Parti comuni e rimborso spese nel condominio minimo
21 Maggio 2019
Il quadro normativo
La distinzione tra grandi e piccoli condomini non è contenuta nel codice civile, ma risulta da un'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, che hanno definito il regime giuridico, sistema che oscilla tra il condominio o la comunione. In argomento, occorre osservare che nell'ambito della nozione di condominio minimo rientrano due situazioni particolari: con la prima, alcuni considerano la nozione di condominio minimo quello di condominio parziale o ad una parte specifica di un intero condominio (ad esempio un edificio con tre scale ed occorre riparare l'ascensore che serve solo una di queste); con la seconda, con un significato più corretto (per distinguerlo dal piccolo condominio), altri autori considerano la nozione di condominio minimo in relazione all'intero condominio in cui c'è un numero minimo o di partecipanti. Facendo riferimento solo al condominio minimo (inteso quello con un numero di partecipanti non superiore a due) occorre stabilire quali norme applicare; oppure, meglio, quali principi in materia di condominio non sono applicabili per la peculiarità della fattispecie. La tesi che vede applicabile al condominio minimo le norme della comunione (o solo una parte delle norme in materia di condominio) è stata sempre più abbandonata a favore dell'altra ricostruzione per la quale al condominio minimo si applicano tutte le norme in materia di condominio (dall'amministrazione all'assemblea). Quindi, secondo tale teoria, la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo. Difatti, il condominio negli edifici si caratterizza per la coesistenza di proprietà individuali dei singoli condomini, aventi ad oggetto il piano o le porzioni di piano dell'edificio, e beni di proprietà comune: ciò che ne rimarca la peculiarità rispetto all'istituto giuridico della comunione è non solo e non tanto la coesistenza in un medesimo edificio di parti in proprietà solitaria e di parti in proprietà comune, bensì il loro collegamento strutturale che si manifesta come incorporazione materiale e destinazione funzionale. È alla relazione di accessorietà tra beni comuni e beni oggetto di proprietà esclusiva che l'ordinamento giuridico attribuisce rilevanza decisiva ai fini dell'applicazione delle norme previste dal Legislatore in materia di condominio. Il fenomeno sostanzialmente unitario del condominio negli edifici, caratterizzato dalla relazione di accessorietà tra proprietà esclusive e proprietà comuni, porta a concludere che la concretizzazione del fenomeno del condominio negli edifici e l'applicabilità delle relative norme in materia non dipendono dal numero delle persone che ad esso partecipano, dovendosi pertanto applicare al condominio minimo, quale criterio generale interpretativo, tutte le norme previste dal codice civile in materia di condominio (artt. 1117-1139 c.c.) e, giusta il rimando contenuto nell'art. 1139 c.c., le norme sulla comunione in generale soltanto nel caso di lacuna normativa della disciplina sul condominio. Individuazioni delle parti comuni
Sappiamo che un condominio si definisce "minimo" se composto da due soli proprietari/condomini, requisito "minimo", per l'appunto, affinché sorga un condominio, ovvero la comunione sulle parti e beni che restano comuni in quanto al servizio delle unità immobiliari private. Tuttavia, nella prassi, la disciplina del condominio minimo viene applicata anche al "piccolo condominio", ovvero a quell'edificio composto da un numero non superiore a otto condòmini, soglia oltre la quale diviene obbligatorio nominare un amministratore. Premesso ciò, la pronuncia in commento (Trib. Bologna 12 luglio 2018, n. 20705) è particolare in quanto affronta un caso di condominio con un numero maggiore di due condomini, però inteso dal giudice come “condominio minimo”. Il tal vicenda, Sempronio (condomino) contestava la configurabilità del proprio “condominio”, sebbene “piccolo”, tra i partecipanti e rilevava che dovevano essere applicate le norme in tema di comunione, in virtù delle quali i partecipanti potrebbero essere chiamati unicamente a partecipare alle spese di conservazione. Per meglio dire, in questo condominio, Sempronio e altri due condomini, erano proprietari di tre diverse unità immobiliari facenti parte di un unico stabile, con corte condominiale di un unico complesso dotato di codice fiscale. Questi risultavano altresì comproprietari di un piccolo viale che dava accesso alle singole unità immobiliari e alle autorimesse, pertinenze dei rispettivi appartamenti, sin dall'acquisto dell'immobile. In questo condominio, Sempronio, inizialmente, corrispondeva regolarmente