone e coincide con la durata dell'interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione lavorativa in favore di un altro soggetto.

Se l'adozione della forma scritta appare maggiormente opportuna per il caso in cui il distacco comporti un mutamento delle mansioni dal lavoratore o un trasferimento presso una sede di lavoro che disti più di 50 chilometri da quella di provenienza, in quanto in questi casi è necessario il consenso del lavoratore distaccato, negli altri casi essa può assolvere solo la finalità di semplificare la dimostrazione dell'insussistenza di una somministrazione vietata di manodopera.

Il caso

La fattispecie in esame riguarda il ricorso proposto da una lavoratrice dipendente del Consorzio Nettuno, la quale ha impugnato il licenziamento comminatole (deducendone la nullità e/o l'illiceità ovvero, in via gradata, l'illegittimità per violazione delle ipotesi previste dal novellato art 18, l. n. 300 del 1970, in tutte le articolazioni in esso sancite) ed ha chiesto l'accertamento della unicità del centro di imputazione di interessi (costituito dal Consorzio Nettuno, dalla Università Telematica Internazionale Uninettuno e dalla Uninettuno Foundation) e l'intervenuta costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato con detto unico centro di imputazione di interessi, previa declaratoria di illegittimità dei distacchi medio tempore realizzati, avendo essa dedotto di aver prestato la propria attività lavorativa in favore e sotto la direzione ed il controllo di tale unitario soggetto (dal 2006 e sino al 25 agosto 2014, data di inizio della sua assenza dal lavoro, dapprima per congedo per maternità e poi per congedo straordinario, sino alla risoluzione del rapporto) in assenza di qualsivoglia interesse datoriale del Consorzio a mantenere alla proprie dipendenze (continuando ad assolvere gli obblighi retributivi e contributivi) personale che, di fatto, operava direttamente in favore della UTIU.

La questione

La decisione in esame, tralasciando volontariamente il profilo della disciplina del licenziamento in quanto già oggetto di plurime trattazioni, involge le tematiche del distacco del personale (con particolare riferimento alla tipologia sancita dal comma 3 dell'art. 8, d.l. 20 maggio 1993, n. 148, connv. in l. n. 236 del 1993) e della configurabilità di un unico centro di imputazione dei rapporto di lavoro.

La soluzione giuridica

Nel respingere il ricorso promosso dalla lavoratrice, il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma evidenzia, in primo luogo, come ai fini della configurabilità di un unico centro di imputazione di interessi non basta che il risultato del lavoro dei dipendenti del Consorzio fosse concretamente utilizzato (anche) dalla UTIU, ma risulta necessario che l'attività finalizzata alla produzione dei contenuti didattici fosse svolta sotto la direzione ed il controllo di personale dell'UTIU, circostanza, quest'ultima, risultata priva di idonei elementi di riscontro.

Ed invero, sottolinea il Giudicante “Pur essendo emerso con evidenza che la struttura produttiva del Consorzio dal 2006 è stata inscindibilmente collegata alle attività didattiche svolte dalla UTIU, ciò non appare di per sé solo adeguato a far ritenere fondato il ricorso, non essendo sufficiente un mero collegamento funzionale per ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato formalmente intercorso tra un lavoratore ed uno dei soggetti collegati debba estendersi anche agli altri”in quanto “la condizione rilevante ai fini della configurabilità dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro è l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di diversi soggetti giuridici, laddove i restanti requisiti (unicità della struttura organizzativa e produttiva, integrazione delle attività esercitate dai vari soggetti, coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario), attengono ad aspetti di contorno, idonei a dimostrare, di per sé, la mera sussistenza di un collegamento economico-funzionale tra più soggetti”.

In secondo luogo, il Tribunale di Roma, nel vagliare la legittimità dei disposti distacchi della lavoratrice ricorrente, dopo aver ricordato come tale opzione lavorativa sia consentita a condizione che essa realizzi (anche) uno specifico interesse del distaccante, configurando un atto organizzativo del soggetto che lo dispone, sottolinea come, nella fattispecie in esame, il distacco della ricorrente fosse stato concordato con le OO.SS., ai sensi del comma 3 dell'art. 8, d.l. 20 maggio 1993, n. 148, connv. in l. n. 236 del 1993, e quindi “al fine di evitare [...] riduzioni di personale”.

