Investimento di animale selvatico e caduta mortale del motociclista: la velocità eccessiva può essere causa esclusiva del danno?

Antonio Scalera
22 Maggio 2019

In una fattispecie relativa all'investimento mortale da parte di un animale selvatico di un motociclista, può la condotta colposa del motociclista medesimo ritenersi causa esclusiva del danno ex art. 1227 c.c., con conseguente interruzione del nesso di causalità?

In una fattispecie relativa all'investimento mortale da parte di un animale selvatico di un motociclista (nella specie attinto da un capriolo, in fase di improvviso ed imprevedibile attraversamento della strada, nella parte posteriore del proprio motociclo e, quindi, senza possibilità alcuna di evitarne l'impatto), può la condotta colposa del motociclista medesimo (consistita nell'aver tenuto una velocità gravemente eccessiva, pari a circa il doppio del limite consentito in quel tratto di strada) ritenersi causa esclusiva del danno ex art. 1227 c.c., con conseguente interruzione del nesso di causalità?

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722), «il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 cod. civ., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico».

Ciò posto, spetta al danneggiato provare gli elementi costitutivi della fattispecie, ovverosia la condotta colposa, il nesso di causalità ed il danno.

Nella fattispecie oggetto del quesito, ove, per ipotesi, emergesse che la condotta colposa della vittima abbia svolto un ruolo determinante nella causazione dell'evento, al punto da ridurre l'impatto con l'animale al rango di una mera occasione, ne seguirebbe la mancanza di nesso causale e, quindi, l'assenza di responsabilità ex art. 2043 c.c. dell'ente preposto.

In tal caso, infatti, il comportamento del motociclista si porrebbe come causa esclusiva dell'evento ed allora sarebbe, forse, più corretto parlare di insussistenza (anziché di interruzione) del nesso causale tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo.

La causa dell'evento andrebbe, dunque, ricondotta ad un fattore diverso dall'improvviso attraversamento dell'animale e, cioè, alla condotta di guida gravemente imprudente del motociclista.

Tuttavia, più frequentemente, in fattispecie analoghe, è ravvisabile un concorso di cause disciplinato dall'art. 1227, comma 1 c.c.

Si potrebbe, infatti, ritenere che l'incidente sia stato la risultante di due distinti fattori causali: da un lato, il comportamento del motociclista che viaggiava a velocità sostenuta; dall'altra, l'attraversamento della strada (imprevisto ed imprevedibile) da parte dell'animale.

Potrebbe emergere che se, nell'occorso, il motociclista avesse tenuto un'andatura meno sostenuta, le conseguenze dell'impatto sarebbero state più lievi e non lo avrebbero portato alla morte.

In definitiva, ove nella fattispecie in esame sia ravvisabile un concorso di cause, potrebbe dirsi, in linea di massima, che quanto maggiore sia stata l'efficacia causale del comportamento del danneggiato nella determinazione dell'evento, allora tanto minore sarà la percentuale di responsabilità eventualmente ascrivibile all'ente che avrebbe dovuto impedire l'attraversamento dell'animale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.