la propria quota di spese relative alla gestione, manutenzione e conservazione delle parti comuni (manutenzione del verde comune, acqua per l'irrigazione del verde comune, energia elettrica per l'illuminazione del viale comune, per l'alimentazione dell'impianto citofonico e per l'apertura e chiusura del cancello automatizzato) in proporzione ai millesimi di proprietà. Successivamente, però, decise di non contribuire alle predette spese deducendo di non usare il vialetto comune e perché il suo appartamento era disabitato. Per tali motivi, i condomini avevano richiesto il pagamento delle somme non pagate da Sempronio. In primo grado, il Giudice di Pace aveva rigettato la domanda degli attori. Chiesto l'appello, i condomini eccepivano l'erroneità della decisione del giudice di prime cure circa l'applicabilità al caso di specie delle norme relative alla comunione. Nel giudizio di appello, diversamente dal ragionamento del Giudice di Pace, dal momento che sussistevano i presupposti di cui all'art. 1117 c.c., era emerso che l'intero complesso integrava un “mini-condominio” (con tale definizione, probabilmente, i giudici intendevano riferirsi al piccolo condominio). In particolare, a seguito dell'istruttoria di causa, era emerso che l'unico proprietario dell'edificio aveva effettuato il frazionamento e poi aveva ceduto le porzioni a più soggetti in proprietà esclusiva; in questo modo, i condomini avevano espresso la volontà di attribuire al complesso la qualifica di condominio con la richiesta di assegnazione di un codice fiscale e, di conseguenza, i condomini avevano deciso di ripartirsi gli oneri e le spese relative alle parti comuni in ragione dei millesimi di proprietà, secondo il criterio richiamato dall'art. 1123 c.c. Quanto, poi, alla configurabilità, nel caso che ci si occupa, del condominio, il Tribunale (in grado di appello) ha osservato che in caso di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l'assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti; per effetto di tale assegnazione si origina, altresì, la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano, in tale momento, destinate all'uso comune ovvero a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e dì escluderne gli altri (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2017, n. 5335). In merito alla ripartizione delle spese, inoltre, in giurisprudenza è stato chiarito che in tema di cd. condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all'art. 1123 c.c. e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall'art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9280). In virtù di quanto esposto, secondo il Tribunale adito, gli odierni appellanti erano pienamente legittimati ad attivarsi per il recupero di crediti appartenenti al condominio, non trattandosi certo di discutere, semplicemente, questioni attinenti le modalità di godimento della cosa comune, ma della sussistenza e consistenza di diritti soggettivi, qual è, indubbiamente, quello alla ripartizione delle spese relative alla conservazione e manutenzione della cosa comune. Del resto, a parere del Tribunale, il complesso immobiliare di cui si discute, indipendentemente dal nominativo assegnato allo stesso ai fini del rilascio del codice fiscale, integra certamente un “condominio minimo”, secondo i requisiti e le caratteristiche individuati da dottrina e giurisprudenza. Infatti il bene, rappresentante un unico edificio, è stato suddiviso in più unità immobiliari dall'originario unico proprietario che le ha vendute alle parti del presente giudizio, le quali, oltretutto, non soltanto hanno ottenuto l'assegnazione di un codice fiscale, come detto, dedicato al complesso, ma hanno altresì inequivocabilmente manifestato la propria volontà di costituire il condominio, concorrendo alle spese di conservazione e manutenzione dei beni comuni, secondo impegno assunto in sede assembleare. Del resto, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la condominialità non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall'art. 1117 c.c. Totalmente irrilevante, pertanto, la tesi, addotta da parte convenuta, secondo cui le spese richieste non sarebbero dovute per ridotta utilizzazione del vialetto di cui trattasi, che non viene esattamente rappresentata neppure come più intenso uso fattone dagli altri condomini: trattasi, indubbiamente, di parte comune dell'edificio, soggetta alla relativa disciplina, compresi i criteri di ripartizione delle spese maturate per conservazione, manutenzione, esercizio. In conclusione, in accoglimento dell'appello ed in riforma della pronuncia di primo grado, Sempronio è stato condannato al pagamento della somma richiesta.