Trattasi, dunque, di un'ipotesi specifica di distacco, in cui vige una presunzione assoluta circa l'esistenza dell'interesse al distacco in quanto disposto per fini solidaristici, con la conseguenza che, una volta assodata la legittimità dello strumento regolatore del rapporto di lavoro, del tutto irrilevante risultava, ai fini della configurabilità di un unico centro di imputazione del rapporto, l'esercizio del potere direttivo ed organizzativo da parte della distaccataria nei confronti della ricorrente stessa, in quanto i lavoratori distaccati sono per definizione inseriti nel ciclo produttivo e nella organizzazione della distaccataria stessa.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Roma affronta, una dopo l'altra, le specifiche tematiche della configurabilità di un unico centro di imputazione dei rapporto di lavoro e del distacco del personale per la gestione degli esuberi; questioni, entrambe, che hanno registrato un fervido dibattito dottrinale e giurisprudenziale e che meriterebbero, ciascuna, un autonomo ed idoneo approfondimento, stante la peculiarità dei profili di riflessione involti nella disamina degli istituti.

Partendo, dunque, da una sintetica analisi del tema dell'unitarietà del centro di imputazione del rapporto di lavoro, va ricordato come tale unicità di imputazione ricorra ogni qual volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività imprenditoriale fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale, con l'emersione di alcuni indici sintomatici di codatorialità, sostanzialmente sintetizzati, da dottrina e giurisprudenza, in: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo- finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) contemporaneo utilizzo della prestazione lavorativa da parte delle varie società, nel senso che la prestazione medesima risulti resa in loro favore allo stesso tempo e in modo indifferenziato.

Lo stesso dicasi qualora tra più società vi sia un collegamento economico-funzionale, diverso dai rapporti di controllo e collegamento previsti dal codice civile, tale da far ravvisare un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti. Ed invero, sebbene il gruppo di imprese non costituisca di per sé un fenomeno rilevante in chiave di soggettività, la prassi applicativa non esclude che, a determinate condizioni, si possa realizzare, per effetto della decisione giudiziale, un'operazione di superamento della personalità giuridica o cd. ”piercing the corporate veil” e che, quindi, il Giudice del lavoro possa individuare una persona giuridica unitaria e autonoma dietro il paravento di tante distinte realtà aziendali. Posto, dunque, come la relazione fra le imprese che può condurre a tale esito applicativo non sia unica, bensì declinabile in varie forme, ciò che rappresenta il fil rouge fra una parte significativa dei casi emergenti a livello di prassi giurisprudenziale è una sorta di eccedenza nel controllo esercitato da una società (in posizione di capogruppo) rispetto al paradigma codicistico della direzione e del coordinamento, da cui discende che, in tali casi, il rapporto di lavoro è, per l'appunto, costituito in capo ad un centro unitario rappresentato dalla capogruppo con la società controllata. In tal senso, infatti, la Corte di cassazione ha significativamente affermato che in presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l'assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell'organizzazione produttiva nel quale l'attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione. Vale, tuttavia, notare che l'eccedenza del controllo non integra una condicio sine qua non ai fini del delinearsi della fattispecie qui in esame che, viceversa, può aversi anche nei casi in cui il rapporto fra le diverse persone giuridiche sia di equi-ordinazione.

Ciò posto in linea generale sull'istituto in parola, volendo volgere lo sguardo alla disamina della fattispecie in commento, va evidenziato come il Tribunale capitolino, nel respingere il ricorso promosso dalla lavoratrice, abbia evidenziato l'inadeguatezza delle risultanze probatorie in termini di indubbia emersione della configurabilità di un unico centro di imputazione di interessi, sottolineando come, a tal fine, non risultasse sufficiente che il frutto del lavoro dei dipendenti del Consorzio fosse concretamente utilizzato (anche) dalla UTIU, ma dovesse essere provato che l'attività finalizzata alla produzione dei contenuti didattici fosse svolta sotto la direzione ed il controllo di personale dell'UTIU, circostanza, quest'ultima, risultata priva di idonei elementi di riscontro.

Il Tribunale di Roma, dunque, nel motivare che: “Pur essendo emerso con evidenza che la struttura produttiva del Consorzio dal 2006 è stata inscindibilmente collegata alle attività didattiche svolte dalla UTIU, ciò non appare di per sé solo adeguato a far ritenere fondato il ricorso, non essendo sufficiente un mero collegamento funzionale per ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato formalmente intercorso tra un lavoratore ed uno dei soggetti collegati debba estendersi anche agli altri ...” in quanto “... la condizione rilevante ai fini della configurabilità dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro è l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte di diversi soggetti giuridici, laddove i restanti requisiti (unicità della struttura organizzativa e produttiva, integrazione delle attività esercitate dai vari soggetti, coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario), attengono ad aspetti di contorno, idonei a dimostrare, di per sé, la mera sussistenza di un collegamento economico-funzionale tra più soggetti” , sembra far proprio il rigoroso orientamento della Suprema Corte di Cassazione (espresso ex multis con la sentenza n. 7221 del 7 dicembre 2017, pubblicata il 22 marzo scorso) secondo cui i rapporti di lavoro formalmente attivati presso due società, devono essere considerati come riconducibili a un unico centro di imputazione, qualora tra le stesse vi sia un collegamento economico-funzionale, talmente rilevante da non riuscire a distinguere nell'interesse di chi le prestazioni lavorative sono rese, con la conseguenza che entrambi i soggetti devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto di lavoro (ai sensi dell'articolo 1294, c.c., che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente), essendo palese l'intento fraudolento di separare un'unica attività imprenditoriale fra vari soggetti in collegamento economico-funzionale.

