L'errore sul presupposto di imposta legittima l’esercizio dell’autotutela da parte dell’ufficio
22 Maggio 2019
Una SNC con sede ad Avellino composta da due soci lavoratori (impiantisti) viene messa in liquidazione per volontà dei soci stessi (dissidi personali) con nomina di un liquidatore (il Sottoscritto) nel giugno del 2013; completate le normali operazioni di liquidazione (incasso e pagamento crediti e debiti) la società viene cancellata da tutti gli enti competenti nel settembre del 2014. Durante il periodo di liquidazione non viene compiuta da parte del Sottoscritto, in qualità di liquidatore, nessuna operazione nè di acquisto nè di vendita. La procedura di liquidazione viene chiusa senza nessun debito nè credito pendente con l'approvazione dei due soci, i quali nel frattempo (già dal settembre 2013) erano stati assunti come lavoratori dipendenti presso altre realtà produttive; i dichiarativi anno 2015 (competenza 2014) vengono inviati a "zero". Nell'aprile del 2018 l'Agenzia delle Entrate di Avellino, su segnalazione dell'Ufficio di Firenze, convoca il Sottoscritto chiedendo chiarimenti in merito ad eventuali rapporti commerciali avuti nell'anno 2014 con una SPA avente sede a Firenze; documentazione alla mano negai ogni rapporto. Nel luglio del 2018 vengono notificati tre avvisi di accertamento agli ex soci ed al Sottoscritto in qualità di liquidatore per maggiore IVA, IRAP ed IRPEF sulla base di 4 documenti contabili rinvenuti nella contabilità e nella polivalente 2015 della SPA di Firenze; nello specifico trattasi di due fatture di vendita emesse dalla SNC di Avellino e due note di rettifica di importo pari alle fatture. L'ufficio disconosce le note di rettifica e porta a tassazione il maggior reddito. Dopo istanza di accesso agli atti, il Sottoscritto ed i soci denunciano la SPA, in quanto i documenti sono materialmente e palesemente contraffatti: logo alterato, descrizioni sommarie, progressivi inesistenti, causali inesistenti, insomma grossolani e palesi falsi. Nonostante la disponibilità dei funzionari dell'Agenzia di Avellino ai fini di un annullamento in autotutela richiedono una prova "terza" che attesti la falsità dei documenti, scaricando sul Sottoscritto l'onere della prova di dimostrare la falsità. Prima di intraprendere un contenzioso quali riferimenti normativi o giurisprudenziali è possibile sottoporre all'Agenzia di Avellino per convincerli dell'autotutela? Possibile che anche in questi casi l'onere della prova sia a carico del contribuente, nello specifico della SNC?
Ai sensi dell'art. 2 del D.M. 13 febbraio 1997, “l'Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell'imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione”.
Ricorre la fattispecie di “errore sul presupposto di imposta” quando l'imposta contestata non sia dovuta dal contribuente perché non è soggetto passivo. La situazione prospettata nel presente quesito ben può essere ricondotta in tale casistica, avuta considerazione del fatto che la documentazione, sulla base della quale l'Ufficio ha confezionato gli avvisi di accertamento nei confronti degli ex soci e del liquidatore della SNC, non è ad essi attribuibile. Ciò sarebbe di per sé sufficiente ad invocare l'esercizio del potere di autotutela nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. Non si condivide quanto asserito dall'Ufficio circa la necessità che sia il liquidatore della SNC a dover fornire la prova della falsità dei documenti. La Circolare n. 1/2008 della Guardia di Finanza, recante “Istruzione sull'attività di verifica”, disciplina due ipotesi di “ritorno” presso la sede del contribuente dopo la conclusione dell'attività di verifica; in particolare, per esaminare le osservazioni e le richieste formulate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni, ovvero “per specifiche ragioni, previa autorizzazione del Comandante del reparto o dell'ufficiale delegato”.
Questa seconda ipotesi, secondo la Circolare, si riferisce alla possibilità di reiterare l'attività ispettiva per procedere a riscontri documentali che comprovino ulteriormente le risultanze dell'ispezione conclusa in precedenza, per l'acquisizione di dati ai fini della successiva ed eventuale constatazione degli elementi acquisiti con la procedura delle indagini finanziarie e, soprattutto, a seguito della sopravvenuta conoscenza di ulteriori elementi potenzialmente rilevanti ai fini dell'emissione di atti di accertamento modificativi o integrativi, ai sensi degli artt. 43, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973 e/o 57, comma 3, del d.P.R. n. 633/1972.
Anche al di fuori di tali circostanze, possono ipotizzarsi altre ragioni in relazione al verificarsi delle quali il responsabile dell'ufficio ritenga di disporre la “riapertura” delle operazioni ispettive già concluse. Ciò può avvenire, ad esempio, allorquando, prima della trasmissione del verbale di constatazione all'Agenzia delle Entrate, vengano alla luce profili di possibile illegittimità dell'atto connessi a uno o più dei vizi indicati dal D.M. n. 37/1997 quali presupposto per l'annullamento d'ufficio del provvedimento impositivo. Si pensi al caso in cui si accerti l'esistenza nel processo verbale di constatazione di un evidente errore logico o di calcolo, un errore di persona o una situazione di doppia imposizione. In queste circostanze, si ritiene che i verificatori, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, dovrebbero procedere già da subito all'eliminazione del vizio, attraverso la redazione di un “nuovo” verbale di constatazione che, intervenendo sul precedente, ne modifichi di fatto il contenuto, annullandone gli effetti. Pertanto, se i documenti di prassi riconoscono che, in presenza di vizi legittimanti l'autotutela, l'Organo Verificatore debba procedere, prima dell'emanazione dell'atto impositivo, alla “riapertura” delle operazioni ispettive già concluse per procedere a riscontri (documentali) che comprovino ulteriormente le risultanze dell'ispezione conclusa in precedenza, non si vede perché ciò non possa valere anche nella fattispecie prospettata, in cui incombe sull'Amministrazione finanziaria (e non in capo al liquidatore della SNC) l'onere di reperire ulteriori prove attestanti la falsità dei documenti reperiti.
Tuttavia, qualora l'Agenzia continui ad addossare al liquidatore siffatto onere probatorio, lo stesso dovrà instaurare un giudizio civile proponendo querela di falso avverso la documentazione posta alla base della rettifica operata dall'Ufficio.
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