Preliminarmente, giova ricordare che l'art. 1134 c.c. nega al condomino il diritto ad ottenere il rimborso delle spese effettuate a beneficio delle parti comuni dell'edificio se non ne prova l'urgenza: in assenza di quest'ultima, il condomino deve ottemperare a quanto previsto dalla stessa norma circa l'avvio della procedura di autorizzazione da parte dell'assemblea o dell'amministratore ai fini dell'assunzione della spesa. Premesso ciò, in argomento, sono sorti contrasti interpretativi, con riguardo al condominio minimo: a) sia sul regime giuridico da applicare nel caso di spese fatte dal singolo condomino per la cosa comune allorché quest'ultimo invochi il diritto al rimborso degli esborsi sostenuti a beneficio della cosa comune nei confronti della collettività condominiale, discutendo gli interpreti se sia necessario, ai fini della sussistenza del diritto al rimborso, il requisito dell'urgenza della spesa così come richiesto dall'art. 1134 c.c. o se ci si debba accontentare della semplice trascuranza degli altri condomini come prescritto dall' art. 1110 c.c.; b) sia sull'applicabilità della disciplina in tema di norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale di cui all' art. 1136 c.c. che, diversamente che nella disciplina sulla comunione in generale, richiede la duplice maggioranza per teste e per valore. Sulle citate questioni interpretative, in particolare sulla prima (art. 1134 c.c.), è intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite che, con sentenza n. 2046 del 31 gennaio 2006, ha optato per la soluzione dell'applicabilità delle regole sul condominio in generale anche al condominio minimo con due soli condomini e per la conseguente prevalenza del più rigido contenuto normativo di cui all' art. 1134 c.c., facendo leva sulla diversa natura giuridica della comunione in generale rispetto al condominio negli edifici e sulla più grave limitazione al potere di gestione sulle cose comuni che incombe sul condomino rispetto al comunista nell'omologo istituto della comunione in generale. Secondo tale pronuncia, deve ritenersi che, nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini, il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino viene ad essere regolato dalla norma stabilita dall' art. 1134 c.c. che riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno, e non dall'art. 1110 c.c. che, al contrario, dispone che il diritto al rimborso è subordinato alla mera trascuranza ed alla semplice inattività degli altri comunisti. La sentenza in esame, il cui principale merito è stato quello di avere sottolineato l'unitarietà del regime condominiale a prescindere dal numero dei compartecipi, ha ritenuto che la più grave limitazione al potere di gestione sulle parti comuni da parte del singolo condomino rispetto ai comunisti nell'istituto della comunione in generale dipenda dalla diversa utilità che si trae, nei rispettivi istituti giuridici, dal godimento della cosa comune. Quanto alla seconda questione, applicazione al condominio minimo delle norme in tema di funzionamento dell'assemblea e della necessità della formazione delle maggioranze per teste richieste dalla legge, le citate Sezioni Unite hanno evidenziato che al condominio minimo si applica del pari il contenuto dell'art. 1136 c.c. che prevede, ai fini della validità delle delibere assembleari, il duplice requisito della maggioranza per valore e per teste, non ostando a tale soluzione l'impossibilità che, in presenza di due soli condomini, si possa pervenire ad una maggioranza per teste, potendosi al contrario verificare o l'unanimità dei consensi, o la paralisi dell'organo collegiale nel qual caso soccorre il rimedio del ricorso all'autorità giudiziaria giusta il combinato disposto di cui agli artt. 1139 e 1105 c.c. La Suprema Corte ritiene compatibile la disciplina di cui all'art. 1136 c.c. con il condominio minimo sulla base della considerazione secondo cui il metodo maggioritario è uno dei criteri alla cui stregua pervenire alla decisione finale, accanto al criterio dell'unanimità dei consensi, e sottolineando inoltre che eventuali situazioni di stallo, da risolvere sempre mediante il ricorso all'autorità giudiziaria come sopra indicato, si possono verificare anche nelle ipotesi di condomini formati da più di due compartecipi per specifiche questioni. Nonostante tale puntualizzazione, tuttavia, in altra pronuncia, la Corte di Cassazione, in merito al condominio minimo, ha in parte contraddetto sé stessa. Infatti, con tale sentenza, è stato sancito che, nel caso di condominio cosiddetto minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale ma quelle relative all'amministrazione di beni oggetto di comunione in generale, quindi gli articoli ricompresi tra il 1100 e il 1116 c.c. (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7457; l'unico richiamo dei giudici di legittimità alle norme sul condominio riguardava il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino che resta, però, disciplinato dall'articolo 1134 c.c., specifico del condominio). Nonostante tale diversa pronuncia, ad integrazione di quanto esposto, la soluzione adottata dalla Corte nel 2006 trova ormai conferma generalizzata; invero, chiarito che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali e riscontrandosi la medesima situazione nel condominio cd. minimo, ne discende che anche rispetto a quest'ultimo trova applicazione, sia per l'organizzazione interna dell'assemblea che per le situazioni soggettive dei partecipanti, la disciplina di cui agli artt. 1117 ss. c.c. (Cass. civ., sez. VI/II, 11 agosto 2017, n. 20071). Quindi le regole codicistiche sull'assemblea si applicano, allorché l'assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all'unanimità (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2017, n. 5329). E ancora, in altra pronuncia, (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2018, n. 9280), i giudici hanno evidenziato che il singolo condominio ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione della cosa comune nell'interesse degli altri proprietari senza autorizzazione degli organi condominiali, solo qualora, ai sensi dell'art. 1134 c.c., dette spese siano urgenti, secondo quella nozione che distingue l'urgenza dalla mera necessità, poiché ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa; mentre, nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (in senso del tutto conforme si sono pronunziate anche Cass. civ., sez. VI, 10 ottobre 2017, n. 23740; Cass. civ., sez. Il, 13 luglio 2017, n. 17393).