Ciò, in quanto, come ribadito anche di recente dal massimo Organo della Nomofilachia (con ordinanza 14 maggio 2018, n. 11585 e con sentenza 24 luglio 2018, n. 19634) il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche alle altre, a meno che tale collegamento non configuri un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, in ragione dell'esistenza di un'unica struttura organizzativa e produttiva, dell'integrazione delle attività esercitate dalle diverse imprese, del coordinamento tecnico, amministrativo e finanziario e dello svolgimento della prestazione di lavoro in modo indifferenziato, in favore delle diverse imprese del gruppo.

Senonchè, la pronuncia in esame appare particolarmente interessante anche sotto altro profilo di indagine, avendo il Tribunale di Roma affrontato la tematica della del distacco del lavoratore, con particolare riferimento all'ipotesi del disacco finalizzato alla gestione degli esuberi.

Come è noto, al riguardo, lo strumento del distacco ha trovato una sua compiuta disciplina legale nell'ambito dei rapporti di lavoro privatistici soltanto con la previsione regolatrice dell'art. 30, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (di attuazione dell'art. 1, comma 2, lett.m), n. 3, l. 14 febbraio 2003, n. 30) la quale, nel tipizzare la fattispecie per il settore privato, ha senza dubbio recepito taluni orientamenti evolutivi, emersi dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale più che decennale sul campo di applicazione e sulle finalità della l. n. 1369 del 1960.

In passato, infatti, le varie argomentazioni tendenti a favorire la massima operatività dell'istituto in parola, hanno dovuto sempre confrontarsi con l'assunto per cui lo svolgimento della prestazione lavorativa nell'organizzazione e sotto la direzione di un soggetto diverso dall'effettivo datore di lavoro ben avrebbe potuto integrare un'ipotesi di interposizione illecita di manodopera vietata dalla l. n. 1369 del 1960, la quale, per lungo tempo e fino alla sua recente abrogazione, ha imposto la piena rispondenza tra soggetto utilizzatore e datore formale titolare del rapporto di lavoro, in uno alla sostanziale irrilevanza dello scopo perseguito dal datore di lavoro interposto e dal soggetto utilizzatore della prestazione.

La dottrina aveva, pertanto, cercato di risolvere la questione della legittimità del distacco riconducendolo nelle categorie proprie del diritto civile, valorizzando l'elemento del consenso del lavoratore; mentre la giurisprudenza, invece, si era soffermata sul dato oggettivo della modificazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, ritenendo che non sussistesse una ipotesi di interposizione illecita ove vi fosse, in capo al distaccante, un interesse al distacco, tale da garantire la persistenza del vincolo di sinallagmaticità tra le prestazioni oggetto del contratto di lavoro tra distaccante e lavoratore distaccato, preservandosi pertanto la causa del contratto e l'unicità del rapporto in capo al datore di lavoro originario, senza che, peraltro, fosse necessario il consenso del lavoratore distaccato.

Tale quadro distonico e di non facile interpretazione attuativa ha, dunque, imposto l'intervento espresso del legislatore delegato, con l'obiettivo dichiarato di poter fornire maggiore certezza giuridica alle scelte imprenditoriali, nel rispetto della tutela degli interessi di tutti i soggetti e, segnatamente, dei lavoratori coinvolti nei processi di esternalizzazione.

Ecco, allora, che l'art. 30, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, dispone come “L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore e' adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236”.

Dunque, i requisiti che il legislatore pone a fondamento della validità del distacco sono essenzialmente tre, ovvero: l'interesse del datore di lavoro; la temporaneità; lo svolgimento di un'attività lavorativa determinata.