Interventi di recupero del patrimonio edilizio eseguiti in un condominio minimo
In argomento, giova ricordare che per gli interventi realizzati sulle parti comuni di edifici residenziali, la fruizione dell'agevolazione è stata subordinata, fin dall'entrata in vigore della l. n. 449/1997 (che ha introdotto la detrazione per le ristrutturazioni), alla circostanza che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell'amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compreso quello propedeutico della richiesta del codice fiscale. Con la Circolare 11/E del 21 maggio 2014 è stato ricordato che in presenza di un “condominio minimo”, risulteranno comunque applicabili le norme civilistiche sul condominio, ad eccezione degli artt. 1129 e 1138 c.c., che disciplinano, rispettivamente, la nomina dell'amministratore (nonché l'obbligo da parte di quest'ultimo di apertura di un apposito conto corrente intestato al condominio) e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condomini). Con Risoluzione 74/E del 27 agosto 2015, successivamente, sono stati indicati gli adempimenti da adottare nel caso di interventi sulle parti comuni di un condominio minimo, effettuati nel 2014 senza aver richiesto il codice fiscale del condominio. La risoluzione ha ribadito la necessità di chiedere il codice fiscale del condominio ma è stato, nel contempo, evidenziato che il condominio, sui pagamenti effettuati per avvalersi delle agevolazioni fiscali in esame, non deve effettuare le ritenute ordinariamente previste dal d.p.r. n. 600/1973. Premesso quanto innanzi esposto, l'Agenzia delle Entrate, con la recente Circolare 7/E del 27 aprile 2018, ha risposto al quesito di un contribuente che chiedeva chiarimenti sulle modalità per beneficiare della detrazione Irpef in caso di interventi di recupero del patrimonio edilizio eseguiti in un condominio minimo. In proposito, l'Agenzia ha ricordato che la nascita del condominio si determina automaticamente, senza che sia necessaria alcuna deliberazione, nel momento in cui più soggetti costruiscano su un suolo comune ovvero quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento. Per condominio minimo si intende un edificio composto da un numero non superiore a otto condòmini; quindi, per beneficiare della detrazione per i lavori eseguiti sulle parti comuni, non è più necessario acquisire il codice fiscale del condominio nelle ipotesi in cui i condomini, non avendo l'obbligo di nominare un amministratore, non vi abbiano provveduto, a condizione che non vi sia stato pregiudizio al rispetto, da parte delle banche e di Poste Italiane SPA, dell'obbligo di operare la prescritta ritenuta all'atto dell'accredito del pagamento. In assenza del codice fiscale del condominio, i contribuenti, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi realizzati su parti comuni di un condominio minimo per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condomino che ha effettuato il relativo bonifico. Ogni condomino che ha eseguito il bonifico per la propria quota di competenza dovrà riportare in dichiarazione il proprio codice fiscale. Naturalmente, il contribuente è tenuto, in sede di controllo, a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell'edificio e, se si avvale dell'assistenza fiscale, ad esibire ai CAF o agli intermediari abilitati, oltre alla documentazione ordinariamente richiesta per comprovare il diritto all'agevolazione, un'autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio (in tal senso, Circolare 2 marzo 2016, n. 3, risposta 1.7). Secondo gli esperti in materia, con tale ultimo provvedimento del 2018, devono ritenersi superate le indicazioni fornite con la Circolare 11/E del 2014 e con la Risoluzione 74/E del 2015.
In conclusione
Secondo quanto argomentato, lo status di condominio e, di conseguenza, il diritto di utilizzo delle parti comuni dell'edificio, deriva di per sé con l'acquisto di una unità immobiliare inserita nell'edificio condominiale. Tale diritto trova fondamento nel fatto che dette parti sono necessarie per l'esistenza dell'edificio condominiale, ovvero sono perennemente destinate all'uso o al godimento comune. Difatti, il condominio esiste in ragione della sola presenza di un fabbricato avente parti comuni, indipendentemente dalla approvazione di un regolamento o dalla validità del medesimo e si costituisce ex se ed ope iuris, senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscono nel suolo comune, ovvero quando l'unico proprietario dell'edificio ne ceda a terzi piani o porzione di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine. In buona sostanza, nel condominio i beni comuni rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali laddove nella comunione essi costituiscono l'utilità finale. Oltre a ciò, abbiamo notato l'importanza del numero dei partecipanti in condominio: la distinzione fra condominio minimo (formato da due condomini) e condominio piccolo (ex nuovo art. 1129 c.c., formato da più di due condomini fino al numero di otto). Indipendentemente dal numero di partecipanti, in tema di lavori sulle parti comuni, sappiamo che la l. 220/2012 ha sostituito l'inciso dell'art. 1134 c.c. «il condominio che ha fatto spese per le cose comuni» con quello «che ha assunto la gestione delle parti comuni» quasi a voler sottolineare che quest'ultima è consentita. Dunque, l'art. 1134 c.c. si applica anche al condominio minimo oltre a quello costituito da meno di otto e più di due partecipanti (c.d. piccolo). In tale situazione, la spesa per i lavori urgenti deve ovviamente riguardare una cosa comune, dovendosi accertare, soprattutto quando è consentita tale condizione, la relazione di accessorietà strumentale (di cui sopra si è detto) della proprietà individuale con quella comune oggetto di detti lavori. È appena il caso di osservare, al riguardo, che il maggior rigore della disciplina in tema di condominio, di cui all'art. 1134 c.c., rispetto a quella prevista per la comunione, di cui all'art. 1110 c.c. (ritenuta originariamente applicabile, come visto, al c.d. condominio minimo) è proprio giustificato dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti: l'utilità strumentale per i beni in condominio e quella finale per i beni in comunione. Dunque, dalla citata analisi, in tema di lavori sulle parti comuni, le superiori argomentazioni inducono a ritenere meramente nominalistica la differenza tra condominio minimo e condominio piccolo. Difatti, più consona al dettato della legge è la distinzione fra condominio con o senza obbligo di nomina dell'amministratore; sicché, nell'ambito di quest'ultimo, la differenza fra condominio minimo e piccolo ha un mero valore descrittivo. Infatti, come anche chiarito dalla giurisprudenza, anche il condominio minimo potrà avvalersi dell'art. 1136 c.c., potendo l'assemblea costituirsi con la presenza di entrambi i condomini all'unanimità, non essendovi norma da cui si ricava la necessità di operare con il principio maggioritario: le note norme in materia relative al numero dei condomini riguardano la nomina dell'amministratore e la formazione del regolamento (artt. 1129 c.c. e 1138 c.c.). Pertanto, solo qualora non sia possibile operare in questo senso si potrebbe far ricorso alla Autorità giudiziaria. In conclusione, è bene sempre distinguere il condominio dalla comunione ordinaria, perché nel condominio il singolo condomino è proprietario esclusivo del suo appartamento e nello stesso tempo è comproprietario in virtù di comunione forzosa di alcune parti dell'edificio; nella comunione ordinaria, invece, ciascun comproprietario può in ogni momento chiedere lo scioglimento della situazione comune, mentre in un condominio i partecipanti non possono chiedere la divisione delle parti comuni salvo che la divisione non possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa comune a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti. Chiesi, Commento all'art. 1134 c.c., in Codice del condominio diretto d Celeste, Milano, 2018; Condominio minimo e ristrutturazioni, le regole per le detrazioni fiscali, in Edilportale.com, 2 maggio 2018; Nasini, Condominio minimo, in Condominioelocazione.it; Monegat, Condominio minimo e rimborso spese per la conservazione delle cose comuni, in Immobili & proprietà, 2006, 3. |