In particolare, l'interesse che legittima l'istituto coincide con un interesse produttivo e organizzativo del datore di lavoro distaccante che non può in nessun caso concretizzarsi nell'interesse a percepire un mero corrispettivo ovvero a eludere le nuove disposizioni in materia di somministrazione di lavoro, ma deve essere un interesse qualificato di natura “spiccatamente imprenditoriale”(ossia, di natura organizzativa, produttiva, commerciale, ecc.), che deve perdurare per tutto il tempo del distacco in funzione dell'interesse che il distacco mira a soddisfare. La giurisprudenza di legittimità, ha, infatti, qualificato l'interesse che legittima il distacco come specifico, rilevante, concreto e persistente. A tali requisiti si aggiunge, inoltre, la necessità di valutare l'interesse con riferimento al concreto espletamento della attività lavorativa resa dal lavoratore distaccato ed è per l'appunto in tal senso che va letta la previsione dell'art. 30, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, laddove dispone che l'attività lavorativa sia determinata. La determinazione della attività lavorativa permette, infatti, di valutare la sussistenza in concreto dell'interesse ed è coerente con la disposizione di cui al comma 3 del medesimo art. 30, d.lgs. n. 276 del 2003, ove si prevede che il lavoratore debba manifestare il proprio consenso ove si determini un mutamento di mansioni in seguito al distacco, in quanto, tale consenso presuppone l'individuazione dell'attività lavorativa richiesta. In dottrina, poi, l'interesse è stato definito come «diretto» e non fraudolento, ed è stato qualificato avuto riguardo al contenuto della prestazione e all'impianto organizzativo e produttivo del datore di lavoro distaccante.

Al requisito dell'interesse si aggiunge quello della temporaneità del distacco che, individuato già dalla giurisprudenza, è stato recepito dall'art. 30, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Stante l'attuale regolamentazione della somministrazione di manodopera ed in particolare la liceità della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato regolamentata dal decreto legislativo d.lgs. n. 276 del 2003, la natura temporanea del distacco diventa un ulteriore elemento distintivo del distacco rispetto alla somministrazione. In base alla elaborazione giurisprudenziale, la temporaneità è un corollario dell'interesse essendo la durata del distacco funzionale alla realizzazione dello stesso. Temporaneità, pertanto, non è sinonimo di brevità ma, più semplicemente, di non definitività. La giurisprudenza ha in effetti avuto modo di chiarire che la temporaneità non comporta una durata più o meno lunga del distacco, che al limite può coincidere con l'intera durata del rapporto di lavoro ed essere contestuale all'assunzione del lavoratore. Non solo. La giurisprudenza ha coerentemente aggiunto che la dimensione temporale è connessa all'interesse di modo che la durata del distacco non deve necessariamente essere predeterminata rimanendo necessario, come ribadito pure dalla circolare n. 3/2004, che l'interesse perduri per tutto il tempo del distacco.

Ciò posto in linea estremamente sintetica e ritornando al profilo involto dalla sentenza in commento, va evidenziato come l'articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, espressamente ricomprenda, tra le ipotesi di distacco legittimo, la previsione dell'articolo 8, comma 3, d.l. 20 maggio 1993, n. 148, conv. con modif. dalla l. 19 luglio 1993, n. 236, che ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità, nell'ambito della procedura di mobilità, di disporre il distacco del personale in esubero presso un altro datore di lavoro ove si raggiunga un accordo sindacale. Tale ipotesi si differenzia da quella prevista dall'art. 30, d.lgs. n. 276 del 2003 in quanto, in questo caso, l'interesse che legittima il distacco è quello del lavoratore a non essere licenziato ed eventualmente l'interesse pubblico a preservare i livelli occupazionali. Ne deriva che esso, previa sussistenza dell'accordo sindacale, può essere disposto anche ove manchi l'interesse del distaccante ovvero questo coincida con il mero passaggio dei costi della manodopera eccedentaria in capo al distaccatario, ponendosi, dunque, l'ipotesi del distacco ex art. 8, comma 3, d.l. n. 148 del 1993, quale species del più ampio genus regolato dall'art. 30, d.lgs. n. 276 del 2003.

Ed allora, è proprio facendo applicazione di tale previsione legislativa che il Giudice del lavoro del Tribunale capitolino sancisce la legittimità dell'operato distacco della ricorrente, evidenziando la vigenza di una presunzione assoluta circa l'esistenza dell'interesse al distacco in quanto disposto per fini solidaristici, per quindi concludere per l'irrilevanza di qualsivoglia ulteriore indagine in merito alla configurabilità di un unico centro di imputazione del rapporto ed al concreto esercizio del potere direttivo ed organizzativo da parte della distaccataria nei confronti della ricorrente stessa, sul presupposto che i lavoratori distaccati sono per definizione inseriti nel ciclo produttivo e nella organizzazione della distaccataria stessa.

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